Numero 9, 16 ottobre 2023

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Indice

SPIFFERI

La calata sul Salone Nautico del cuneese al rum

Durante il Salone Nautico una ragazza è andata a pranzo al Crazy Pizza, il locale-standard di Flavio Briatore aperto per l’evento alla Foce. Per una pizza e un po’ di vino ha speso 83 euro: bocca aperta, portafoglio vuoto e beata ingenuità; di cui si è pentita amaramente. Eppure il locale era pieno: riprova che la genia dei citrulli, primario target dell’imprenditore cuneese, è dura a morire. Lui definisce questo temporary restaurant “experience gastronomica premium”. Tradotto: vi prendo per i fondelli con paroloni inglesi e guadagno grazie alla vostra grullaggine. Lui fa bene; come la Ferragni, che vende a otto euro l’acqua minerale con la sua griffe. L’unica speranza è che questa trappola sia davvero temporary. Che chiuda, non appena i genovesi si ridesteranno dall’adescamento Cafonal.

“Io faccio solo le circolari (e così mi salvo l’anima)”

Tra gli imputati per il crollo del Ponte Morandi che provano a difendersi dalle varie accuse, c’è chi riesce a offrire uno spettacolo di puro teatro dell’assurdo alla Ionesco. Se dietro i sofismi non ci fossero 43 morti. Come il caso di Gianni Mion, che pur sapendo del ponte a rischio crollo non fece nulla “per paura di perdere il posto”. Ma peggio è la pseudo difesa di Mauro Coletta – per quasi 18 anni ai vertici dell’ispettorato sulla sicurezza delle autostrade – che da poco ha dichiarato. “Io faccio solo le circolari”. Dunque, scaricando le responsabilità sui suoi sottoposti che dovevano effettuare le ispezioni. Senza preoccuparsi di controllare: ma il pesce puzza dalla testa. Non conosciamo la sorte di questo manager pubblico, ma l’autoassoluzione “io faccio le circolari” è rivoltante.

Ripensare la smart city: partecipazione civica o sorveglianza?

Secondo le principali società di consulenza, il mercato delle smart cities raggiungerà i 3mila miliardi $ entro il 2025. Genova si è già mossa installando telecamere in tutti i quartieri. Effetto dello stravolgimento del concetto di sicurezza, ormai messo in sequenza con quello di paura: la security (garanzie della persona: lavoro, salute, ecc.) ridotta a safety (timore per l’incolumità) Operazione terroristica a scopi elettorali della Destra, avviata in Italia sul TG Rete4 di Emilio Fede dal 1994: un progetto per migliorare la vita urbana diventato agente terroristico di massa. Scrive Francesca Bria, massima esperta in materia: «per superare il programma politico neoliberista e pseudo-democratico c’è bisogno di ampie alleanze». Improbabile con la governance solipsistica del sindaco Bucci.

C’È POSTA PER NOI

Nostalgia di un Salone Nautico popolare

C’era una volta il Salone Nautico di Genova, 45 anni or sono. In primavera, di solito col bel tempo.

Poi i costruttori imposero l’autunno, per avere il tempo di eseguire d’inverno gli ordini ricevuti, pronti per l’estate successiva. Così settembre si tengono anche i saloni di Cannes, Genova, Barcellona.

Pure allora c’erano barche da favola. Però venivano esposti anche natanti alla portata di gran parte di noi appassionati: gozzetti, lancette, gommoni sui quattro metri e mezzo, motorizzati con pudichi 20 cavalli.

E pure le derive (barche a vela olimpiche da regata) dai 4 ai 7 metri: Flying Junior, 420, 470, Flying Dutchman (FD), Star, Soling. A quel tempo andavo a vela, prima su una Star, poi su un FD. Al Salone ammiravo le ultime novità di fitting dei cantieri Bianchi & Cecchi, Mader, Nautivela, Lillia, Folli. Da adattarle sui nostri natanti.

Ora niente di tutto questo: di barche “accessibili” non se ne espongono più. E la ragione è chiara. Nel 1976 il mio primo stipendio di giovane ingegnere era di 230.000 lire; la Fiat 127 ne costava 920.000 e la Vespa 290.000. Un FD usato ma ancora competitivo in regata sui 3.000.000. Ora il primo stipendio – se va bene – è 1.500 €, la Panda ne costa 20.000, la Vespa 6.000; un FD usato ma ancora competitivo (del 2021, annuncio letto oggi) 40.000. Sicché, barche ieri accessibili ora non sono più tali. Compresa la piccola nautica da diporto (vela e motore) che il nostro roboante Salone snobba perché i prezzi correnti, se rapportati agli stipendi, sono diventati inavvicinabili. In più, per cultura, tradizione e anagrafe, in materia di mare guardo le novità con una certa diffidenza (a volte ribrezzo. Tipo i mostri volanti della Coppa America): nel generale decadimento culturale, anche per la nautica mostrarsi è diventato più importate del veleggiare. Sorrido amaramente davanti ai nuovi super gommoni open motorizzati con centinaia di cavalli, in grado di coprire le 90 miglia tra Portofino e Capo Corso in meno di 4 ore. Mentre sorrido ironicamente per i nuovi colori tanto di moda. Nero: provate a toccarlo dopo qualche ora al sole di agosto (roba da centro ustionati). Rosso: dopo due anni sotto il sole diventa arancione. Bianco: se hai un nostromo che lo lava tutti i giorni, buon per te. Insomma, il grigio militare dei primi Zodiac resta il più azzeccato.

Roberto Guarino

Ponente, un appuntamento importante

Quanti indizi occorrono per fare una prova?

7 febbraio 2023, alla chiusura della conferenza dei servizi riguardo il restyling della marina di Pegli prevale il progetto di Bagni Castelluccio spa sul progetto di Porto di Pegli srl.

9 ottobre 2023, via libera della Giunta Regionale, su proposta dell’assessore all’Urbanistica Marco Scajola, alla variante al Piano Regolatore Generale per modifiche al porto turistico di Marina di San Lorenzo Srl sito nell’omonimo Comune.

Due curiose coincidenze. La prima, che Bagni Castelluccio spa vincitrice in pectore della gara, nel 2022 ha versato 4050 € di contributo al Comitato Giovanni Toti e nel 2023, pochi giorni dopo l’annuncio dell’esito della conferenza dei servizi ha versato altri 4050 €. La Società Porto di Pegli srl, contendente di Bagni Castelluccio, invece non ha mai donato un euro. La seconda, che Marina di San Lorenzo Srl, beneficiaria della variante del porto turistico, nel 2022 versava a Toti allo stesso titolo ben 30mila €.

Si tratta di contributi consentiti dalla legge sul finanziamento volontario ai partiti, pubblicati e rendicontati sul sito del Comitato. Tutto in regola- pare- nei conti di Toti, ma anche nelle procedure amministrative? Non sfuggono infatti due aspetti critici.

Il primo è l’entità dei soldi che dal 2015 a oggi Toti ha ricevuto attraverso il comitato e in precedenza la fondazione Change, pari a circa 3 milioni €, di cui 1,6 milioni solo negli ultimi 3 anni. I donatori, accanto a privati cittadini con somme modeste, sono tutte aziende. In cima c’è Europam (distributori e fornitori di carburanti) del gruppo Back Oils con 255mila euro, secondo il gruppo armatoriale Messina con 80mila, Spinelli (porto e trasporto) 73mila, il gruppo GIN (San Giorgio e Mariotti, cantieri navali) 65mila, i cantieri per yacht San Lorenzo di Ameglia 55mila e il gruppo Amico 52mila, AEP il costruttore dei supermercati Esselunga 50mila, le società dell’imprenditore delle discariche Piero Colucci con 40mila, e a seguire circa 150 altri donatori. Sono milioni di euro che Toti ha ricevuto e già speso in servizi e contributi a fini di comunicazione e propaganda politica e elettorale di sé e delle liste da lui sostenute, compresa la campagna di Bucci sindaco. Una somma gigantesca che connota un vantaggio oggettivo e incolmabile rispetto a qualsiasi formazione politica locale avversa.

Riccardo Degl’Innocenti

ECO DELLA STAMPA

Festa per il primo anno del Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista, apparsa su il Fatto Quotidiano del 2 ottobre, di Antonello Caporale al deputato di La Spezia (già da 11 anni!) Andrea Orlando, studente fuori corso e una gioventù da funzionario di partito, il quale dichiara:

Le correnti servono, altrimenti diventiamo un partito personale

Raffaella Paita vs Andrea Orlando, scintille al termine di un matrimonio Star della Sinistra post-comunista spezzina

  1. Cos ’è il Pd? Una confederazione tra diverse sigle? Un’associazione di correnti?

Il partito senza correnti è la spada consegnata nelle mani di uno solo. La leadership come radice e destino, il nome come espressione di ogni volontà. Ma il partito personale è l’opposto dell’idea che dobbiamo offrire.

  1. Le correnti offrono poltrone.

La sua osservazione ha il sapore dell’antipolitica. Le poltrone, cioè le funzioni, possono servire a dare gambe alle idee oppure no.

  1. Perché Elly Schlein ha difficoltà a farsi capire?

L’ho ascoltata durante le primarie. È arrivata dove il Pd non arrivava più. Immagino che una curva larga presa dal vocabolario serva alla segretaria a tenere insieme le varie anime del partito. Se il linguaggio deve cucire espressioni e idee a volte differenti perde un po’ di nettezza, si scolorisce. Ma ancora una volta torniamo alla natura del Pd.

  1. Lei è affezionato alla sua corrente.

Con me sono nati tanti dirigenti, ho dato spazio a nomi che sono, o domani saranno, in competizione anche col sottoscritto. Non ho mai seguito il metodo Erode. Non sono qui per assolvermi, ma neanche per erigere una statua al Tafazzi.

Un breve commento a questa esternazione sul criptico:

Punto 1. Niente giochi delle tre carte, please: il pluralismo di partito non significa cordate per operazioni di potere, bensì dialettica tra soggetti che declinano idee-forza ed elaborano proposte. Mentre è noto l’intrufolarsi negli organigrammi dell’ex ministro Orlando, non risultano suoi contributi politici che non siano scopiazzature (dalle proposte elaborate dall’avvocato berlusconiano Ghedini sulla separazione delle carriere in magistratura all’accompagnamento della precarizzazione come ministro del lavoro);

Punto 2. Il riferimento all’antipolitica è puro terrorismo verbale, per mimetizzare la realtà di una politica ridotta ad ascensore sociale per carriere individuali;

Punto 3. Elly Schlein, di suo propensa al rinnovamento della politica, è inceppata dai cacicchi queen-maker che la tengono in ostaggio. Franceschini e – appunto – Orlando;

Punto 4. Ah sì? In attesa di conoscere i virgulti della Orlando-School per talenti politici, registriamo la sua adozione del “metodo-Erode” a livello locale, tradotto nel tenere a bagnomaria le candidature alla Regione (Ferruccio Sansa, messo in pista a un mese dalle elezioni) e al comune della Spezia (idem con l’avvocatessa Piera Sommovigo), nella migliore tradizione levantina di segare sul nascere l’emergere di personaggi che potrebbero dare ombra a chi ha come scopo prioritario continuare a far flanella in quel di Roma.

ECO DALLA RETE

Il M5S ha postato questo messaggio del deputato Roberto Traversi

Skymetro: 400 milioni di euro senza progetti

Roma, 29 settembre 2023 – “Ebbene sì: ci sono voluti più di cinque mesi perché il Ministero delle infrastrutture rispondesse alla nostra interrogazione sul Skymetro. Tanto valeva aspettarne altri cinque, visto che il Mit, con il viceministro Bignami, oltre a non avere rispetto delle tempistiche, candidamente ammette di essere ancora in attesa della documentazione: in pratica, la destra che governa intende destinare circa 400 milioni di euro a Genova senza nemmeno avere in mano un progetto di fattibilità tecnico-economica, i cui termini sono peraltro scaduti ad agosto!”.

Così, il deputato M5S Roberto Traversi, primo firmatario dell’interrogazione depositata lo scorso aprile.

“Un così rilevante finanziamento richiede valutazioni puntuali e credibili, oltre che una documentazione completa e rispettosa dei tempi. Non solo quest’ultima non è stata trasmessa nei tempi richiesti per le opportune verifiche, ma tutta l’operazione è palesemente fondata su una forzatura: lo Skymetro, infatti, non – e ribadiamo NON – è previsto nel PUMS. E allora con quai presupposti si pensa di poter proseguire su questa strada, sulla quale peraltro insistono rischi per la sicurezza, visto che si vuole costruire in aree esondabili in deroga alla distanza minima di 10 metri dagli argini?”. “Lo Skymetro voluto da Bucci, approvato da Toti e accolto praticamente a scatola chiusa dalla destra nazionale, è un’opera retrograda e impattante alla quale il M5S contrappone da sempre il tram”, conclude Traversi.

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Prosegue con l’arrivo di Bill Gates a Portofino la mercificazione del paesaggio ligure, all’insegna del red carpet cafone

Portofinto

La potente e mozzafiato bellezza naturale dell’antico borgo poco può rispetto all’arrogante appropriazione del dio denaro che tutto distrugge, tutto volgarizza, tutto banalizza e massimizza. Et voilà: Portofino diventa Portofinto, un set cinematografico dove ogni cosa suona ormai fasulla come una scenografia. Detesto Portofino, mi irrita persino la sua bellezza, che non ha saputo proteggere. La bellezza di un borgo marinaro celato all’interno di un fiordo, con monti a precipizio a coprirne le spalle e alcune fortificazioni a presidiare il mare aperto. Per respirarne l’antico incanto bisogna passeggiare in piazzetta all’alba, prima che i negozi grandi firme aprano le loro fauci, voraci di mondi incompatibili. Portofino caput mundi, inspiegabilmente, oggi. Perché lì non c’è proprio nulla da fare, se non spiare le celebrities: un tempo Liz Taylor e Richard Burton, oggi Piersilvio e Toffanin. Oltre a questa ambigua attività di guardoni, davvero non si capisce perché si scelga un soggiorno a Portofino: mare impraticabile, affollato di motori come un’autostrada o raggiungibile solo con periglioso tragitto verso Paraggi, spiaccicati contro il guard-rail per non essere arrotati; passeggiate da scalatori, ristoranti pessimi o scandalosamente cari, spostamenti e rientri da esaurimento nervoso. E, aleggiante su tutto, fino ad annichilirne la stuprata bellezza, grava la volgarità della nuova ricchezza coi suoi brand e i suoi santuari. Stilisti di fama mondiale nelle antiche botteghe offrono cachemire al posto delle acciughe, ovviamente molto attivi i servizi di una magnifica banca privata e il silos più caro d’Europa. Mancava solo lui, Bill Gates, a scaraventare sul tavolo come spiccioli una sessantina di milioni per comprare il Castello, e farne un hotel di lusso. Il Castello di S. Giorgio, dal Medio Evo vedetta fortificata sul Golfo del Tigullio, oggi in parte utilizzato per mostre ed eventi culturali, visitabile a 5 euro, si avvia a chiudere i battenti al mondo normale, per ospitare anziani milionari spatasciati sui lettini dei massaggiatori. Commuove l’affermazione del Sindaco sull’incompatibilità di questa destinazione d’uso con quanto prescritto dal Piano Regolatore, e davvero speriamo che l’integrale privatizzazione non ci alieni anche quest’ultima roccaforte della nostra millenaria storia marinara. Temiamo tutti però che di fronte al lusso Portofinto si inchini ormai come una cortigiana, concedendo gratis tutti i servizietti richiesti.

Marina Montolivo Poletti

Il recente docufilm “La città possibile”, da un’idea di Luca Borzani e Antonio Caminito, scritto e diretto da Ugo Roffi e Ludovica Schiaroli, ricostruisce attraverso la figura del sindacalista Franco Sartori (1941-1996) la Liguria degli anni 80-90.

Franco Sartori, La città possibile", il docufilm sulla storia del  sindacalista che ha conciliato la lotta per il lavoro con la tutela  dell'ambiente - la Repubblica

Un protagonista della nostra storia recente

“La città possibile” ci fa riflettere sulle trasformazioni economiche e sociali, come sulle tensioni politiche e i mutamenti culturali che riguardarono la Genova di quegli anni, da estendere a ogni area toccata dalla ristrutturazione dell’apparato industriale; dal sorgere di nuove culture antagoniste. Il pensiero costante di Franco Sartori, comunista e sindacalista CGIL, andava al ponente genovese della grande industria pesante, con le sue ricadute terribili sulla qualità della vita. “Se c’è una schifezza la piazzano qui”.

Sinistra storica e sindacato hanno sempre privilegiato la produzione, anche quando minacciava la salute sia di chi ci lavorava che di chi abitava a fianco.

Per primo Sartori tenta un dialogo con i comitati spontanei di Sestri, consapevole della catastrofe in atto nel Ponente dove – rispetto al Levante cittadino – la percentuale di morti per tumore è più che doppia; del ricatto che contrappone il posto di lavoro alla salute. Soprattutto immagina un’industria nuova, non più inquinante, sogna spazi verdi per il quartiere. Uno sviluppo basato sull’innovazione tecnologica, la ricerca e la compatibilità ambientale. Propone che negli spazi Italsider si insedi la facoltà di ingegneria, saldando produzione, città, Università e centri di ricerca. Così noleggia un pullman e accompagna amministratori genovesi e liguri, sindacalisti, dirigenti industriali a Sophia Antipolis, dove 30mila persone sviluppano nel verde alta tecnologia a zero impatto ambientale

Sono gli anni della crisi delle partecipazioni statali, dello smantellamento di IRI ed ENI, della rinuncia pubblica a imprese strategiche; persino quelle con bilanci in attivo. Gli insediamenti hi-tec promessi da Prodi non arriveranno mai. Viene smembrata Italimpianti/Iritecna, la prima impresa della conoscenza italiana, sulle aree liberate dell’Ansaldo sorgono multisala e centri commerciale: IKEA, Leroy Merlin, e altri. Genova non è più un vertice del triangolo industriale, perde 200mila abitanti, si terziarizza e la popolazione invecchia.

Oggi chi governa città e regione gongola se apre nuovi supermercati Esselunga, invece che Coop. Nessuna idea di sviluppo, nessuna politica di spin-off. L’insediamento di IIT non “fertilizza” il territorio di nuove imprese tecnologiche. Si disse che ha gemmato solo le tre trattorie di Morego dove mangia il personale.

Eppure le condizioni c’erano, stante la presenza a Genova di importanti centri di ricerca; e anche a La Spezia con l’Enea. Mancò la volontà politica.

Nicola Caprioni

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

S’infittisce il mistero dei cassonetti “furbi”

Da tempo si cerca di capire cosa celi l’operazione annunciata da Amiu e dal Comune di Genova con la definitiva messa a regime del sistema di raccolta differenziata basato sui cassonetti definiti “furbi”; ormai presenti da tempo in larga parte della città. Ossia l’attivazione del meccanismo di apertura a mezzo badge elettronico, che consentirà alla nostra amministrazione – in fregola di trasformarsi nel Grande Fratello di orwelliana memoria – un pieno controllo del monte rifiuti prodotto da ogni famiglia, per un addebito di tale servizio personalizzato all’utilizzo. Già abbiamo evidenziato limiti e contraddizioni dell’operazione (alti costi manutentivi, aumento esponenziale di abbandoni e/o conferimenti inappropriati dei rifiuti, premio ai comportamenti scorretti a fronte della punizione di quelli corretti); mentre numerosi comuni italiani tornano alla raccolta porta a porta che consente risultati del 65% (quando il sistema cassonetti non supera il limite fisiologico del 35%). Eppure i nostri amministratori continuano a tirare dritto. Ci si chiede il motivo di tale determinazione. Vincoli sindacali? Velleità d’immagine quale amministrazione all’avanguardia tecnologica? Matura il sospetto che giochino altre ragioni, individuabili seguendo la regola che il nostro sindaco americanista definirebbe “follow the money”, segui il denaro. Visto che l’operazione cassonetti “furbi” comporta l’investimento non da poco di un quaranta di milioni (se invece fossero “intelligenti” alla cinese, con riconoscimento facciale dell’utente, si arriverebbe a 600, di milioni). Quanto ormai appurato è che altre amministrazioni hanno acquistato tali contenitori al prezzo di € 1450 cadauno. E qui da noi? Interrogato al riguardo dal consigliere Matteo Crucioli, l’assessore Campora ha preferito rispondere a voce (per non lasciare traccia? In base all’astuto principio verba volant, scripta manent) che non ricordava il prezzo pagato ma che doveva aggirarsi sui 2/2,1 mila € al pezzo. Dunque un 35/40% in più dei prezzi correnti. E per quanto riguarda i fornitori, l’assessore prometteva di fornirne i nominativi. Ma ad oggi se ne è ben guardato dal farlo. Dunque il mistero si infittisce. Giustificando il sospetto di ricarichi indebiti sull’operazione. Del resto era lo stesso sindaco Bucci – quando amministrava Liguria Digitale, il buyer di prodotti informatici per Regione Liguria – a rincarare alla grande quanto rivenduto all’Ente di riferimento. Lui diceva “per quadrare i conti aziendali”.

Pierfranco Pellizzetti

A proposito della Sovrintendenza genovese

Lunedì 9 la commissione territorio del Comune di Genova trattava l’argomento funivia del Lagaccio. Presenti i comitati, le associazioni ambientaliste, i funzionari comunali e i progettisti. Assenti i rappresentanti della Sovrintendenza. Mentre l’architetto responsabile dichiarava di essersi confrontato proprio con l’Ente, per cui il progetto seguiva i suoi consigli. Ora ci si chiede perché dare dritte ad appaltatori di opere pubbliche e non confrontarsi con quartieri che si troveranno una funivia sulla testa.

Per non parlare dell’andazzo dei pareri. Di recente è stato validato il progetto per le perforazioni a Corvetto e quello di un supermercato in via Corsica. In tutte e due i casi senza dialogo con i cittadini. Altra perla: il parere favorevole alla muratura delle arcate sotto corso Andrea Podestà fino al Ponte Monumentale, funzionale a una palese speculazione edilizia. Tra l’altro non ci si cura degli alberi del viale, che hanno pure radici. Ed è ovvio che queste sarebbero cresciute bucando il soffitto delle abitazioni ricavate. Ora il Comune pensa bene di abbatterli. Ovviamente la Sovrintendenza dice OK. Sicché si vuole piazzare piante di prima grandezza dentro cassoni di cemento, così muoiono e il problema è risolto. Comportamenti incredibili quanto ricorrenti. Vedi l’autorizzazione a Euroflora nelle ville storiche di Nervi, con 230 alberi crollati e mai ripiantati dal 2017; il via libera all’atterraggio di elicotteri a Quinto, nel prato debitamente asfaltato dell’ex tiro al piccione. E così via. Una serie di autorizzazioni date con motivazioni diverse e senza confronto civico. Come nella prossima avventura della metro di Corvetto: 50 milioni buttati via, quando la fermata vicina dista appena dieci minuti a piedi. Altro comico scialo all’Acquasola: lo scavo per la nuova stazione della metropolitana con approvazione vincolata. Ossia si scenda fino a 25 metri di profondità, ma con mezzi non impattanti; perché “lì sotto potrebbe esserci qualcosa che deve essere salvato”. Persino io so che ci sono resti umani sepolti dal ‘600. Difatti lo sa pure la Sovrintendenza, che vuole andarci piano perché maniman gli scheletri potrebbero risorgere e presentarsi nei suoi uffici: giusta punizione di scelte il cui unico scopo è non disturbare i grandi affari. Ovvio che rischiano di finire sotto processo; dove la Sovrintendenza dovrà dare spiegazioni.

Non è questo il ruolo di un’istituzione governativa chiamata a operare in trasparenza e dialogo con la cittadinanza.

Andrea Agostini

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Liguria WOKE (e “Genova che osa” non ci sta)

Il termine “woke” è un’espressione gergale afro-americana – letteralmente “risvegliato”, traslato in “stai attento” – che ha subito uno slittamento semantico: ora definisce strategie di marketing delle multinazionali che si rifanno l’immagine promuovendo campagne per l’ambiente e contro le disuguaglianze; mantenendo costante attenzione a non inceppare i meccanismi che moltiplicano i loro patrimoni.

Un comportamento che la critica bolla “insincero e farisaico”. Ma i nostri amministratori locali – da bravi provincialotti sempre sensibili a ogni novità degli States – hanno immediatamente recepito il plot di Top d’impresa miliardari che giocano a nasconderello dei loro veri intenti incartandoli nei buoni sentimenti. Anche se tra il duo Bucci&Toti e un Jeff Bezos di Amazon (attualmente l’uomo più ricco del mondo) o un Larry Fink di Black Rock, il colosso USA degli investimenti con $ 9 trilioni di raccolta, c’è una differenza di peso specifico non proprio di poco conto. Mentre identica è l’astuta insincerità con cui prendersi gioco della pubblica opinione. Bezos lancia la propria Fondazione per la difesa dell’ambiente, foraggiata con 10 miliardi, e intanto Amazon risulta la seconda azienda più inquinante al mondo, dopo le estrattive. Fink chiama a raccolta i Ceo clienti per promuovere la transizione energetica mentre investe 85 milioni nelle compagnie del carbone. Seppure a scartamento ridotto, Marco Bucci coltiva megalomanie da grandi opere impegnando milioni del Pnrr in uno skymetro che andrà a regime a metà secolo, dopo essersi pavoneggiato con il ponte di Renzo Piano che se dura la metà del Morandi ci sarà da segnarsi col gomito o la diga costruita sulla sabbia; perfetta per accontentare Aponte e anticipare soldi al costruttore. Puro wokismo il buccesco “appartamentini” per container dove segregare minorenni immigrati. Sempre tratteggiando mirabilie futuriste acchiappacitrulli e malpagando chi ci ha lavorato; da Ocean Race alla festa dei jeans. Sicché Genova che osa dichiara: “siamo una città malata di cattivi lavori. Pagati poco, in nero, poco soddisfacenti”. Intanto Giovanni Toti piazza red carpet nelle 5 Terre per farci sentire tutti a Hollywood e ingaggia scampoli di Mediaset per entertainment da sagra paesana. Attracca a Vado la nave dei veleni promettendo il taglio delle bollette (o la sua rielezione?). Se qualcuno protesta, ecco la replica woke: tutta invidia. Perché, secondo il carrierista, chi non lucra privilegi ha una sola aspirazione: ottenerli.

Pierfranco Pellizzetti

“Ma se ghe pensu”, il nuovo “Sarchiapone” di Toti per l’entroterra

Politica come una gag di Walter Chiari: Giovanni Toti, con le sue fallimentari iniziative per l’industria, l’ambiente e soprattutto sanitarie, mostra sempre più palesi inadeguatezze. Però gli va riconosciuto che c’è un ambito in cui eccelle: la propaganda.

Difatti, con i soldi prelevati dalle tasche dei liguri, le sue campagne di comunicazione riescono sempre a “vendere” al cittadino profano verità totalmente immaginarie.

Ora è il turno dell’entroterra e dell’agricoltura. I cui problemi sono enormi; dal dissesto idrogeologico, alla sistemazione di una viabilità spesso sconvolta da frane, smottamenti e crolli di ponti per mancate manutenzioni.

Eppure vantiamo prodotti di gran pregio, noti a livello mondiale: olio, vino, basilico, fiori e altro. Ma rimane un comparto di nicchia, frammentato e bisognoso di sostegni.

Specie nelle aree interne, là dove ancora resiste un’agricoltura a conduzione famigliare; che occupa persone in età avanzata.

Toti propone un piano di interventi e politiche di sostegno? Decide stanziamenti o contributi? Pensa di dare una mano ai piccoli comuni appenninici, senza personale e che si dibattono tra mille difficoltà? No! Lancia un’iniziativa immaginifica: “Ma se Ghe pensu”. Di che si tratta? Una campagna d’immagine che propina agli agricoltori dell’entroterra e agli amministratori locali la solita “fiction Toti’s style”. Nessun provvedimento concreto e spendibile, solo puri e semplici slogan. A cui il nostro “Governatore” ci ha abituato da tempo. D’altra parte il suo mestiere precedente era quello di “trombettiere” al servizio dell’illusionista Berlusconi.

Che tristezza! Una Liguria con la più ampia superfice di territorio coperta da boschi e foreste, con produzioni eccellenti, che non riesce a investire le somme del PSR (Piano di Sviluppo Rurale): neppure il 50% dei fondi a disposizione per la crescita agricola d’area. Difatti si colloca in 20a e ultima posizione tra le regioni italiane per capacità di spesa; a distanza da Emilia, Veneto o Toscana.

Perciò i nostri agricoltori considerano Regione Liguria non un partner, ma un ostacolo allo sviluppo del proprio settore. Un settore- per di più – sottoposto a una soffocante rete di controlli e faticose incombenze burocratiche. Stante che gli uffici dell’assessorato competente costituiscono, con la loro esasperante lentezza burocratica di stampo borbonico, una strozzatura persino nell’assegnazione dei fondi dedicati.

Con drammatiche ricadute negative sulla sopravvivenza dell’intero mondo rurale.

Nicola Caprioni

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Il Grande Vecchio delle banchine genovesi

Aldo Spinelli proclama sempre di avere a cuore prima di tutto le sorti del porto e dei suoi lavoratori. Stavolta ha chiesto all’Autorità portuale la concessione dei nuovi piazzali a seguito del tombamento delle calate Giaccone, Concenter e Inglese sotto la Lanterna. Si tratterebbe di aggiornare il Piano regolatore portuale vigente per accorpare in un’unica banchina i ponti Etiopia, ex Idroscalo e San Giorgio e le concessioni oggi in capo al gruppo Spinelli, fra cui Terminal Rinfuse Genova (partecipato da MSC). Per quest’ultimo, a dispetto del recente rinnovo trentennale ottenuto con un piano di impresa basato su rinfuse e rotabili, Spinelli chiede il cambio di destinazione per i container. Con ciò il porto perderebbe una specializzazione che produce ancora oltre 600mila tonnellate di rinfuse e impiega 39 addetti. Mentre i prodotti chimici pericolosi, che Bucci vuole sostituire a 5milioni di tonnellate di merci varie a Ponte Somalia, valgono solo 200mila tonnellate l’anno. Così va questo porto di Genova: si prendono decisioni a favore di interessi particolari, mai dei traffici e del lavoro.

I quotidiani hanno dato risalto alla mossa di Spinelli. Il Secolo XIX ha sparato un titolo squillante: “nasce la mega-banchina container. Previsto un impegno di 800 milioni e traffico per 3 milioni di Teu”. Il giornalista non si è accorto (?) di riportare cifre gonfiate. Basti dire che il terminal PSA Prà, il più grande gateway d’Italia, in 30 anni di concessione ha investito 400 milioni ed è arrivato a 1,6 milioni di teu; che stanno pure calando a 1,4. Invece Repubblica dà direttamente la parola a Spinelli, senza mai contraddirlo: «Non è un progetto per me ma per tutto il porto, aumenteranno i traffici e il lavoro». Ovviamente Spinelli si aspetta i tombamenti da parte dello Stato e la concessione delle nuove banchine tutta per sé, senza la messa a gara.

Del resto quando mai Spinelli ha perso una gara o non ha avuto da Palazzo San Giorgio ciò che voleva? Il deposito per container vuoti nell’area ex ILVA, già destinata all’autoparco atteso da 20 anni; il Terminal Rinfuse e le merci varie al Ponte ex Idroscalo; l’ex carbonile ENEL che doveva risolvere la questione dei depositi chimici; l’area a Prà per lucrare sulle rendite dei “vuoti” e sul via vai dei camion, che gli è valso 6 milioni di euro di ristori da Palazzo San Giorgio per il crollo del Morandi. Come se per scarrozzare un container vuoto in giro per il porto avesse rinunciato a transitare per il ponte!

RDI

Il porto da tre soldi, ovvero la ballata di Spinelli

Le parole di Spinelli sono oro colato per l’establishment politico: quando propose di chiudere la nuova diga alla foce del Polcevera (soluzione da codice penale per procurato pericolo all’incolumità pubblica di tutto il Ponente), stando al Secolo XIX Toti, Bucci e Signorini, Rixi e pure Salvini avrebbero dato l’immediato ok.

Questo è il carisma di Spinelli.

Dove nasce? Dal fatto che procura traffici e lavoro al porto, oppure che altro? A tale riguardo abbiamo esaminato quanto Spinelli ha promesso in passato e quello che poi ha fatto. Genoa Port Terminal, che vale circa il 30% del fatturato del Gruppo Spinelli, nel 2017 ha ottenuto di movimentare a Ponte Ex Idroscalo rimorchi e container. Nel piano di impresa si prometteva un aumento annuo di almeno 120mila teu. Nel 2022 ha movimentato solo 14mila teu in più, compresi anche quelli in promessi per Ponte Etiopia e per l’ex Carbonile. Circa l’occupazione il piano prometteva almeno 30 nuovi dipendenti e l’utilizzo medio annuo di ulteriori 7 portuali della Culmv. Ebbene, nel 2017 l’Autorità portuale certificava per GPT 192 dipendenti + 19 Culmv = 211 addetti, mentre oggi sul sito ufficiale di GPT si dichiarano 149 + 39 Culmv = 188 addetti; pari a 60 addetti in meno. In 7 anni il fatturato del gruppo è cresciuto solo del 2,3% mentre l’utile è aumentato del 68% grazie a un aumento sfrenato della produttività del lavoro.

È solo grazie a queste vane promesse che Spinelli ottenne da Palazzo San Giorgio il Ponte ex Idroscalo e l’ex Carbonile; e non risulta che Signorini/Piacenza abbiano mai verificato i suoi piani di impresa. come legge impone. Queste concessioni, insieme al Terminal Rinfuse acquisito senza esperienza del settore (tant’è che se ne vuole disfare), consentono a Spinelli un’arbitraria pretesa: chiedere allo Stato di spendere centinaia di milioni di euro per una banchina container di 1000 metri solo per lui. Un investimento pubblico che di sicuro farebbe crescere il valore delle sue società, in attesa di venderne la proprietà, ma non i traffici e il lavoro; visto che le altre banchine di Genova, Vado e La Spezia operano al di sotto delle capacità. E le prospettive del trasporto container sono preoccupanti.

Sarà la sorridente faccia tosta e la riconosciuta abilità nel tagliare ogni ostacolo alle sue iniziative portuali, il motivo per cui al nome Spinelli ben si accompagnano i versi di Bertolt Brecht, «mostra i denti il pescecane e si vede che li ha, Mackie Messer ha un coltello, ma vedere non lo fa»?

Riccardo Degl’Innocenti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Al battesimo del tanto atteso difensore della sanità pubblica?

Ormai da anni in tutta la Liguria esplodono proteste per la politica sanitaria di Toti e i suoi effetti disastrosi sulla salute dei cittadini: le manifestazioni di piazza ad Albenga e Sarzana, contro la cessione ai privati dell’ospedale di Cairo o lo svuotamento di quello di Rapallo. Si profila la replica spezzina del triste caso del Felettino, in cui Toti affida l’ospedale ai privati remunerandoli con interessi altissimi, indebitando istituzioni e cittadini per i prossimi 30 anni. Analogo meccanismo pare in avvio per il nuovo ospedale agli Erzelli. Sicché 80 associazioni, sindacati, comitati e circoli delle quattro province liguri si sono riuniti a Genova dando vita al Fronte comune – insieme per la sanità pubblica.

Un indubbio salto di qualità, che supera rivalità territoriali e piccoli egoismi, per una lotta contro la linea politica totiana e i massacri che ha perpetrato. Il primo obiettivo è aggregare le realtà liguri per creare un soggetto unico che rappresenti le istanze dei territori ottenendo risultati tangibili. Una grande coalizione per contrastare l’impoverimento del servizio sanitario nazionale “in favore dei privati”.

«Oggi assistiamo a diseguaglianze gravissime per quanto riguarda l’accesso alla sanità pubblica – spiega Claudio Calabresi rappresentate del nuovo Fronte Comune – e per farlo dobbiamo contrastare l’avanzata della privatizzazione. L’idea è quella di organizzare una grande manifestazione popolare entro novembre, il più allargata possibile, per chiedere con forza il cambio di passo».

I temi sul tavolo sono tanti: «nonostante la lezione del Covid, invece di invertire la tendenza in atto da anni, la sanità pubblica è sempre più trascurata e le soluzioni che si stanno prefigurando in gran parte del Paese – e certo in Liguria – disegnano un futuro peggiore per la salute di tutti: la medicina territoriale è sempre più carente e in molti territori non è neppure più presente il medico di medicina generale. Le strutture previste dal Pnrr appaiono oggi un’utopia».

Ma le sfide sono già incombenti: «il disegno di legge per l’autonomia differenziata potrebbe dare il colpo di grazia alla sanità pubblica, decreterebbe la morte del servizio sanitario nazionale, completando la destrutturazione già in atto dello Stato Sociale; incrementerebbe il rischio che i diritti delle persone siano definitivamente subordinati a logiche di profitto ed esaspererebbe enormemente le già profonde diseguaglianze esistenti nel Paese».

Nicola Caprioni

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Fontanabuona rapallinizzata

tunnel fontanabuona

Bella immagine, vero? E questo a lavoro finito, ma durante i dieci anni di cantiere il paesaggio sarà ancora più spettrale che inquinato. È dagli anni Sessanta che ogni tanto torna a galla, come una gigantesca cacca, il progetto del Tunnel in Val Fontanabuona. Simile – come idea – al Ponte sullo Stretto, meno appariscente, ma ancora più devastante da diversi punti di vista. Ambientale e idrogeologico, ma soprattutto opera inutile. Frutto di quella ideologia (chiedo scusa al mondo delle idee) pseudo pragmatica, cosiddetta “del fare a ogni costo”, tanto cara a una certa maggioranza. Inutile, a meno che per utilità non si intenda quella a beneficio della collettività ma dei furbetti che, tra un appalto e un altro, tra una praesenti pecuniae solvere (pagamento in contanti, detto anche cash, detto anche nero, detto anche tangente) trovano la loro personale utilità e quella dei vari committenti. Sono ipotesi, ovviamente, che non hanno al momento alcun riscontro oggettivo. Ma che hanno una legittima suspicione in quanto è difficile pensare alla buona fede di qualche minus habens: in politica preferisco il corrotto allo stupido, almeno dal primo ci si può difendere. Inutile perché il percorso su gomma sarebbe stato già vecchio mezzo secolo fa e oggi lo è ancora di più. Dannoso, perché il polmone verde alle spalle di una Rapallo già cementificata all’eccesso (ricordiamo a proposito il termine rapallizzazione coniato già negli anni Sessanta) sarà irrimediabilmente compromesso. Devastante anche sotto l’aspetto della conservazione del patrimonio storico culturale di questo entroterra, rimasto pressoché invariato da secoli. E a fare le spese saranno i cittadini di Rapallo e dintorni anche sotto l’aspetto della salute, perché l’opera maledetta inquinerà per sempre le fonti d’acqua collinari. È stato obbiettato che è poca cosa, in quanto tali fonti versano da tempo in stato di degrado: così, invece di recuperarle, si distruggono definitivamente. Un po’ come dire se uno è malato, invece di curarlo, uccidiamolo e facciamo prima. In conclusione: quest’opera danneggia cittadini e ambiente; e a chi giova allora? Fatevi questa domanda e – alla Marzullo – non sarà difficile dare una risposta. Follow the money, seguendo il denaro si trova chi sta spingendo per la sua realizzazione. Saranno in grado i cittadini liguri, non solo rapallini, di impedire questo ennesimo scempio? Forse sì, scegliendo con cura i prossimi amministratori tra quelli che cercano di impedirlo.

Carlo A. Martigli

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Per gentile concessione del magazine on line Piazza Levante, pubblichiamo ampi stralci dell’articolo di Antonio Gozzi, il Braveheart del Levante

Tigullio libero, considerazioni di un irredentista

Quando scrivo della necessità che il Tigullio si batta per affermare la propria autonoma identità rispetto a Genova, ottengo reazioni opposte. Da un lato il consenso trasversale; dall’altro rimostranze, soprattutto da parte di esponenti dell’establishment genovese e i loro corifei locali, che negano il problema e mi accusano di inconfessabili interessi.

Ma il mondo post-Covid è cambiato; per cui il decentramento territoriale torna a essere centrale, perché l’ideologia delle concentrazioni, degli accorpamenti, dei presunti risparmi connessi, continua a mostrare limiti e rischi. Ideologia usata in questi anni per giustificare decisioni che hanno depauperato il Tigullio di servizi e centri decisionali, finiti tutti nel capoluogo senza benefici di nessun tipo. Hanno penalizzato le popolazioni, soprattutto dell’entroterra; peggiorando la qualità della vita di chi con coraggio e fatica antropizza il territorio. Gli esempi di questo declino di ruolo e funzioni del Tigullio sono sotto gli occhi di tutti: la chiusura del Tribunale di Chiavari, la scomparsa dell’azienda di trasporto pubblico del Tigullio, la soppressione di uffici pubblici e dell’Enel…e potremmo continuare, con Chiavari privata del ruolo di capoluogo dell’area. È a rischio pure l’ASL IV. Solo la Curia vescovile resiste. Per ora.

Cancellazioni che impoveriscono il territorio, trasformato in un’anonima periferia, peggiorano la qualità della vita dei residenti, obbligano sempre più giovani a emigrare.

Il Tigullio, che negli anni 80 aspirava a diventare Provincia, è stato inserito nell’area Metropolitana genovese dalla pessima legge Del Rio. Intanto Genova riceve montagne di finanziamenti per opere infrastrutturali. Più di 8 miliardi da spendere nei prossimi anni.

Pur comprendendo l’importanza del porto di Genova e del capoluogo, una così evidente sproporzione di risorse conferma la tesi della residualità del Levante.

In questa sperequazione ci sarebbe la necessità di iniziative dal basso che rivendicassero futuro per le nuove generazioni.

Esistono le condizioni per costruire, sostenere, far crescere un movimento civico con questa vocazione? Bisognerebbe che la politica, la buona politica, scendesse in campo e guidasse questa riscossa. Ad oggi niente di tutto ciò. Eppure il Tigullio esprime ben 5 consiglieri regionali su 40, 3 di maggioranza e 2 di opposizione. Una bella pattuglia, se avesse la capacità di promuovere iniziative comuni. Ripetiamo: finora non è stato così.

Tonino Gozzi

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Gli alberi sono la nostra salvezza. Riusciremo a salvarli?

L’abbattimento di alberi è generalizzato in tutta la penisola.

Tagliano alberi nelle città, nei boschi, lungo i fiumi, persino nei Parchi Nazionali in zone a massima tutela. Se ne è già parlato più volte su questo web magazine.

Normalmente è per fare (altro) posto al cemento, per preparare progetti urbani di nuovi parcheggi (magari in centro, con una filosofia superata), per sostituire alberature storiche con alberi inadeguati, per liberare la vista a condomini in posizioni panoramiche… Piante, che sono monumenti identitari per la comunità e che vengono sacrificati in nome di megaprogetti inutili e semplicemente speculativi. Questa è la quotidiana esperienza nel Ponente ligure, ad Imperia, Sanremo, Bordighera, Vallecrosia, da cui si alzano voci preoccupate e inascoltate di cittadini e associazioni.

Assistiamo alla violazione continua dei diritti dei cittadini in materia di ambiente, salute, paesaggio, qualità della vita; tocchiamo con mano l’insensibilità di amministrazioni e di privati; continuiamo ad invocare inutilmente un necessario confronto su progettualità e cambiamenti climatici.

Italia Nostra Ponente ligure ha deciso di “assumere” un esempio positivo già visto in alcune altre città italiane e di riportarlo nel nostro territorio; dalla dotazione botanica di grande eccellenza: l’istituzione di un Garante del Verde urbano, un organismo collegiale nell’ambito di un più ampio e responsabile piano di gestione del verde cittadino.

Figure di riferimento imparziali, competenti, indipendenti che garantiscano la corretta manutenzione e gestione del suolo e del patrimonio arboreo, poiché la cura del verde deve diventare un bene comune. Italia Nostra Ponente ligure ne parlerà nella Rassegna “Sulle orme di Calvino, dalle città invisibili alle città vivibili: clima, verde urbano, gestione del territorio” nei giorni del 21 e 26 ottobre, Museo Bicknell a Bordighera.

Nei giorni del centenario della nascita dello scrittore ponentino, ci chiederemo dove sta andando la Liguria in tema di ambiente e territorio.

Daniela Cassini

PASSEGGIATE D’ARTE

Le bellezze dimenticate da riscoprire

Il bozzetto di una grande Ultima Cena all’Annunziata

La Basilica della Santissima Annunziata del Vastato erta nell’omonima piazza, oltre la facciata austera e non molto attraente, cela all’interno un vero scrigno di opere d’arte.

“La chiesa dell’Annunziata è la più bella di Genova”. Così ne parlò un personaggio non certo prodigo di complimenti come Montesquieu. Di seguito Charles Dickens rimase affascinato dalle decine di chili d’oro utilizzati nelle decorazioni (oltre 80 kg). Difatti l’interno è strepitoso, di una ricchezza che lascia attoniti. Ma tra i tanti tesori custoditi, il telero dell’Ultima Cena, eseguito nel 1618 da Giulio Cesare Procaccini (1574-1625), merita un’attenzione particolare. Il committente era un milanese anonimo, riconoscente per le cure mediche ricevute dal frate francescano Gerolamo da Nervi e l’opera era stata pensata per il refettorio del convento. Di evidente derivazione leonardesca, mostra però una resa monumentale d’ispirazione michelangiolesca, probabilmente ancora più evidente nella collocazione originaria nel refettorio del Convento – dunque a 2-3 metri d’altezza – mentre dal 1686 la famiglia Lomellini la fece trasferire nella controfacciata della chiesa, ove si trova attualmente .Il dipinto, la più grande tela esistente in città (4,80 m. x 8,50 m), ebbe fin da subito successo, influenzando gli artisti locali; soprattutto la sua “pennellata sfilacciata” per la stesura fluida e la resa luministica che conferisce alle figure dinamismo e teatralità.

Il bozzetto preparatorio, un decimo rispetto al telero, finì nella quadreria di Giovancarlo Doria, tra le altre opere dell’adorato Procaccini: le sue tele erano un settimo della collezione, già allora una delle più ricche del Nord Italia.

Proprio da questo quadro luminoso, dalle forme che sembrano in movimento, soprattutto Valerio Castello avrebbe preso l’ispirazione di quei bozzetti che – per volontà dell’Artista – diventeranno vere e proprie opere autonome, non solo “prove” di una tela a più ampio respiro. Infatti il bozzetto dell’Ultima Cena non verrà mai classificato negli inventari Doria tra gli “schizzi e i lavori preparatori”, come invece per altre opere del Procaccini. Dopo essere passata ad Ansaldo Pallavicino nel 1652, il piccolo quadro perverrà infine agli Spinola di San Luca. Descritto nelle due edizioni (1766 e 1780) della guida di Genova di Carlo Giuseppe Ratti, verrà definito “abbozzo della celebre Cena Domini del Procaccini”. Riprova sia della fama del telero dell’Annunziata, sia dell’importanza del suo bozzetto.

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga

All’origine di Genova “matrigna”

La sudditanza da Genova è scritta nelle remote pagine della nostra storia patria. Quando i Consoli contendevano il potere ai feudatari locali; nel Levante ligure i Fieschi e altre famiglie patrizie. Lo strumento utilizzato era l’estensione del dominio ottenendo la fedeltà delle popolazioni, accordandosi con i signori. Tale politica troverà applicazione nell’iniziale urbanizzazione chiavarese. I confini geografici del dominio genovese erano documentati in atti tra il 1145 e il 1168 che ponevano il limes a Rovereto, tra Zoagli e Chiavari. Nel periodo delle tensioni tra Fieschi e Malaspina – 1132-1166 – i diversi nuclei fortificati, i “castra” tra Chiavari e Sestri, stipulano patti di fedeltà o passano sotto il diretto controllo genovese. La strategia del capoluogo per estendere il dominio a levante. Fase che si concluderà nel 1167 con l’edificazione del “castrum” in Chiavari. Secondo Geo Pistarino, un passaggio decisivo per il suo ruolo futuro: “il castrum non è soltanto un complesso fortificato, è anche un istituto giurisdizionale, che conferisce un particolare status”. Dopo la fondazione del “castrum”, il dominio genovese riceve un’ulteriore validazione istituzionale: il riconoscimento di Federico Barbarossa del suo controllo sul distretto delle due Riviere, il 9 giugno 1162. Nel diploma imperiale si specifica che tale accreditamento si estende in perpetuo ai “castra” acquisiti; sicché il castello costituisce un nuovo ordinamento territoriale. Nell’ottobre del 1168 la volontà espansiva genovese trova un’ennesima conferma: la firma dei Malaspina di un atto di fedeltà e l’impegno a rispettare e tutelare il tratto viario “da Rovereto a Portovenere”. Dopo i Malaspina, anche altre potenti famiglie del Levante sottoscriveranno atti simili. Ma i contrasti non sono sopiti: nel 1172 quelle stesse famiglie si ribellano e occupano il castello di Chiavari. Infine si giunge al 19 ottobre 1178, quando i Consoli genovesi statuiscono la nascita del borgo “il processo di nascita dell’odierna Chiavari è sostanzialmente compiuto”. Il documento programmatico stilato reca già in premessa un’indicazione politica importante: “Lodo riguardante un territorio del Comune di Genova che si trova verso il castello di Chiavari perché sia edificato dai burgensi”. Ciò conferma due aspetti decisivi: sia l’autorità genovese che il compito dei “burgensi” di urbanizzare la nuova comunità. L’attestato di un governo baricentrato su Genova: non molto è cambiato.

Getto Viarengo

In questo caso, più che Genova matrigna, autolesionista

La fertile amicizia con la Germania svanisce nell’indifferenza genovese

All’inizio dell’anno prossimo, la già declinante cultura genovese perderà uno dei suoi più importanti riferimenti storici.

Il Goethe – Institut di Genova (‘Il Goethe’, come familiarmente lo si chiama in città) chiuderà i battenti entro il 31 gennaio 2024 per decisione della Repubblica Federale Tedesca. Tale decisione è stata presa nel quadro di un ri-orientamento delle politiche culturali di Berlino in favore dell’Europa centrale e orientale, del Pacifico e degli Stati Uniti. Resteranno attive le sole sedi di Roma, Milano e Napoli.

Indipendentemente dalle ragioni che hanno indotto questa scelta, a colpire noi genovesi è il silenzio indifferente con cui il fatto è stato accolto da Comune e Regione; che non sapendo ancora a chi affidare le politiche culturali, preferiscono rivolgersi di volta in volta alle ideuzze di qualche ras locale. Eppure, i motivi per continuare ad assicurare alla cultura e alla lingua tedesca un posto di rilievo nella nostra città non mancano.

Esiste ed è ben radicata a Genova la Scuola Germanica, scelta da un gran numero di famiglie nostre concittadine per sottrarre i propri figli al declino della scuola pubblica.

Esiste una ricca tradizione di scambi, cooperazioni, incontri tra il mondo germanico e quello genovese, al centro dei quali si è sempre trovato il Goethe Institut. Basti menzionare – tra tutte – le sue felici collaborazioni con il Centro Culturale Primo Levi, espressione della cultura ebraica. La stessa nuova ‘vocazione’ cittadina per il turismo – in gran parte d’area germanica – solleciterebbe il mantenimento e rafforzamento di quegli antichi vincoli di amicizia. Mentre – purtroppo – si apprende che l’insegnamento del tedesco sparisce non solo dalle scuole secondarie ma anche da quelle a spiccata vocazione turistica. Mancano gli interpreti, mancano le guide, mancano le più elementari conoscenze linguistiche. Ancora: l’Italia sarà la protagonista al Salone del Libro di Francoforte nel 2024; un’opportunità anche per Genova e la Liguria di essere presente con appropriate iniziative a quell’importante evento internazionale. Per non tacere il fatto che l’altro grande Salone del Libro – quello di Torino – dedicherà l’edizione del 2024 proprio…alla lingua tedesca. Dunque, e Genova? Non è possibile raccogliere l’eredità gloriosa del Goethe, creando ex novo un Centro in cui si promuova e coltivi – attraverso la lingua, la cultura, gli scambi commerciali – un’amicizia così preziosa, così faticosamente riconquistata nel nome dell’Europa?

Michele Marchesiello