Numero 10, 31 ottobre 2023

SAPERE PER DECIDERE

CONTROINFORMAZIONE LIGURE

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Numero 10, 31 ottobre 2023

Indice

SPIFFERI

Edonismo totiano C:\Users\HP\AppData\Local\Microsoft\Windows\INetCache\Content.MSO\9C745C00.tmp

Per Agatha Christie tre indizi fanno una prova. Ormai segnali di bisbocce boccaccesche in Regione arrivano a bizzeffe; seppure ancora non configurino reati. Si è parlato di politici consumatori finali di ragazze a tassametro in compiacenti villette alla periferia di Genova (e tralasciamo la polvere bianca, visto che questo consumo è diventato la normalità per un certo milieu decadente). Poi si viene a conoscenza della trasferta extra-lusso di Giovanni Toti e la sua corte al Grand Prix di Singapore, giustificata come improbabile campagna promozionale. Dunque, la prova che questi nostri amministratori regionali sfruttano la loro condizione all’insegna del godereccio da nuovi ozi di Capua: harem, abboffate, consumi vistosi a sbafo. Anche grazie all’assenza di effettivi contrappesi politici.

E magari fanno pure i corsi di formazione per l’orientamento al cliente

Banca Intesa San Paolo ha ben sessantadue filiali in Liguria. Ora già 300.000 loro clienti in Italia sono stati – a loro insaputa, con una semplice comunicazione on line – trasferiti a un’altra banca del gruppo – Isybank – nome che scimmiotta easy. Un’operazione che ha cambiato per i tapini coinvolti tutti i dati bancari, compreso l’Iban, il coordinamento con le carte di credito, i rid e via dicendo. Crediamo sia giusto denunciare questa manovra, legalmente border line, che già coinvolge numerosi clienti della nostra regione. Altri hanno chiesto informazioni alle sedi locali e si sono sentiti rispondere che l’operazione è partita dalla Direzione Generale e loro non ne sanno nulla. Un legale ci ha confermato che è diritto richiedere il ripristino del conto originario.

Ambasciatori di Genova nel mondo. Che ridere!

Cresce la lista del nostro sindaco. Con un solo incidente di percorso: le dimissioni del neo-nominato manager motociclistico, rivelatosi poco diplomatico dicendo che “le donne sono come i cani” e “i gay non possono guidare moto veloci perché effemminati”. Sicché vorremmo capire le logiche con cui Bucci sceglie i suoi fiduciari. Del resto il nostro sindaco è sempre un po’ bizzarro. Come quando dichiarava che i precari stranieri ricercatori dell’IIT, tornando a casa avrebbero promosso l’immagine della nostra città (nientemeno che vista da Morego). Quindi per lui il vero ruolo dell’Istituto è quello del tour operator. E che farà questa folla di diplomatici per gioco? I piazzisti? Venerdì 20 Crozza sbeffeggiava Bucci e i suoi ambasciatori: un bel capitale di visibilità per l’uomo del fare.

C’È POSTA PER NOI

Riceviamo da una nostra concittadina infuriata

Genova meravigliosa? Ma mi faccia il piacere!

Martedì, 24 ottobre 2023, ore 14:10. Mi trovo in Albaro, incrocio Via G. Bruno con Via De Gasperi. Piove a dirotto, ma è normale. Siamo in autunno. Quello che non è normale è l’allagamento dei marciapiedi, Via Pisa, Via Caprera, i tombini otturati dalla spazzatura e dall’onnipresente plastica. Acqua alta 20 cm che non consente l’avanzare dei pedoni, me compresa, molto arrabbiato e delle auto, ferme e quindi inquinanti. Genova è una città in salita e sappiamo che l’acqua scorre verso il basso, il mare. “Caro” sindaco e “cari” assessori, che avete criticato le precedenti amministrazioni, cosa avete fatto per la città, per il territorio, col denaro pubblico? Coi soldi dei cittadini? Pessima gestione del territorio e dei servizi.

GENOVA MERAVIGLIOSA. Vorrei sapere cosa vuol dire per voi il termine “meravigliosa”.

Maria Foti

Un appuntamento da non perdere

Prosegue il viaggio del nostro Degl’Innocenti nel labirinto finanziario che alimenta il regno di Giovanni Toti & Co.

Follow the money N° 2

Riguardo al sistema di auto-finanziamento messo in piedi dal Presidente di Regione Liguria Toti, di cui scrivevo nello scorso numero di Controinformazione Ligure, un aspetto critico significativo concerne la legge che non impedisce – ma è davvero così? – a un’azienda che ha in corso procedimenti di gara o autorizzativi in un Ente, di donare denaro a un personaggio politico che tale Ente presiede; senza peraltro che questi faccia una piega. A parte la “flagranza” nei casi, di cui si è già parlato, Castelluccio (vincitrice del progetto per il porto di Pegli e donatrice di 4mila€ al Comitato Toti) e Marin San Lorenzo (beneficiaria dell’appalto per la variante dell’omonimo porticciolo e finanziatrice per 30mila€ del solito Comitato), basta scorrere la lista dei donatori per scoprire a ogni riga un “corpo del reato”: Europam, Gruppo Messina, Spinelli, Gruppo GIN, Cantieri San Lorenzo, Gruppo Amico, AEP esselunga, Colucci Discariche e altri 150 donatori.

A tutto questo aggiungiamo solo due ulteriori coincidenze: nel 2020, allo scoppio del Covid la società Imagro Spa ottiene l’appalto dalla Regione per 30mila mascherine a 4,70 € l’una, mentre quasi nello stesso momento versa 20mila € a Toti. Pellegrini Spa nel 2020 versa 30mila € al Comitato Toti e successivamente vince un lotto alla gara per le mense ospedaliere della durata di 8 anni.

Perché un’azienda spende dei soldi, tanti soldi, per darli a Toti? Dato il carattere assolutamente utilitaristico dell’azienda, quali benefici si aspettano i suoi azionisti? Tutti i donatori hanno delle esigenze che in qualche modo e, misura dipendono dalle decisioni del presidente Toti. C’entra poco la politica in termini di orientamenti ideologici, per un’impresa quello che conta è solo il profitto che si realizza. Insomma, tutto di assoluto interesse materiale, nonostante i codici etici che le imprese, più sono grandi e tracotanti, più amano sbandierare. Anche qui un esempio curioso per concludere. Europam, che guida la classifica dei contributi a Toti, ha scritto nel proprio codice etico che l’azienda “si astiene dal fornire qualsiasi contributo, diretto o indiretto, sotto qualsiasi forma, a partiti, movimenti, comitati ed organizzazioni politiche e sindacali, a loro rappresentanti e candidati”. Chi è più ipocrita, il donatore o il beneficiato? Riccardo Degl’Innocenti

Bucci e Toti in visita all’Europam con tanto di gagliardetto

ECO DELLA STAMPA

Festa per il primo anno del Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano

Pubblichiamo un ampio stralcio dell’inchiesta apparsa su il Fatto Quotidiano di domenica 22 ottobre sui genovesi VIP che il sindaco Bucci arruola con il pomposo e vaghissimo titolo di “ambasciatore di Genova nel mondo”. Un modo come un altro per consentirgli di appagare la sua palese passione per i ricchi.

192 ambasciatori del sistema Bucci

Pur essendo un incarico gratuito (cosa molto apprezzata da queste parti), attribuito a personalità che si sono distinte in vari ambiti, è diventato anche un modo per dare visibilità, e dunque elargire favori ad amici, sostenitori e relativi parenti.

Difficile spiegare altrimenti come in poco tempo la rappresentanza diplomatica bucciana sia lievitata al punto da fare concorrenza alla Farnesina: 192 ambasciatori (191 dopo le recenti dimissioni), cioè tre in meno degli Stati riconosciuti dall’Onu. Una lista che, a scorrerla, è un interessante spaccato del potere cittadino. Nell’elenco c’è ad esempio il marchese Giacomo Cattaneo Adorno, immobiliarista che dopo Mani Pulite riparò in Brasile per sfuggire a una condanna definitiva per concorso in concussione. Rientrato nel 2006, coinvolto in un’indagine fiscale, è stato tra i sostenitori di Bucci della prima ora. Un anno fa l’amministrazione lo ha autorizzato a lottizzare la collina di Vesima, una delle ultime aree cittadine non costruite. Fra i grandi elettori del centrodestra spiccano anche il costruttore Davide Viziano e l’aristomanager Carlo Clavarino. Viziano e Clavarino sono coinvolti in un’operazione immobiliare finita recentemente sotto i fari della Procura: parcheggi costruiti sotto una strada tutelata dall ’Unesco, destinati originariamente ai residenti, ma accaparrati in blocco da pochi noti, tra cui Clavarino e l’immobiliarista Vittorio Malacalza. Clavarino è anche l’ideatore di Friends of Genoa, fondazione vip – ne fanno parte il vicepresidente di Gedi Carlo Perrone e l’Ad di WeBuild Pietro Salini – che spesso ospita iniziative di Bucci. C’è poi un bel pezzo di porto, dalla famiglia Costa ai Cosulich. Fra le ultime nomine c’è David Yang, responsabile europeo del colosso logistico Psa, uno dei maggiori concessionari portuali che recentemente ha ospitato Giovanni Toti e una sua delegazione in un viaggio extra-lusso a Singapore con tanto di gita al Gran Premio di Formula 1 al centro di un’interrogazione. Ci sono Alfonso Lavarello, manager vicino a Gianluigi Aponte (Msc), e neopresidente dell’aeroporto di Genova, e Alberto Zangrillo, storico medico di Silvio Berlusconi, diventato presidente del Genoa. A scorrere la lista si trova infine una cospicua rappresentanza di figli e mogli di. Del resto anche la diplomazia tiene famiglia.

Marco Grasso

ECO DALLA RETE

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Come si paventava, dopo decenni d’abbandono, via libera alla destinazione d’uso devastante, che svilisce una struttura e uno spazio urbano preziosi

Rassegna - G8, Siap: "La polizia del 2001 a Genova non c'è più, basta  accuse" | S.I.A.P. - Sindacato Italiano Appartenenti Polizia

Hennebique, conferenza dei servizi à l’ok ora devono partire i lavori

Il 19 ottobre Elisabetta Biancalani e Riccardo Olivieri scrivono su Primocanale.it:

Ora non ci sono più scuse. I lavori per la realizzazione del progetto di Hennebique , sul fronte mare di Genova, devono partire. La conferenza dei servizi che ha come capofila l’Autorità Portuale ha infatti dato l’OK. ‘Dalla prossima settimana potranno così iniziare le prime attività di cantiere che prevedono la rimozione degli ingombri presenti all’interno dell’edificio e la messa in sicurezza dell’area, il tutto propedeutico ad accelerare l’avvio di riqualificazione e valorizzazione del compendio nel rispetto delle prescrizioni’, spiega l’Autorità Portuale”

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Il vice sindaco Piciocchi ha già spiegato cosa si intende fare di Hennebique

“In tutto si tratta di 45mila metri quadrati suddivisi in sette piani, compresi la torre e il seminterrato. Nel nuovo Hennebique si insedieranno nuove funzioni, tra cui un hotel 4 stelle superior, uffici delle società partecipate di Regione Liguria, un nuovo terminal crociere gestito da Stazioni Marittime. Confermato anche il nuovo polo di Autostrade per l’Italia con uffici per 10 mila metri quadrati. Oltre alla parte alberghiera, che si estenderà per 15mila metri quadrati, quasi 9mila metri quadrati saranno destinati al social housing (appartamenti per studenti, docenti universitari e anziani). “Gli spazi sono quasi tutti commercializzati, tranne quelli più piccoli che saranno messi sul mercato nelle fasi più avanzate del cantiere”.

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

La Summa teologica predicata dal duo Bucci-Toti

Palazzo Ducale 14 ottobre scorso. Il XIX ha promosso il convegno di presentazione all’establishment genovese di Stefania Aloia, neo-direttrice del quotidiano; dal titolo non propriamente originale “Genova, una rotta Superba”. L’evento, inserito nel filone “Alfabeto del Futuro”, coinvolgeva la trimurti che ha dominato la scena locale di questi ultimi anni (Bucci – Toti – Signorini) insieme a una svogliatura di notabili, chiamati a omaggiare l’ortodossia del fare per il fare, ormai ascesa a dogma: l’investimento infrastrutturale come panacea. Dunque, il diversivo per la sincope del pensiero sullo sviluppo civico. Finché dura la Bonanza: il flusso faraonico di finanziamenti del dopo Morandi e del PNRR a scadenza 2026; declinato nei punti forti dell’agenda comunale cemento, mattoni e committenze milionarie: 1) la Gronda di Ponente, nonostante si tratti di un progetto travagliatissimo in stand-by da decenni (si dice ritornato in auge come contentino per archistar indispettite, non potendo concorrere a una gara internazionale per il post-Morandi); 2) la rinascita di Hennebique, spazio prezioso declassato a usi bottegai dopo l’accantonamento di destinazioni eccellenti (tipo sede di Ingegneria); 3) la mega Diga nel porto, ossia la catastrofe annunciata per via dei fondali sabbiosi su cui si intende ancorarla; 4) il tunnel retro-portuale: campa cavallo, visto che dovrebbe realizzarlo Società Autostrade ex Benetton; 5) residenze e uffici nella nuova Fiera, l’ennesima speculazione immobiliare dagli esiti assai dubbi; 6) il parco della Lanterna, 40 milioni di spesa prevista per consentire a Renzo Piano di “fare altro regalo alla città” (sic!); 7) lo Skymetro in val Bisagno: ne riparleremo a metà secolo, quando sarà in funzione (non aveva più senso il tram?); 8) l’hub digitale sottomarino, tanto per darsela da fenomeni hi-tec; 9) il parco della Foce, come se Genova fosse solo il suo centro gentrificato, mentre il Ponente cittadino precipita nel degrado; 10) il Terzo Valico, secolare velleitarismo di un disegno che attribuisce funzioni taumaturgiche al risparmio di qualche minuto nella tratta Ge-Mi, alla modica cifra di 900 milioni.

Ecco la summa di “Genova meravigliosa a sua insaputa”, come delirio d’onnipotenza di devastatori seriali; indifferenti alla natura specifica del luogo e ai bisogni della cittadinanza. Interessati solo a costruire scenari fantasmagorici: Toti per fare finanza e Bucci quali monumenti a se stesso. Intanto Signorini ha già preso il largo.

Pierfranco Pellizzetti

Anti-usura: il braccio finanziario ligure si rivela un braccino

La lotta alle mafie e alle molteplici forme di criminalità organizzata va condotta non soltanto da Polizia, Finanza, Carabinieri e Magistratura, ma anche attraverso iniziative come ‘ordinamenti’ alternativi allo Stato; offrendo a chi ne ha bisogno quanto l’istituzione pubblica fatica ad assicurare: lavoro, protezione per sé e la propria famiglia, assistenza medica e legale, aiuti in denaro.

Perciò va reso merito a una vecchia legge del 1996, numero 108, istitutiva del Fondo per la prevenzione dell’usura presso il Ministero del Tesoro, erogatore di contributi a favore di fondazioni e associazioni aventi come scopo la prevenzione di tale fenomeno.

Con questo fine (e grazie all’allora Cardinale di Genova Tettamanzi) è sorta e opera in città la Fondazione Antiusura S. Maria del Soccorso, tra le più attive delle trentatré operanti sul territorio nazionale. Per aiutare famiglie e individui in difficoltà economica.

La Fondazione – dotata dallo Stato di cospicue riserve – interviene prestando garanzie alle banche per favorire l’erogazione di finanziamenti a soggetti che, pur meritevoli, incontrano ostacoli insormontabili nell’accesso al credito; operando sull’intero territorio ligure mediante apposite convenzioni con le banche. In passato la Carige.

Purtroppo, da quando Carige è stata assorbita dal gigante Bper, terza banca nazionale per numero di filiali e quarta per attivo, il rapporto sembra essersi se non spezzato, inspiegabilmente interrotto. Nonostante le sollecitazioni da parte della Fondazione per la stipula di una nuova convenzione, nessuna risposta è pervenuta dall’imperscrutabile entità finanziaria. Come risultato, ben tre milioni e mezzo di euro, a disposizione per le finalità antiusura perseguite dalla S. Maria del Soccorso, risultano irragionevolmente bloccati presso Bper, senza che risulti possibile trovare un interlocutore al riguardo. Proprio mentre oggi risulta sempre più difficile l’accesso ai mutui bancari e cresce la contestuale necessità di soccombere all’usura.

Situazione grave, sintomo di un più vasto problema per la Liguria, priva ormai di una banca ‘territoriale’ o – comunque – in grado di conoscere le situazioni locali e di perseguire finalità in senso lato sociali, diverse da quella del puro e semplice profitto finanziario.

Con ciò Bper manifesta la propria indifferenza verso le esigenze dei più deboli; gli esclusi dai target doviziosi all’attenzione dei signori del denaro.

Con buona pace della lotta alla criminalità organizzata in Liguria.

Michele Marchesiello

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Maledetti architetti!

Il delizioso libercolo di Tom Wolfe metteva il dito nella piaga del narcisismo progettuale e dei danni irreparabili che genera, quando si coniuga con l’ignoranza della politica. A Genova questo matrimonio ha prodotto nell’ultimo secolo devastazioni tali da sfigurare il nobile volto della nostra città. In nome del modernismo sono stati rasi al suolo due dei sei antichi rioni in cui era suddiviso il centro storico medievale, per far posto ai quartieri di Piccapietra e Piazza Dante; la grande occasione del recupero di preziosissime aree retroportuali è stata sprecata con operazioni del macabro calibro di Fiumara; ogni edificio strategico è stato neutralizzato con inutili destinazioni commerciali. Non avendo più aree disponibili da buttare al macero, oggi si passa al restyling, per sfigurare quanto rimasto e catapultare Genova dall’austerità che la connotava al ridicolo, che così poco le si addice per storia e carattere. Stiamo parlando del progetto su piazza Dante che viene presentato e proposto al Comune, nonché pubblicizzato sui giornali, con tanto di impudente rendering. Ridicolo è già l’assunto con cui si presenta:” urbanismo tattico” (sic!). Urbanismo tattico significa “pianificazione e riqualificazione urbana con interventi temporanei a basso costo, per migliorare spazi pubblici”. E con ciò siamo già finiti in piena risata, in quanto si sa che nulla è più definitivo del provvisorio e che non esistono interventi di alto o basso costo, ma interventi giusti o demenziali. E veniamo al layout della piazza ai piedi di Porta Soprana. Non è facile descriverlo a parole, perché davvero supera la capacità di immaginazione che la parola dovrebbe evocare. Comunque: la pavimentazione della piazza è dipinta in varie tonalità di blu, perché è il mare. Nel mezzo una baracca di legno fatta a caravella evoca Colombo perché forse abitava lì vicino. La gente si siede a socializzare nella caravella. Anche i bambini dell’asilo si vergognerebbero a farsi vedere sulla caravella. Fine. Siccome non è stata realizzata da bambini dell’asilo, mentre Piacentini si rivolta nella tomba, mi sento in dovere di ricordare a questi “maledetti architetti” cos’è il kitsch. Letteralmente significa intruglio, macchia (nel senso più ampio: all’onore, all’intelligenza, sporcizia, imbrattamento). Si applica a oggetti presunti creativi, in realtà di pessimo gusto in quanto banali, idiotamente sentimentali, di basso valore culturale, furbescamente commerciali e intellettualmente naif.

Marina Montolivo Poletti

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Avevamo criticato da subito il viadotto post Morandi in quanto “bruttarello”; poi tecnici fuori dal coro ci hanno spiegato che la fretta aveva indotto scelte costruttive che riducono di circa la metà la presumibile durata temporale del manufatto. Ora apprendiamo pure che è stato strapagato. È questo il Metodo Genova?

“Chi più spende meglio spende”, e Bucci si adegua subito allo spreco

Ormai pochi ricordano ‘Telematch’ condotto da Enzo Tortora, tra i primi programmi a premio della Rai. Uno dei momenti più appassionanti era il gioco dell’Oggetto misterioso, di cui occorreva indovinare l’impiego.

Analoga sorte sembra spettare oggi al ‘Metodo Genova’, entrato ormai nel ricco repertorio di bufale destinate al popolo bue. Se ne conoscono la tragica occasione (si spera irripetibile), il prodotto (un modesto viadotto griffato archistar), le modalità tecniche che lo hanno materializzato. Ma non se ne conosce l’intrinseca essenza.

Anche perché di tale operazione ignoriamo i costi reali, l’attribuzione effettiva degli stessi, i criteri di scelta applicati agli appalti, la presumibile durata, il confronto con opere analoghe sfuggite alla filosofia dell’affidamento ‘diretto’. Sicché la proclamata ‘estrema urgenza’ della ricostruzione sembra avere messo a tacere i timidissimi sostenitori del rigore e del rispetto delle norme a tutela dell’interesse pubblico.

A detta dei competenti, le somme investite nel viadotto subentrato al Ponte Morandi supererebbero di gran lunga (addirittura molte volte) quelle ‘normali’ di un’opera analoga, eseguita secondo un corretto, limpido ricorso al meccanismo della gara.

Vorremmo non crederlo, Ma… Comunque trasparenza imporrebbe di rendere pubblici i veri dati da sottoporre a chi afferma – in nome dell’urgenza – che il ‘metodo Genova’ è una procedura comunque apprezzabile per aggirare ‘lacci e lacciuoli’ posti a tutela della legalità. Quindi, del bene comune; questa Cenerentola delle opere, grandi o piccole, di cui l’intero Paese invoca inutilmente il rispetto. Intanto è inaccettabile adottare la parola ‘urgenza’ in un’altra situazione, quella delle autostrade che circondano Genova e la stanno lentamente strangolando. La durata dei lavori per la messa in sicurezza si protrae indefinitamente; i pedaggi continuano ad affluire nelle casse di Autostrade per l’Italia; attenta – come purtroppo sappiamo – più agli utili degli azionisti che alla manutenzione del bene pubblico sciaguratamente avuto in concessione. Il sospetto è che sarebbe stato possibile, nel frattempo, costruire un’autostrada alternativa.

Comunque, restando in tema, ecco come dovrebbe confermarsi la natura virtuosa del ‘Metodo/Miracolo Genova’: un’importante realizzane in tempi brevi, costi contenuti, eccellenza tecnica e – a suggello – ‘grande bellezza’ incorporata (che in effetti non sembra si possa riconoscere al nuovo viadotto sul Polcevera). Una chimera.

Michele Marchesiello

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Voltaire sulle banchine del porto di Genova

Pangloss, aio di Candide, disse che i nasi sono fatti per portare gli occhiali.

Il Secolo XIX fa il Candide e titola: “Navi ferme e container introvabili, frenata per i traffici”. Come deve intenderla il lettore non specialista, l’opinione pubblica? Il senso che si ricava dal titolo è che i traffici frenano a causa delle navi ferme per la mancanza di container vuoti da riempire di merce, evidentemente. «Ah, se solo ci fossero i container da riempire!». Infatti, a che cosa servono i nasi (la merce) se non hanno gli occhiali (i container vuoti)? Il “candore” che dimentica la merce, la cui scarsità è la causa effettiva della crisi dei traffici e quindi dei porti, sta nel fatto che essa sposterebbe l’analisi e le prospettive sul piano effettivo dell’economia; invece di ridurre la questione a un’inefficienza della catena logistica, all’azione speculativa degli armatori per sostenere noli e profitti. In realtà, il tema dell’economia compare nelle pagine interne del giornale (“rallentamento delle economie dovuto al raffreddamento dei rapporti internazionali e all’aumento delle guerre”), in un breve inciso e senza citare la merce, quasi fosse diventata un tabù. Del resto, per ironia della sorte, la foto in prima pagina ritrae una nave ormeggiata al terminal SECH, che per quantità di merce è sceso da 308mila teus nel 2017 a 218mila nel 2022. In tempi non sospetti di navi fantasma e container introvabili.

Perché tacere la verità? È la merce che scarseggia, non i container vuoti; che riempiono le aree del porto di Genova, quasi tutte affidate da Palazzo San Giorgio al solito Spinelli che ne ha fatto una bella rendita. Denunciare la crisi dei traffici significherebbe contraddire apertamente Signorini, Toti e Bucci che dal 2017 promettono milioni di container nuovi e colmi, quando – dati alla mano – sono diminuiti sia per numero che per tonnellate di merce trasportata. Omissioni per giustificare gli investimenti pubblici miliardari nella nuova diga, nel terzo valico e in tutte le opere motivate dal mantra dei container: “il migliore dei traffici possibili”, intonato da una leadership portuale che non intende cambiar rotta e reindirizzare gli investimenti neanche per prevenire la crisi del lavoro incombente, visto il declino dei traffici. Quando occorrerebbe delineare sviluppi alternativi al modello unidimensionale del container, mirati non a fantomatiche meganavi piene di teus, bensì a veri posti di lavoro e reali occasioni di creazione del valore; di ricchezza sociale.

Riccardo Degl’Innocenti

Il porto tradito da Bucci… e dagli imprenditori

Dopo avere taciuto di fronte al sacrificio dei terminal San Giorgio e Forest di Ponte Somalia, figuriamoci se i nostri imprenditori si scaldano per quello del CSM di San Benigno. In entrambi i casi il ras è il sindaco Bucci, grazie al ruolo di commissario e la sudditanza di Palazzo San Giorgio. Ma più scandalosa è la capitolazione del mondo imprenditoriale, che colma convegni e talk show di lai per i ritardi del Terzo valico o l’immancabile burocrazia che “impedisce lo sviluppo di traffici e occupazione”. Mentre si mette in riga di fronte a B; il quale con i depositi chimici a Ponte Somalia vuole barattare 200mila tonnellate di merce chimica e 5milioni di merce varia, 50 addetti ai depositi e 200 alla movimentazione, 24 milioni di fatturato contro 6. Confronti che paiono inverosimili. Eppure sono questi i dati ufficiali dell’operazione sfacciata, in corso grazie a B e Signorini-Piacenza. La replica di B: trovate voi un’altra sistemazione in porto ai depositi, se no andranno lì. Voi chi? È B che ha poteri “straordinari” e l’Autorità portuale al proprio servizio, che ha i soldi a disposizione. Qui si discute di depositi che possono stare anche altrove. Meglio se vicini alla banchina, certo, ma non necessariamente. È un problema di Superba e Carmagnani. Non del Comune o del Porto, se non fosse per i 50 lavoratori (ma quanti di essi lavorano davvero ai depositi e quanti al trading, che si può fare ovunque). Poi gli stessi depositi chimici non devono essere necessariamente “costieri”. Per ottenere la concessione nel porto, Superba e Carmagnani dovrebbero dimostrare di essere più proficui delle attuali concessioni e dei relativi traffici. A prescindere dagli interessi politici e personali di B. Il novello “doge”, ossessionato dal culto della propria personalità, che destina a spese di grandezza l’indennizzo alla città di società Autostrade per il crollo del Morandi. Così viene rispolverato il progetto del tunnel sub-portuale, inteso a valorizzare il Waterfront di Levante, centro degli interessi immobiliari della Giunta e di espansione urbanistica ai danni del porto industriale. Per costruire l’ingresso a ponente del tunnel, viene sacrificato un altro polo di attività e di occupazione del porto commerciale, nel silenzio acquiescente degli imprenditori portuali (il tunnel, all’uscita, interferisce con l’attività di più di 30 aziende, comprese San Giorgio del Porto e Wartsilä.

Ma la business community pare più interessata agli indennizzi che a impresa e lavoro.

RDI

E i lavoratori rimangono i soli a battersi

Dunque, il polo da sacrificare è CSM (Centro Smistamento Merci), di GMT del gruppo olandese Steinweg. Vi lavorano 28 dipendenti + 8 della Germanetti Trasporti, su 47mila mq, di cui 23mila di magazzini coperti. Dal 2015 a oggi, da quando lo ha acquistato GMT, fattura circa 3,3 milioni Euro all’anno, con un bilancio talora in perdita. A ripianare ci pensa GMT, che guadagna anche grazie alle basse tariffe che paga alla controllata, di cui è il principale cliente (nel 2022 un utile di oltre 6mil; +57% sul 2021). Tipico esempio delle strategie occupazionali multinazionali, seppure CSM sia 100% di GMT, i suoi dipendenti hanno contratti salariali ridotti (un 20% in meno che in GMT).

Si tratta del più vecchio magazzino in porto, creato 70 anni fa dagli spedizionieri, trasformatosi all’avvento dei container ma che ha conservato la pratica della “rottura del carico”: le azioni a valore aggiunto sulle merci in transito, scaricate dal container e lavorate prima di esservi reimmesse e rispedite. Embrione di un “distripark” per svolgere operazioni di confezionamento, assemblaggio, controllo di qualità, imballaggio, secondo le richieste del cliente finale? La promessa di 20 anni fa, rimasta tale, contro la deriva del “porto gateway”, dove le merci containerizzate attraversano la città senza lasciarvi valore economico e sociale; solo esternalità negative: perdita di aree, inquinamento e traffico.

Di fronte all’esproprio di CSM i lavoratori e i sindacati sono stati gli unici nella comunità portuale a protestare e sono tuttora in lotta. Gli imprenditori tacciono; sarà perché il loro collega GMT avrà un indennizzo di almeno 12 milioni.

Una parte dei dipendenti di CSM saranno assorbiti dal GMT ma gli altri saranno “abrogati” in quanto residui nella stessa società sloggiata e ridotta a dimensioni insostenibili da un punto di vista funzionale. Né si trovano alternativa per CSM in porto. Palazzo San Giorgio ha offerto 3500 mq contro i 47mila di oggi! Neppure lo spregio di dire: trovatela voi un’altra sede!

Mentre nei convegni si straparla della necessità di inventarsi attività sulla merce in transito che aggiunga valore e occupazione, mentre gli spedizionieri propagandano la Zona Logistica Semplificata in Valpolcevera; ovviamente solo se a condizioni fiscali favorevoli. Intanto, nel maggiore porto italiano scompare l’ultimo magazzino, non in un’area depressa della Calabria. Ora come sempre tocca ai lavoratori difendere l’occupazione e il capitale sociale delle banchine.

Riccardo Degl’Innocenti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

La sanità di Toti e Grattarola su Report: che brutta figura!

Per chi ha visto su RAI 3 la puntata di REPORT, dedicata integralmente alla sanità ligure, è stato difficile trattenere l’indignazione per questi amministratori regionali e la vergogna per la situazione della sanità ligure a livello terzo mondo. Ci fu un tempo lontano nel quale era un punto di eccellenza nazionale; col Gaslini, l’IST, il CBA, il centro di chirurgia della mano a Savona e poi Pietra Ligure e tanto altro. Oggi solo rovine, sprechi, fuga di pazienti, code infinite per esami e visite specialistiche, una perenne carenza di medici e infermieri. Con l’assessore regionale alla sanità che non sa neppure quali siano i “buchi” di organico da tamponare nel disastro della sanità ligure.

Emergono casi incredibili: la Regione di Toti ha realizzato solo due nuovi ospedali: quello di Albenga, pronto e funzionale, di fatto è chiuso; quello di Rapallo è semichiuso, con intere aree abbandonate. Altri ospedali, come a La Spezia, cadono a pezzi. La vicenda del progetto del nuovo ospedale del Felettino supera l’indicibile: la Regione fa saltare l’incarico al momento dell’inizio lavori e lancia un nuovo appalto, molto più costoso. Per di più fa versare circa 80 milioni a un privato, remunerato in 25 anni con 500 milioni e la gestione dei settori ospedalieri non sanitari (lavanderie, pulizie, bar, mense, ecc.). Adesso si vorrebbe ripetere la modalità col nuovo ospedale degli Erzelli; che non è ancora neppure progettato, ma intanto sono state chiuse ben tre strutture in val Polcevera.

L’ospedale di Bordighera è stato “regalato” ai privati. Oggi si scopre che qui ci lavorava una finta dottoressa, sprovvista di titoli professionali, senza che nessuno se ne accorgesse. Segno clamoroso di efficienza privatistica! Intanto la qualità sanitaria decade. Spesso le nuove strutture private offrono prestazioni a un prezzo illusoriamente ridotto. Poi salta fuori che i referti sono scadenti e inutilizzabili; sicché si propone al paziente una nuova visita, ovviamente a pagamento, da cui far scaturire l’esigenza di un intervento specialistico, anche questo pagabile nella clinica privata. Gli affari sono al primo posto, la salute è secondaria.

Nel frattempo, l’assessore Grattarola prosegue nelle figuracce quando fa scena muta sul tema delle liste di attesa; per poi balbettare che la colpa è del Covid; omettendo che ormai gli specialisti non vogliono più lavorare nella sanità ligure. Tanto che il recente concorso per l’assunzione di anestesisti non a copre il 60% dei posti disponibili.

Nicola Caprioni

Perché i giovani medici si rifiutano di lavorare in ospedale?

Il dato è allarmante: le specializzazioni mediche più rappresentative (emergenza-urgenza, anestesia e rianimazione, chirurgia generale, patologia clinica, anatomia patologica, microbiologia) presentano percentuali elevate di contratti non assegnati. Tra quelle citate, le ultime tre specializzazioni in molte scuole ottengono lo zero: nessuno studente arruolato. Ciò significa che non ci saranno specializzati in queste discipline, protagoniste nella gestione del Covid e indispensabili in qualunque trattamento delle patologie sanitarie. A Genova il dato di Anaao riporta il numero di 27 contratti stanziati nel 2023 nella disciplina emergenza-urgenza, di cui risultano assegnati solo 4: il 15%, peggio del dato nazionale (24%). Sicché in futuro l’evasione delle assegnazioni, insieme alle fughe di medici in servizio, imporrà il reclutamento di cosiddetti “gettonisti”, costosi e non selezionati con i criteri qualitativi dei medici ospedalieri. Paradossalmente i tetti di spesa per il personale sanitario hanno determinato il depauperamento degli organici e condizioni di lavoro non più tollerabili. Certamente le criticità della formazione dei giovani medici sono molte, dai contenuti veri e propri di erogazione ai criteri di selezione, ma anche i costi che i neolaureati medici devono sostenere se assegnati a sedi fuori casa. Occorrerebbe una riforma della rete formativa, attualmente datata 1996, ma che pare incontri una certa riluttanza proprio dagli universitari. Ne è prova lo scarso gradimento che ha suscitato loro la possibilità che gli specializzandi vengano assunti nelle strutture ospedaliere. Comunque i giovani medici optano per specialità che garantiscono ritmi di lavoro meno stressanti, orari conciliabili con la vita privata, possibilità di lavoro nel privato con remunerazioni non bloccate da rigide dinamiche concorsuali. Tutto assolutamente comprensibile. Ma, alla luce del fallimento dei disvalori quali l’edonismo arrogante, l’individualismo povero e il rampantismo ostentato di berlusconiana memoria, forse occorrerà riflettere su quella sorta di ripiegamento sociale, impegno limitato e scarsa disponibilità al sacrificio denunciati dalle ultime indagini Censis. C’è bisogno di un impegno straordinario, nel caso della sanità pubblica anche economico, per diffondere l’orientamento al futuro, che faccia ritrovare il senso di operare per la società. E, nel caso dei giovani medici, restituire almeno in parte la costosa formazione che la collettività ha finanziato.

Nuccia Canevarollo

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Ma chi si crede Toti, monarca della Regione o questuante della Meloni?

Sempre disponibile a ogni chiamata governativa. Prono ai desiderata della Meloni, Giovanni Toti si offre come volontario per risolvere i problemi più scottanti del governo, nella speranza che a lui, poveretto, senza partito e senza consenso, concedano almeno un terzo mandato in Piazza De Ferrari.

Ecco – allora – che il presidente di Regione Liguria, venuto a conoscenza delle difficoltà della premier a Piombino, dove era destinata la prima nave rigassificatrice e dove il sindaco di Fratelli d’Italia non poteva opporsi all’unanimità dei cittadini che non la voleva, si offriva come volontario: “la Liguria è pronta a ospitare l’impianto di rigassificazione”. Da notare che la Liguria è l’unica regione italiana ad avere già un impianto di rigassificazione sul suo territorio, nella baia di Panigaglia nel golfo della Spezia. A Vado nessuno lo vuole, ma lui “compra” l’ex sindaca con un incarico di sottogoverno. Non si cura neppure della barriera umana che i cittadini realizzano lungo la costa.

Quando si pone il problema di realizzare un Centro Permanente di Accoglienza per migranti Toti, soldatino obbediente della Destra, si fa subito avanti per proporre Ventimiglia. Doveva essere a Lampedusa, ma Toti mette a disposizione l’estremo Ponente ligure. Col suo amico Bucci sostiene il progetto di spostamento di imprese chimiche pericolose come la Carmagnani e la Superba a ponte Somalia, nonostante sia stato bocciato il piano di sicurezza; e Protezione Civile, Pompieri, CULMV e il Municipio interessato si siano dichiarati contrari. Alla Spezia concede a bettoline che imbarcano camion carichi di gas di navigare da un lato all’altro di un golfo saturo di navi militari, mercantili, crociere, traghetti e nautica da diporto. Ora ospiterà a Genova la Convention Mondiale delle crociere. Ignora completamente le proteste dei cittadini dei tre porti liguri per il grave inquinamento portato dalle mega navi cariche di vacanzieri e l’incentivazione di un turismo da sovraffollamento che lascia ben poco al territorio.

C’è un tratto comune in ogni sua decisione. Non gliene importa niente di quel che pensano i cittadini interessati. Non si degna neppure di interpellare i sindaci e gli amministratori locali. Ignora l’esistenza delle parti sociali. In poche parole, parafrasando Luigi XIV, il famoso Re Sole, “La Liguria c’est moi”.

Nicola Caprioni

La mania di cambiare sesso alle parole

Ci risiamo: il vizio di declinare a capocchia i sostantivi lo si ritrova ogni tanto anche nelle pagine dei nostri quotidiani, con comici disguidi. Difatti Il Secolo XIX titola “Bordighera, falsa medica (sic) nell’Ospedale dei Privati”. A commento, il corrispondente Guido Filippi scrive che Enrica Massone (lupus, anzi lupa, in fabula) si definisce fortunatamente “medico esperto”, al maschile; senza per questo scivolare nel transgender. Mi chiedo come si definirebbe un transgender se ministro o ministra (horribile dictu). In buona sostanza se le lingue sono in evoluzione, alcune parole etimologicamente sbagliate sono diventate ormai di uso comune; e l’Accademia della Crusca ha dovuto accettarle. Vedi “Caraibi”, supina recezione nella lingua italiana della pronuncia americana del termine spagnolo “Caribe”. Per cui si dovrebbe correttamente dire “sono stato in Caribe”, piuttosto che “sono stato nei Caraibi”. Sicché “esaustivo”, ennesimo neologismo idiota tratto dall’inglese “exhaustive”, sta sostituendo in politica e pure nel linguaggio comune il termine “esauriente”; come se esaustivo fosse più esauriente di esauriente. Il che non è vero; tanto che se cercate in internet la traduzione di exhaustive, troverete esauriente. Insomma, dal piano Marshall in poi beviamo ciò che è anglo-americano come latte dalle poppe. Però sintetico, non naturale. Un po’ come Halloween. Che deriva da una festa celtica – lo Samhain – a sua volta derivata dai Feralia romani; dove per commemorare i morti si accendevano candele votive all’interno di zucche. Questa transizione pare derivi da San Patrizio, che nella missione irlandese introdusse le due festività fuse. Per concludere, ricordo ancora una volta che l’idiozia è figlia del conformismo, che tigre è singolare maschile, che io sono uno scrittore e sceneggiatore di natura maschile e il plurale femminile non mi riguarda. Che se dovessi chiamare mia figlia “medica” si metterebbe a ridere; e per una volta sono d’accordo con Giorgia Meloni (incredibile dictu), che si fa chiamare presidente del Consiglio e non presidenta. Infine ricordo al Secolo XIX che “esanime” deriva da ex anima, quindi defunto. Tempo fa scriveva che “un dipendente di 30 anni è stato trovato esanime a terra in un magazzino”. Salvo poi aggiungere che “è stato soccorso, rianimato e trasportato all’ospedale San Martino”. Rianimato, leggasi bene, per cui si è trattato senza dubbio di un miracolo da consegnare alle postere e ai posteri (per par condicio).

Carlo A. Martigli

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

La Spezia: la difficile coesistenza tra porto e città

Il Golfo della Spezia è un fiordo naturale: un riparo naturale delle imbarcazioni. Ha luoghi molto belli, ma non è uno spazio infinito. Sconta l’assenza della pianificazione strategica di un futuro per l’area; dove, in uno spazio ristretto, è ospitata la base della marina militare, a cui è dovuta la nascita della città. Oggi occupa vaste aree, anche se il numero delle navi, degli operai impiegati nell’Arsenale Militare e dei militari è fortemente calato. Quanto dovrebbe indurre una parziale liberazione degli spazi militari. Alla presenza militare si affianca il porto mercantile, che ha il suo retroterra nell’ampia piana di Santo Stefano Magra, circa 12 chilometri nell’interno.

Il porto ha movimentato oltre 1 milione e trecentomila container, con un costante aumento dopo la pausa da Covid; mentre sono in calo le merci varie per la chiusura del terminal del carbone. Il porto della Spezia presenta un dato positivo nel traffico su rotaia: lo smistamento merci per ferrovia al 30%, secondo dopo Trieste (50%).

Un problema enorme è dato dalla presenza della mega navi da crociera, presenti da circa 15 anni nel golfo, che producono un grave inquinamento atmosferico, a fronte di una ricaduta economica modesta: al di là degli sbandieramenti propagandistici di Comune e Regione, non porta reddito alla città, ma solo caos e traffico congestionato. A queste due presenze si unisce quella della nautica da diporto, che vanta due grandi porticcioli turistici all’interno del golfo e un intenso flusso di battelli per servizi turistici verso le Cinque Terre e le isole del golfo. Mentre si è pensato di potenziare il vecchio impianto di rigassificazione di Panigaglia, vicino allo straordinario sito di Portovenere, patrimonio Unesco; con la perniciosa idea di imbarcare camion carichi di GNL su chiatte, per attraversare il golfo in diagonale e approdare sulla costa opposta, vicino all’autostrada.

Una grande polemica è sorta sulla presunta restituzione alla città di calata Paita, che nella retorica del sindaco Peracchini avrebbe dovuto essere “una spiaggia in città”. Improbabile che qualcuno osi immergersi nelle acque di un porto. In ogni caso la calata è un luogo angusto delimitato da grandi gru, container e presenza di grosse navi.

Da ultimo il progetto del nuovo terminal crociere è stato bocciato dal Consiglio di Stato, confermando la sentenza del TAR con la soddisfazione delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, che ritenevano ridicolo intasare pure la vantata area libera.

Nicola Caprioni

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

La riforma Del Rio continua a far danni a Savona

Follow the money. La vecchia ricetta riportata in auge da Giovanni Falcone per smascherare i traffici criminali, può essere riutilizzata in tono minore anche per far emergere quelli che sono i rapporti di forza nell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale. Cioè l’assemblaggio farlocco imposto dalla riforma della governance marittima legata al nome del Ministro Graziano Del Rio, che ha significato l’accorpamento in un unico Ente dei due porti di Genova e Savona. All’insegna di una mal intesa efficienza come sommatoria burocratica. Fatto sta che il risultato ottenuto penalizza fortemente il soggetto di minor peso specifico, declassato a ospite in casa d’altri a Palazzo San Giorgio. Con il bel risultato di ricacciare ancora una volta all’indietro il Ponente; che pure era riuscito a riemergere, operando con le proprie sole forze, dalla crisi di deindustrializzazione degli anni Ottanta, conseguente all’inarrestabile declino della Grande Fabbrica partecipata dalla Stato e il suo indotto locale. Ossia la scoperta della vocazione crocieristica sancita nel novembre 1996 con l’apparizione – dai forti tratti emotivi e simbolici – della Costa Riviera, il primo liner ad attraccare nello scalo sotto il Priamar; poi con la realizzazione del Terminal Palacrociere che siglava la partnership tra la città e l’importante compagnia di navigazione. Un risultato reso possibile grazie alla concordia sinergica – promossa dall’Autorità Portuale – di tutte le categorie della blue economy, dai terminalisti agli scaricatori, agli spedizionieri. Una conquista sempre di più sotto minaccia per l’accentramento fisico, che è anche politico, dell’Ente di Sistema baricentrato su Genova. Con le relative attitudini egemoniche del soggetto centrale, già a partire dai criteri di spartizione delle risorse finanziarie disponibili. Appunto, follow the money. Come parlano chiaro i 3,100 miliardi di euro destinati a Genova negli interventi per progetti straordinari, contro i 100 milioni concessi a Savona. Ciò nonostante i savonesi si consolano dicendo che la loro somma sarà destinata come sempre all’efficientamento portuale. E pensano che il malloppo genovese si perderà in rivoli speculativi e spese di grandezze. Fatto sta che oggi nel Ponente il trasporto merci su treno si avvicina al 30%, mentre sotto la lanterna rimane al 14,5. Con il dato beffardo che i container su carri ferroviari di Savona viaggiano verso Nord in larga parte transitando per il nodo di Genova.

Pierfranco Pellizzetti

PASSEGGIATE D’ARTE

Le bellezze dimenticate da riscoprire

La favola dell’amor perfetto dietro vico delle Vigne

Tra via Orefici e vico delle Vigne un caruggetto e un piccolo spazio (che definire piazza è davvero esagerato) hanno il poetico nome di Amor Perfetto: ci sono varie tesi riguardo a tale denominazione. Ad esempio la presenza di una edicola votiva, oggi scomparsa, che raffigurava l’estasi della Madonna. Ma molto più affascinamente è una favola romantica, seppure priva di riscontri storici attendibili. Siamo nel 1502 e Luigi XII di Francia visita Genova che lo omaggia: si racconta addirittura di un arco trionfale ornato di aranci e melograni sotto il quale sfila il magnifico corteo di cavalieri, genovesi e francesi, sotto le insegne degli Orleans. Luigi è vestito di nero e cavalca una mula dello stesso colore, bardata di rosso e di oro. I nobili genovesi fanno a gara per ospitarlo; ed è in occasione di uno dei ricevimenti che il Re conosce la bellissima Tommasina, moglie di Luca Battista Spinola. Alla ragazza basta essere stretta tra le braccia reali per un solo ballo per far sbocciare l’amore:La dama elegge Luigi suo “intendio”, ossia la figura dell’amor cortese che rappresenta l’amore platonico perfetto.Il Sovrano lascia Genova, ma non il cuore di Tommasina che sospira dalle finestre del Palazzo Spinola affacciate sulla piazzetta celata agli occhi curiosi. Dopo alcuni mesi, il 23 aprile 1503, giunge la notizia che Luigi XII è deceduto nella battaglia di Cerignola: in realtà il Re si salva, ma Tommasina non lo saprà mai perché straziata dal dolore del perduto amore muore di lì a poco nel Palazzo Spinola. Il re, che non l’ha mai dimenticata, invia a Genova il suo amico scrittore Jean D’Auton che, informato della tragica vicenda, scrive un’opera; posta per volontà del Sovrano nella tomba di Tommasina. Passa il tempo e LuigiXII ritorna a Genova e chiede di vedere il palazzo nel quale si è consumata la tragica vicenda: guarda la piazzetta, guarda le finestre della dimora degli Spinola ed esclama “poteva essere amor perfetto”. Così vicolo e piazza avrebbero preso quel nome…

Come detto, la vicenda non ha grande attendibilità storica, tuttavia i personaggi sono realmente esistiti e il volto di Tommasina, dolce e dai lineamenti delicati, compare nella Pala di Ognissanti conservata nel Museo in Santa Maria di Castello; opera del pittore nizzardo Ludovico Brea: ritratta di profilo vicino al fratello e dietro alla madre Teodorina, committente del quadro, con il capo velato di bianco.

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Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga

Perché i savonesi ce l’hanno con Genova?

I fotogrammi dell’Istituto Luce, l’enfasi della voce narrante, il titolo inequivocabile: Genova la Dominante. Corre il 1938 e il Duce pronuncia lo storico discorso in piazza della Vittoria, sul palco a prua di nave. Soffermiamoci su quel “Dominante”, titolo acquisito da Genova nei suoi rapporti con i territori di “terra ferma”, spesso turbolenti. Il caso di Savona, abitata da comunità che pretendevano indipendenza; termine indigesto all’imperialismo genovese. Il tracollo avvenne nell’autunno del 1528, quando furono stroncate le “velleità ponentine”. In quell’ottobre le forze della Superba entrarono in Savona per dare una lezione definitiva a quella cittadinanza; come da mandato dal Senato della Repubblica genovese. Dove erano risuonate proposte ben più “terminali”, come la deportazione dell’intera popolazione. Dalle cronache del tempo: “il 29 ottobre 1528, Savona si arrese ad Andrea Doria. I vincitori, disattendendo i patti concordati con gli Anziani della città, imposero pesantissime sanzioni: oltre alle gabelle e alle limitazioni ai traffici e alla navigazione, il porto fu interrato, le mura della darsena smantellate, le torri mozzate; sull’antico quartiere di Santa Maria nel 1542 si sarebbe costruita un’imponente fortezza militare, cancellando il cuore antico di Savona”. Una ferita che non rimargina; ribadita perfino da viaggiatori stranieri. Ne parla Charles De Brosses, nella sua visita del 1739: “Savona è la seconda città dello stato di Genova. Aveva un ottimo porto che i genovesi hanno colmato perché tutti i traffici passassero da Genova. La città commercia soltanto in sapone”. Il medico scozzese Tobias George Smollett scrive di quella città nel 1765: “è un porto tempo fa sufficiente a ricoverare anche le grandi navi; ma fu sacrificato alla gelosia dei genovesi che l’hanno riempito col pretesto che non deve offrire asilo a navi da guerra di Stati che potrebbero esser nemici della Repubblica”. Oggi Savona è una provincia della Liguria, ma le polemiche non sono sopite. E nelle rassegne stampa odierne riappaiono antichi focolai. Come dimenticare la querelle sulle banchine e gli scontri tra i due porti per le tariffe. Altro punto di frizione sono le crociere, con “colpi di timone” tra le contrapposte candidature a homeport delle varie compagnie marittime. Lo stridere del dibattito sull’area di Vado e l’ultima polemica sul parcheggio del rigassificatore. A conferma che il tema delle autonomie locali rimane centrale. I saggi definivano la storia maestra di vita. Ma forse si sbagliavano.

Getto Viarengo