Numero 26 del 15 luglio 2024

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Numero 26, 15 luglio 2024

Indice

SPIFFERI

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1960-2024: la dissipazione dello spirito genovese

Le celebrazioni sono anche operazioni melanconiche. In questo numero ricordiamo con Getto Viarengo le lontane giornate di 64 anni fa, quando i nostri portuali lasciarono banchine e officine armati dei ganci da stivatore, attraversarono via San Lorenzo giungendo in piazza De Ferrari, per affrontare i fascisti che cercavano di occuparla e la polizia di Tambroni che dava loro manforte. L’intransigenza combattente che mise in fuga chi pretendeva di calpestare i valori della città medaglia d’oro della Resistenza.

Dove sono finiti quegli incrollabili profili del rigore mentre un PD (presunto) erede della Sinistra alleva gente come il capogruppo Alessandro Terrile, beneficiato di una poltrona top dalla Destra? Come Claudio Burlando, in coda dietro a Toti per imbarcarsi sullo yacht di Spinelli?

Denaro che sa di morte. Caro Comandante,

Ahi ahi ahi, signor Aponte. Le sue navi sono spesso in bella vista nel porto di Genova, dove ha voluto consolidare la sua presenza di una tradizione genovese: i Rimorchiatori Riuniti In più la sua MSC sta per acquistare addirittura un altro dei simboli della città: il Secolo XIX. E possiede pure i due grattacieli vicino alla Lanterna, che si chiamano appunto Torri MSC. La sua famiglia ha un grandissimo patrimonio, complimenti. Ma perché allora si fa coinvolgere con il traffico di armi dalla Cina alla Libia con la sua MSC Apolline, da poche settimane sequestrata a Reggio Calabria? È già la seconda volta: stessa nave, stesso gravissimo reato. La smetta, per favore, non ha bisogno di tutto quel denaro, signor Aponte. È denaro che sa di morte, come in tutti i mercati di armi.

La scemenza smascherata dei cassonetti furbetti

Ennesima buccia di banana per il sindaco Bucci, monomaniacale nel voler fare il fenomeno a ogni costo: Amiu annuncia lo stop all’installazione dei cassonetti per la raccolta della spazzatura che applicano la tecnologia “George Orwell”, per la sorveglianza dei cittadini da taglieggiare meglio. Operazione che – a regime – si sarebbe aggirata sui sessanta milioni, cifra da recuperare a spese dei genovesi chissà come. E si tratta di bidoni solamente “furbi”, perché se fossero “intelligenti” alla cinese (con riconoscimento facciale dell’utente) la cifra lieviterebbe a 8/900 milioni. Una storia con doppia morale: da una parte la volontà di tenere a bada i genovesi, intesi come marmaglia riottosa da intontire con effetti pirotecnici; dall’altra che a Bucci la ciambella non riesce mai col buco.

C’È POSTA PER NOI

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Addio Michele

All’età di 83 anni splendidamente portati, oggi – giovedì 11 luglio – se ne è andato all’improvviso Michele Marchesiello.

Giorni fa lo avevo chiamato, come ho fatto per anni, ed era appena tornato da una gita torinese nel suo buen retiro d’oltre Appennino, pronto a rituffarsi nella passione di sempre: la scrittura. Mi aveva parlato di programmi saggistici sui temi che più l’appassionavano: la politica, la giustizia e – in misura crescente – l’ethos nazionale.

Mi dicono che la sua sia stata la morte del giusto, come è giusto che fosse: un rapido scivolare dal sonno al dopo. Siamo noi che rimaniamo qui, a considerare ingiusta questa perdita. La perdita di questo bell’uomo cortese e sempre disponibile, amante della vita e dalla vita molto amato. Magistrato e cittadino rigorosamente attento a mantenere assoluto equilibrio nei propri giudizi, opinionista di vaglia (anche se chi scrive, in veste di editor, doveva controllargli sempre la punteggiatura dei pezzi, sistematicamente trascurata per sublime indifferenza), organizzatore culturale immancabilmente disponibile. Compresa la partecipazione al varo della nostra Controinformazione Ligure, a cui ha collaborato regolarmente. Sicché, come il suo amato Jacques Brel, ora anch’io dichiaro “che se fossi il buon dio/ adesso avrei del rimorso”. Caro amico. Anche se ritornerò sovente a trovarti nella memoria. Nel ricordo di una vita in cui ci siamo incrociati, magari per caso, e ritrovati nel piacere dell’incontro. Addio Michele, ci mancherai.

Pierfranco

Invito a un appuntamento da non perdere

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Pubblichiamo questa inquietante domanda del nostro Degl’Innocenti. Tuttora inevasa.

Marco Bucci fa le tre scimmiette su Signorini all’IREN

Nel 2021 AdSP organizzò un convegno per presentare un Piano anti corruzione. L’allora Presidente Paolo Signorini, oggi in carcere accusato di corruzione, definì le concessioni portuali un settore in cui si possono “sostanziare fenomeni corruttivi”. Aggiunse che per evitarli servono due requisiti: la formazione, perché “avere funzionari pubblici formati è una garanzia” e “una retribuzione adeguata”. Tali parole rilevano due punti salienti della vicenda giudiziaria in corso. Signorini, ancorché presidente di nomina politica, è un funzionario pubblico. Perciò non si può dubitare che sapesse cosa stava facendo. Circa la retribuzione, il bilancio di AdSP assegna al presidente 270mila euro annui.

Ma le intercettazioni rivelano che Aldo Spinelli gli aveva promesso un lavoro a Roma in Hapag-Lloyd, azionista al 49% del gruppo Spinelli, una volta scaduto il mandato in AdSP: «era disperato. Gli ho detto: smettila di piangere, te lo troviamo un posto di lavoro». Nell’intercettazione questi risponde “OK”. Ora definisce l’offerta di Spinelli una boutade. Quanto però resta agli atti sono l’entità dello stipendio promesso da Spinelli (300mila euro) e la conferma che Signorini cercava già una nuova occupazione mentre era in carica a Palazzo San Giorgio. Ai PM fa notare che nel frattempo il suo nome aveva preso a circolare quale prossimo AD di IREN. La proposta in questo caso veniva dal maggiore azionista: il Sindaco di Genova Marco Bucci. E così è andata davvero. Signorini, lasciato anzitempo l’incarico in AdSP, grazie a Bucci è stato assunto in IREN con una retribuzione annua di circa 700mila euro. Ma se Spinelli gli offriva un posto adatto al suo profilo – gestire i rapporti con politica e istituzioni – per il ruolo in IREN Signorini non aveva alcuna competenza. Gli head hunter avevano indicato altri candidati di rango, ma Bucci imponeva il proprio a prescindere. Ora che IREN lo ha licenziato per giusta causa, Bucci tace su questa sua responsabilità politica evidente e gravissima. Certo, risalta l’elenco di atti disposti da Signorini favorevoli alla volontà di Bucci sia in quanto sindaco che commissario straordinario alle opere portuali. Atti che hanno comportato forzature delle procedure e del merito nelle decisioni AdSP, grazie all’evidente indirizzo contrario agli interessi della portualità. Il silenzio di Bucci non aiuta a rimuovere i sospetti: perché ha imposto Paolo Signorini in IREN senza un solo motivo valido?

Riccardo Degl’Innocenti

ECO DALLA RETE

Su segnalazione del professor Palidda, ripubblichiamo questo significativo articolo del 27 giugno scorso

Genova 24

In Liguria aumentano gli evasori totali

«Aumenta in Liguria il numero degli evasori totali scoperti dalla Guardia di finanza e i casi di persone che percepiscono indebitamente contributi previdenziali e assistenziali. È il quadro emerso nelle celebrazioni per il 250° anniversario della fondazione. Tra il primo gennaio 2023 e il 31 maggio 2024 sono stati 316 gli evasori totali scoperti dalla Finanza e 741 i lavoratori in nero o irregolari. Sono stati sequestrati oltre 20 milioni di beni frutto di frodi. Scoperti 29 casi di evasione fiscale internazionale, riconducibili a organizzazioni occulte, a manipolazioni dei prezzi di trasferimento, a residenze fiscali fittizie e a capitali all’estero. Denunciate 358 persone e 9 arrestate per reati tributari. Sequestrate 11 tonnellate di sigarette di contrabbando per cui sono state denunciate 174 persone.

In materia di tutela della spesa pubblica, anche per garantire il corretto uso dei fondi Pnrr, sono stati segnalati alla Corte dei conti 129 responsabili in relazione all’accertamento di danni erariali per oltre 92 milioni. Arrestate 6 persone per corruzione e denunciate 60, con sequestri per oltre 4,6 milioni. In tema di riciclaggio e autoriciclaggio sono state 100 le denunce e 5 gli arresti. Le fiamme gialle hanno approfondito 1516 flussi finanziari sospetti di cui 14 possibili finanziamenti di organizzazioni terroristiche. In tema fallimentare sono stati sequestrati beni per oltre 12 milioni su un totale di 54 milioni di patrimoni distratti. Denunciate 17 persone per usura ed estorsione.

Per quanto riguarda il conflitto russo-ucraino, dal 2022 sono sei i magnati a cui sono stati sequestrati beni, per un valore di 145 milioni. Tra gli immobili “congelati” anche Villa Altachiara di Portofino, già proprietà della contessa Vacca Agusta.

Nell’ambito del contrasto al crimine organizzato, finalizzato anche all’individuazione di fittizie intestazioni di beni, sono state concluse 9 indagini che hanno permesso di denunciare all’Autorità Giudiziaria 27 soggetti, di cui 9 colpiti da provvedimenti restrittivi della libertà personale.

In applicazione della normativa antimafia, sono stati sottoposti ad accertamenti patrimoniali 201 soggetti, che hanno portato all’applicazione di provvedimenti di sequestro, confisca e amministrazione giudiziaria per un valore di oltre 5 milioni di euro.

Oltre a 2.092 accertamenti per richieste pervenute dai Prefetti della Repubblica, la maggior parte dei quali (2.082) riferiti alle documentazioni antimafia».

La Redazione

ECO DELLA STAMPA

il Secolo | ABC ARTE

Intervistato da il Secolo XIX il 4 luglio, Rino Canavese non si fa pregare a riferire fatti indecenti senza giri di parole. Ne riportiamo ampi stralci.

Canavese ai pm: “una truffa i soldi del porto per i lavori chiesti da Spinelli”

«‘Mettere milioni’ di Autorità portuale per finanziare l’operazione chiesta da Aldo Spinelli ‘è stata una truffa’. Dice Rino Canavese, componente del Comitato di gestione su delega del Comune savonese, interrogato in Procura a Genova nell’inchiesta per corruzione. Il filone cui fa riferimento Canavese è uno dei più delicati per Marco Bucci, che rischia per abuso d’ufficio. L’operazione è il riempimento di Calata Concenter; fra due moli appartenenti a Spinelli che a quel punto avrebbe una grande superficie destinata ai suoi contenitori. Il terminalista pressava Toti, Bucci e Signorini affinché finanziassero il lavoro con un avanzo di bilancio del porto. Bucci a sua volta premeva sulla responsabile Anticorruzione di Palazzo San Giorgio Cristina Tringali, affinché il tesoretto, 25 milioni, fosse inserito nel Programma collegato al Decreto Genova. In pratica, chiedeva all’ente di agganciare il riempimento di Concenter alla ricostruzione post-disastro Morandi per accelerare i tempi. L’Autorità portuale diede l’ok nel luglio 2022, dovendo dribblare le regole con modalità che possono raffigurare un illecito amministrativo. Prima del via libera Tringali aveva detto a Bucci che la strada da lui auspicata non era percorribile. Interrogata nei giorni scorsi a Palazzo di giustizia ha spiegato che la procedura richiesta dal Commissario era ‘anomala’, poiché l’aggiornamento del Programma straordinario era fuori tempo, essendo scaduti i 36 mesi previsti dalla legge. Come se ne uscì? Sempre Tringali ha riferito che Bucci e Signorini modificarono la ‘decorrenza dei termini’: fu ricalibrato in avanti il cronoprogamma, perché l’operazione Concenter rientrasse nelle scadenze.

A Canavese i pm hanno chiesto conto anche di un’intercettazione in cui diceva «50.000 euro ufficiali di contributo (da Spinelli, ndr) alla campagna di Bucci (nel 2022, ndr) e allora lo si deve ripagare? Se perdiamo un minimo di decenza…’. La risposta: ‘Quando le cose che vedi sono eclatanti, il sospetto è che ci siano degli illeciti. Ogni pratica di Spinelli doveva essere un sì… Ricordo un diverbio in cui Signorini disse che i membri del Comitato dovevano attenersi alle disposizioni di chi li aveva nominati. Rispondemmo che non c’era vincolo di mandato. Signorini disse a Carozzi (Giorgio, indicato dal Comune, ndr) e a La Mattina (Andrea, delegato della Regione, ndr) con tono alterato: Voi siete stati nomi- nati da Toti e Bucci e dovete fare quello che vi dicono’».

Tommaso Fregatti, Matteo Indice

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

I nuovi (stra)ricchi che si comprano Genova

Circa “le nuove mani sulla città”, il primo nome che viene in mente è Gianluigi Aponte; il tycoon di MSC che non si limita – in coppia con Aldo Spinelli – a fare mercimonio delle banchine genovesi, ma rivolge le sue mire verso interi pezzi di città: dall’aeroporto al quotidiano locale il Secolo XIX. Uno shopping che mette nel carrello della spesa persino i Rimorchiatori Riuniti. La società nata nel 1922 aggregando piccoli operatori portuali disposti a condividere chiatte e rimorchiatori delle rispettive aziende; a lungo guidata dalle famiglie Gavarone e Dellepiane. Intervistato nel 2021 il presidente Gregorio Gavarone dava fondo a tutta la retorica datoriale dichiarando che “l’impresa familiare che sto guidando trova il proprio elemento di continuità in uno spirito di dedizione che si tramanda da generazioni”. L’anno dopo comunicava via mail ai dipendenti la cessione di RR a MSC, specificando che “la cosa non è avvenuta senza una profonda sofferenza dal punto di vista sentimentale da parte di tutti i soci”. Sofferenza comunque lenita dall’opportunità di “premettere ai nostri cento e più soci di valorizzare la fiducia riposta nella Rimorchiatori Riuniti in questi lunghi anni”. Ossia passare all’incasso, alla faccia della dedizione.

Probabilmente la definitiva uscita di scena di un’aristocrazia borghese, le cui fortune risalgono dall’accordo dell’Escorial tra Carlo V e la decina di mercanti-banchieri genovesi al seguito di Andrea Doria; le cui famiglie hanno amministrato per secoli le ricchezze accumulate, magari continuando a vivere nei palazzi aviti di via Garibaldi, già Nuova o dell’Oro. Una classe che si riconosceva nei simboli di status e si incontrava nei luoghi canonici (il Circolo Tunnel, lo Yacht Club, il Rotary Centro).

Oggi la dovizia non s’incarna in un gruppo sociale coeso, ma in singole traiettorie individuali. Alcune sono meteore, come i Fogliani di QTicket, arrivati a Portello dal profondo Sud per aprire una pizzeria, poi oligopolisti del buono pasto, infine bancarottieri con l’arresto del patron Gregorio Fogliani. Altri sono saldamente in sella: i Gattiglia, alla guida di un gruppo leader nel food con i marchi Basko, Doro, Ekom e Sogegross; l’impero della GDO locale nato nel 1920, quando nonno Ercole rileva un bar con annessa drogheria nel quartiere di San Martino.

E poi chi sono gli attuali signori dell’eterno mattone o della salute privatizzata? Tutto sottotraccia. Nella Genova dove la Guardia di Finanza scopre sempre nuovi evasori totali.

Pierfranco Pellizzetti

Sulle tracce dei capitali di provenienza incerta all’origine dell’enorme fortuna dell’armatore salernitano-ginevrino. Una storia simile a quelle di altri “ragazzi meraviglia” venuti dal nulla (come Aldo Spinelli o Silvio Berlusconi).

La misteriosa accumulazione originaria di G.L. Aponte

Secondo recenti indagini di Bankitalia, la compagnia svizzera MSC (Mediterranean Shipping Company), che già detiene una quota di circa 20% del mercato mondiale dei noli marittimi container, in Italia sale al 30%; e per lo più in terminal portuali di sua proprietà.

Disse Orson Welles: «In Italia sotto i Borgia hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera 500 anni di pace e democrazia cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù». Però oggi a Ginevra c’è la sede di MSC. La Svizzera non è bagnata dal mare, anche se sotto la sua bandiera navigano una dozzina di bulk carrier. Nessuna di esse fa parte delle oltre 800 navi della flotta MSC che inalberano, per convenienza fiscale e non solo, bandiere liberiane o panamensi. Ma questi paradossi nello shipping sono la normalità.

È pur vero che MSC appartiene a un “italiano vero”, Gianluigi Aponte, nato nel 1940 a Piano di Sorrento. Di famiglia marinara, da giovane ufficiale incontrò Rafaela Diamant, svizzera in vacanza a Capri. Si sposarono nel 1966. Introdotto nella finanza elvetica, nel 1970 Aponte colse l’attimo per diventare armatore. Acquistò navi usate a basso costo grazie al sostegno di banche che si accontentavano come garanzia dell’ipoteca sugli stessi beni e si lanciò nei container. Grazie all’intraprendenza e a una riconosciuta perizia, da quel nulla o quasi, in 50 anni Aponte e la moglie, socia al 50%, hanno creato un impero economico e finanziario su scala globale. Dunque Aponte va considerato un moderno Leonardo o un Michelangelo degli affari?

Il talento è innato, ma occorrono anche scuole e maestri. Per Aponte la scuola di Achille Lauro, suo concittadino morto nel 1982. Certo è che l’epiteto di Achille Lauro, “‘O comandante”, si è trasmesso al fondatore di MSC.

Resta tuttavia aperto il pregiudizio sugli ignoti capitali con i quali MSC è nata e cresciuta; opacità garantita dalla monolitica struttura famigliare al vertice dell’azienda e del patrimonio. E perciò esentata dalla legge svizzera dal pubblicare i bilanci.

L’accumulazione originaria del capitale è un problema dibattuto. Prevale la teoria che per avviare il ciclo Denaro -> Merce -> Denaro+, il capitale o lo si accumula con qualche attività lucrativa (il massimo guadagno è il principio di ogni commercio) o si trova a debito o si procura con altri mezzi per lo più criminali.

R.D.I.

A conferma di una banalissima evidenza: il sogno di ogni vero capitano d’impresa è il monopolio, mica il libero mercato e la concorrenza.

Disse Marx, a proposito dell’accumulazione originaria in Inghilterra: «Il furto dei beni ecclesiastici, l’alienazione fraudolenta dei beni dello Stato, il furto della proprietà comune, la trasformazione usurpatoria della proprietà feudale in proprietà privata moderna». Ossia, se il capitale primitivo di un’impresa non emerge alla luce del sole, c’è una certa propensione a immaginare che non ci sia stato il ritrovamento di una pentola piena d’oro. Nel caso MSC si aggiunga il ruolo svolto, grazie alla moglie Rafaela, dalla “misteriosa” finanza ebraica della diaspora. Infatti costei non è nata in Svizzera, ma nel 1945 a Haifa, allora protettorato inglese sulla Palestina, figlia di un banchiere ebreo-palestinese trasferitosi a Ginevra al seguito della Leumi Bank, storica banca del movimento sionista.

Un modello di capitalismo imperialista

Nelle mitologie italiche sulla nascita delle fortune imprenditoriali nel nostro Sud, si aggiunge lo stigma che ci siano di mezzo la Mafia o la Camorra. Ogni sequestro di cocaina importata dalla ‘Ndrangheta nel porto di Gioia Tauro, principale punto di approdo e terminal operativo di MSC in Italia e nel Mediterraneo, alimenta il sospetto che continui sotto altra forme la rendita criminale di 1,5$ per container estorta dal clan Piromalli al fondatore del terminal: Angelo Ravano di Contship.

Comunque sia, oggi l’impero di Aponte mostra di essere in grado di crescere grazie alle proprie risorse accumulate («valore che genera plusvalore») e al predominio sulla concorrenza. Non più solo nei noli marittimi, ma nella gestione verticale della catena di fornitura globale, dall’origine alla destinazione delle merci: il nuovo orizzonte di crescita di MSC. Infatti, anche grazie alla abnorme liquidità ottenuta speculando da una posizione dominante sulle difficoltà di approvvigionamento dovute alla pandemia e agli altri accidenti di questo periodo, MSC ha scatenato i suoi investimenti per controllare le principali imprese della catena logistica e trarne i massimi vantaggi competitivi: spedizionieri, agenzie marittime, rimorchiatori, autotrasporti, compagnie ferroviarie e aeree, magazzini e interporti, aeroporti, operatori logistici globali, fabbriche, giornali ecc.

È la ratio capitalistica, anzi “imperialista” nel senso economico, che guida nascita e sviluppo di MSC. La criminalità non c’entra, semmai se ne usano i servizi. Anche la cocaina: seppure non dichiarata alla dogana, con peso e volume paga regolarmente il nolo.

Riccardo Degl’Innocenti

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Sentinelle dei Fumi: un esempio di partecipazione civica attiva

Dal 18 giugno le navi in transito nel porto di Genova sono sorvegliate da dieci “Sentinelle dei Fumi dal Porto”: abitanti del quartiere San Teodoro, con case vista porto, determinati a salvaguardare il benessere proprio e dei vicini.

Supportate da esperti di Ecoistituto RE-GE e dal Coordinamento San Teodoro, per i prossimi 3 mesi le “Sentinelle” staranno all’erta per fotografare eventuali emissioni di fumi “scuri” o decisamente neri; derivati da una cattiva combustione del gasolio per uso navale e l’elevata concentrazione di residui carboniosi ultrafini. Un serio pericolo per la salute. Non a caso, il recente accordo volontario, denominato “Genoa Blue Agreement”, sottoscritto da 40 Compagnie di Navigazione e Agenzie Marittime, prevede l’impegno dei Comandanti delle navi che attraccano a Genova di evitare tali emissioni per più di quattro minuti continuativi.

Su invito della Capitaneria del Porto, le sentinelle registrano questi eventi anomali, riportati giornalmente sulla loro pagina FaceBook e ne inviano la sintesi settimanale al Comandante per il controllo di tutela ambientale.

In questi primi giorni di “allerta” sono numerosi i fumi scuri documentati. Emerge che a produrli sono sempre i soliti traghetti con decine di anni di navigazione sulle spalle.

Ma le “Sentinelle” non tengono sotto controllo solo i fumi; anche le misure giornaliere di biossido d’azoto, effettuate dalle stazioni ARPAL per la qualità dell’aria. Sorvegliata speciale è la stazione di via Bari, alla seconda fermata della funicolare, scelta per monitorare le ricadute delle emissioni portuali.

Questa strana estate ha permesso di verificare e quantificare il reale impatto dei fumi portuali sui quartieri collinari: il 2 luglio, con 12 ore di vento proveniente dal quadrante sud, in via Bari si sono registrati 28,4 microgrammi di biossido di azoto per metro cubo d’aria, con superamento del limite giornaliero di 25 microgrammi raccomandato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Il 3 luglio, con 21 ore di venti dal quadrante nord, in via Bari la concentrazione di biossido di azoto si è più che dimezzata: 11,3 microgrammi per metro cubo, ben al di sotto del limite OMS.

A parità di traffico, tale livello si potrebbe avere “normalmente” con il rispetto delle norme di manutenzione dei motori navali, un maggiore uso di gas naturale come combustibile, con l’elettrificazione delle banchine, l’obbligo di spegnere i generatori diesel e attaccarsi alla rete elettrica per alimentare i servizi di bordo.

Federico Valerio

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Dedico questo post a una portinaia di piazza Manin che si premura di segnalare i miei testi, travisandoli, alle presunte vittime dei loro sarcasmi. PFP

L’eterna Liguria oligarchica

Resa pubblica, la testimonianza di Rino Canavese ai pm sul Totigate offre uno spaccato inquietante della totale estraneità ai valori della democrazia civica di chi ci amministra. Il cui tratto di originalità, per dirla con un recente pamphlet di Luciano Canfora, si riduce “al processo di semplificazione linguistica in corso”. Declinata nella risibile pretesa di essere “capitale di qualcosa”; sempre diversa: dello sport, del libro, della medicina computazionale (?), del formaggio, che altro…

Per il resto niente di nuovo sotto il sole, almeno per i tre quarti di secolo del dopoguerra; in cui sono stati dissipati tanto il patrimonio di combattività democratica di una classe operaia in campo per promuovere diritti e difendere istituzioni (in primis la Camera del Lavoro), quanto gli esempi di civica generosità aristocratica (dal duca Raffaele De Ferrari che dona 20 milioni di lire oro per l’ammodernamento del porto genovese, alla duchessa di Galliera e il suo lascito ospedaliero a Carignano, ora sotto minaccia di svendita speculativa da parte degli Zampini spalleggiati da un vescovo giunto da Marte).

Nella Liguria repubblicana prevale sempre una deriva oligarchica come pratica di esproprio del demos da parte di gruppi ristretti, vuoi laici (l’impronta massonica spesso intuibile, specie nel PRI), vuoi clericali (a lungo incarnati nella figura strabordante dell’eterno successore annunciato di Pio XII, il cardinale Giuseppe Siri). Tendenza tradotta nella spartizione di Genova tra Taviani e il PCI (“La città divisa” descritta da Luciano Cavalli e Paolo Arvati), la Deep Spezia degli scambi negoziali attorno a CariSpezia, la Savona in grembiulino alla ricerca di spazi carrieristici nel capoluogo regionale, la prevalenza della rendita immobiliare a Ponente. In tutto l’arco ligure l’occhio di riguardo verso la proprietà edilizia del PLI egemonizzato dal retore destrorso Alfredo Biondi (come vantava lui stesso, “liberale fino all’ombelico, fascista al di sotto”).

Tanto per dire che non è il caso di inseguire mitiche narrazioni consolatorie di un’età dell’oro mai esistita per la democrazia ligure, sistematicamente espropriata dai (presunti) grandi manovratori che si facevano gli affaracci propri: dai Luigi Grillo ad Alberto Teardo, dai Claudio Scajola ai Claudio Burlando. Per non parlare dei conclamati grand commis del potere oligarchico, da Peppino Manzitti a Luciano Pasquale. Così tutto si ripete. Ormai – come da regola – nelle modalità della farsa.

Pierfranco Pellizzetti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

D’ora in poi in Liguria ci faranno pagare anche le telefonate al CUP

Lo denuncia la UIL Ligure: dal primo agosto entrerà in servizio il nuovo numero a pagamento del Cal Center Cup Liguria con un costo variabile in base al piano tariffario dei singoli utenti. Una vera vergogna, in una regione dove spesso i centralini del CUP non rispondono per giornate intere ai tentativi di chiamate dei cittadini. Dopo di che è abbastanza comune sentirsi rispondere che l’appuntamento per la prenotazione di visite specialistiche, o di altre prestazioni, non può essere effettuata perché i tempi per averla superano i sei mesi. E il CUP non prevede appuntamento oltre i 6 mesi. Sic!

Mentre il presidente della regione è agli arresti domiciliari/vacanza nella sua villa al mare di Bocca di Magra e l’attività della regione boccheggiante stenta a procedere, mentre i cittadini liguri devono pagare i costi dell’inutile sovrastruttura sanitaria di ALISA, ora si cerca di imputare a loro carico anche il semplice costo di una telefonata. La difesa di questa scelta della regione è vergognosa. Si limita a dire che molti hanno piani telefonici con chiamate gratuite illimitate. E chi non li ha?

Alba Lizzambri, segretaria regionale UIL Pensionati fa giustamente rilevare che l’addio al numero verde, gratuito per tutti, risulta discriminatorio (oltre che gravato da ulteriori complicazioni di utilizzo per quanti non siano in possesso di una indispensabile laurea in ingegneria informatica) particolarmente per le persone anziane; le quali dal primo agosto dovranno rivolgersi o al portale informatico Salute Simplex o al nuovo numero telefonico con pagamento a carico loro.

Sembra tutto molto facile a dirsi (per i comunicatori/imbonitori dell’amministrazione), ma la popolazione di età avanzata spesso non ha confidenza con lo strumento informatico e non dispone di piani tariffari telefonici agevolati. Il servizio pubblico non può essere divisivo o discriminatorio. Quindi l’imperativo conseguente è che la Regione revochi immediatamente il provvedimento e ripristini il servizio di numero verde gratuito per tutti. A meno che l’obiettivo (inconfessato) non sia quello di avviare una pulizia etnica di quanti abbisognano dell’assistenza medica, secondo l’immortale insegnamento del vacanziere in villa al mare di Bocca di Magra: “gli anziani non sono necessari al processo produttivo”.

Nicola Caprioni

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Porto di Genova: tragedie sfiorate e subito occultate

A gennaio un battello del gruppo Socotec, tra i principali operatori europei in indagini geotecniche e ambientali, è affondato a 1000 metri dall’attuale diga di fronte al Terminal Rinfuse. A bordo c’erano due lavoratori, di identità imprecisata, salvati da un rimorchiatore di passaggio. La Capitaneria di porto (CP) ha avviato un’indagine tecnica tuttora in corso (sic!) senza dare notizia ufficiale del naufragio. Così come l’Autorità di sistema portuale (AdSP), il commissario (Bucci) e l’appaltatore (PerGenova Breakwater): tutti silenti. Di certo i sindacati non sono stati avvertiti. Non si sa se ASL e gli ispettorati del lavoro siano stati informati come d’obbligo.

A rivelare l’incidente è stato un articolo di Andrea Moizo del 22 giugno, riferendo l’ordinanza della CP che autorizza Socotec a recuperare il relitto, senza riferimenti alle circostanze dell’affondamento “presso il campo boe della nuova diga di Genova”. Moizo riporta ulteriori informazioni ottenute dalla stessa CP e da Socotec sull’incolumità dei due lavoratori e la causa dell’avaria “forse dovuta a un cambio meteo improvviso” (improbabile ipotesi “naturalistica” per un affondamento repentino. Più probabile – dicono gli esperti – un guasto, con la conseguente responsabilità di qualcuno). Invece l’omertà non è valsa il 15 aprile nel porto di Vado Ligure, nel cantiere dei cassoni per la nuova diga. È stata la volta di un altro dipendente di Socotec Italia, Alexandru Ciuciurea, vittima di un gravissimo incidente mentre effettuava prove sulla tenuta del calcestruzzo: una fiammata gli ha ustionato al 15% viso e mani. C’è stato uno sciopero e l’impegno di AdSP di convocare il Comitato Igiene e Sicurezza (ma non si sa se avvenuto o meno).

A Palazzo San Giorgio c’è una struttura comunicazione e marketing retta da una superdirigente lautamente stipendiata con 12 addetti di cui 4 funzionari e un budget propaganda di 1,3 milioni. Eppure un battello affonda nel cantiere miliardario della diga con a bordo due lavoratori ma dal Palazzo non esce una notizia! Forse perché, come dice la CP, “l’impatto sui lavori è stato nullo”. Ossia l’unica preoccupazione, visto che dei lavoratori non si sa nulla. All’uscita dell’articolo di Moizo non c’è stata reazione. Neanche degli altri media. Anche se sinora non appare dolo, magari la Procura, stando nei paraggi, potrebbe dare un’occhiata e chiedere alla CP, organo giudiziario, di completare e pubblicare il rapporto d’indagine.

Riccardo Degl’Innocenti

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Vigliaccate semplici (a danno degli inermi)

C’è differenza di significato fra “vile” e “vigliacco”. Leggo in Treccani: “malvagio, vile, furfante… più spregiativo di vile e si riferisce non soltanto a chi per mancanza di coraggio fugge davanti al pericolo o accetta per pusillanimità… ma anche e soprattutto a chi agisce con arroganza e prepotenza contro chi è più debole quando sia certo di restare impunito”.

Vigliacco è quindi aggettivo che rispecchia in pieno lo spirito del tempo e può essere usato con ragione senza tema di svarioni linguistici.

Quindi, la vigliaccata è l’azione di chi approfitta di una posizione di potere mascherando con parole truffaldine o esibendo con arroganza il proprio operato senza curarsi delle conseguenze che avrà sugli altri.

La prima, anzi, le prime due, che dovrebbero far sobbalzare il Sindacato, e pure il Sindaco, riguardano due gruppi di lavoratori di aziende cui il Comune di Genova ha appaltato lavori per le case popolari di Piazza Pestarino e del Cep di Prà: le ditte non onorano il dovuto agli operai, alcuni dei quali perdono addirittura un posto dove dormire, quindi, niente stipendio e niente, per quanto modestissimo, alloggio, e il Comune che fa? Non si sente forse responsabile di appaltare a ditte affidabili e di risponderne se non si rivelano tali?

La seconda riguarda gli espropri che si renderanno necessari per far posto a un ecomostro costosissimo e inutile come lo Skymetro in Val Bisagno: il Comune non ha ancora neanche presentato il progetto definitivo, anzi ha dovuto riaprire la Conferenza dei servizi, perché il Ministero non ha ancora dato parere favorevole e ha inviato ulteriori prescrizioni cui attenersi per renderlo presentabile, però coi cittadini “si porta avanti”, così, oltre alle numerose persone che perderanno la loro casa e vengono irrise dai vari Campora e affini come coloro che “addirittura riceveranno più di quanto valga la loro casa”, ci sono anche quelli che perderanno la loro attività e addirittura, non essendo proprietari di casa e negozio, non verranno ammessi agli indennizzi.

È in quelle infelici battute che si coglie lo spirito che anima personaggi probabilmente affascinati da frasari del tipo “danni collaterali”, “la guerra è guerra”, “il progresso non può essere fermato” o, cavallo di battaglia dell’aspirante imperturbabile, Campora, “l’opzione zero non esiste”. Chissà a quali fonti si abbeverano, forse qualche scuola di partito con la q o qualche film americano dove i “buoni” sono quelli che ammazzano “gli indiani”.

M.R.

Vigliaccate sanitarie (a danno sia degli umani che degli animali)

Non riesco a non annoverare fra le vigliaccate sanitarie una decisione presa dalla giunta e riportata sul sito regionale a proposito di cinghiali: si getta la maschera e implicitamente si ammette che quella della peste suina era soltanto una scusa gonfiata ad uso e consumo venatorio. Infatti, per delibera regionale, “è possibile consumare le carni, a livello domestico e privato, dei cinghiali abbattuti in azioni di depopolamento all’interno delle zone di restrizione individuate per il contenimento e il contrasto della peste suina africana”. Un capolavoro di ingegneria linguistica mettere insieme depopolamento, peste suina (certamente i cinghiali, sani o presunti malati, hanno rigorosamente rispettato le zone di restrizione!) e libertà di consumo. Non senza un’invereconda sviolinata agli elettori dalla doppietta scalpitante, assunti nel cielo dei risolutori di problemi: “L’aspetto più rilevante dell’apertura all’autoconsumo nelle zone di restrizione II coincidente con l’etica venatoria – dice il presidente ad interim con delega all’Agricoltura – pone le premesse per il continuo coinvolgimento dei cacciatori nell’attività di depopolamento”. Anche qui un bel triplo salto carpiato: mettere assieme “etica” e “venatoria”. E non sottilizziamo su logica e sintassi, mica siamo all’Esame di Maturità.

Poi viene il trattamento riservato agli animali umani. E qui si mette in evidenza, sempre con la prosopopea di chi ci spiega che “è per il nostro bene”, il solito garrulo presidente della Media Val Bisagno per presentare con fare da consumato testimonial l’avvio della costruzione di una Casa della Salute su un’area vincolata a servizi pubblici. Oibò, che bell’idea: in Media c’è bisogno di incrementare il servizio pubblico, anzi, quando ci sarà pure lo skymetro, che il suddetto ama follemente, ci andremo tutti anche dal Centro!

Ah, no, ci eravamo sbagliati, non è una struttura pubblica (in fondo, che male c’è a confondere un servizio di pubblica utilità con un vero servizio pubblico), è un poliambulatorio privato, però, tranquilli, con tutto il bisogno di ridurre le liste d’attesa, sicuramente ci scapperanno le convenzioni.

Sorride beato il presidente della Media e sbandiera, manco fossero suoi, millemila progetti e “nuovi posti di lavoro”. B., è lei dall’Aldilà?

E perciò la propaggine terrena del Santo Cavaliere ha pensato a noi: per ridurre le liste d’attesa ha allungato altri 43 milioni ai privati. Investirli nella Sanità pubblica sembrava brutto, troppo di parte.

Maura Rossi

Sui muri leggiamo lo spirito della città

Ibam forte via sacra, diceva Orazio, e io idem; lui per Roma e io per Genova, dove spesso m’imbatto in iscrizioni murarie. Orrido esempio educativo, sine dubio, tuttavia interessanti in chiave sociologica e psicologica. Intanto la maggior parte delle scritte riguarda il calcio, non la politica. Basterebbe questo a far capire perché gli stadi siano pieni e le urne deserte. In centro, via Carlo Targa, campeggia in blu “doriano fatti trovare”. Una scritta genoana, dal prepotente sapore di cavalleria rusticana, che implica un guanto di sfida. Chi lo ha scritto si è visto sopra un cavallo (non bianco, rossoblu) pronto all’ordalia: il Genoa come una damigella offesa. Dall’altra parte della tifoseria, in via Dogali, campeggia “famiglia Garrone, non avete vergogna?” Domanda retorica, ovviamente, che non prevede una risposta. Fa comunque parte di un linguaggio esoterico, perché presuppone che chi legge sia al corrente di una serie di avvenimenti del tutto ignoti a chi non segue le locali vicende calcistiche. Ed è interessante dal punto di vista semiologico e sintattico quel dare del voi, quando la sintassi vorrebbe un “lei”. Può significare comunque una forma di rispetto oppure un riferimento a padri e figli. Ma potrebbe anche essere mera ignoranza. A livello statistico sembrerebbe che la seconda tipologia di messaggi riguardi, a pari merito, l’amore e la protesta generica, di indirizzo anarchico. Sempre in Via Dogali su un muraglione campeggia il disperato grido di un innamorato “chiamami, ti amo”. Il che vorrebbe dire che la destinataria (o il destinatario), sebbene il mittente non si manifesti apertamente, sa benissimo chi le/gli ha inviato il messaggio. Più esoterico di così non è possibile. La città è invece piena di “acab”. Che non si riferisce al mitico capitano di Moby Dick, cui mancherebbe, nel caso una h. Si tratta invece di un acronimo che significa “all cops are bastard”. Dire che tutti i poliziotti sono bastardi, potrebbe essere passibile di denuncia, oltre al fatto sanzionabile amministrativamente di aver sporcato il muro, ma in questo modo si gioca sul dubbio. Nulla di nuovo sotto il sole. Infatti, nella seconda metà dell’Ottocento, sembrava che nel Lombardo Veneto i fan di Giuseppe Verdi pullulassero, con le solite scritte sui muri. Era invece un acrostico politico risorgimentale contro l’impero austriaco. Viva Verdi nascondeva infatti la dicitura Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia. Certo è che Viva Toti non lo leggo mai: sic transit gloria mundi.

Carlo A. Martigli

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Il numero 3/2024 di Genova Impresa pubblica un documento di Mario Gerini, presidente di Confindustria La Spezia, in cui si annuncia che la demolizione della centrale a carbone Eugenio Montale “rivoluzionerà il volto della città della Spezia”. Un annuncio altisonante su cui pubblichiamo il commento del deputato regionale spezzino Roberto Centi.

Confindustria La Spezia tra realtà e sogni nel cassetto

L’articolo di Mario Gerini appartiene più al genere dell’utopia che a quello del realismo. A partire dall’affermazione che nei prossimi giorni verrà abbattuta la ciminiera della centrale Enel della Spezia, a proposito della quale lo stesso sindaco Peracchini, di solito incline alla vanagloria, prevede mesi per il semplice allestimento del cantiere; passando a presunti programmi condivisi tra Enel e Comune, a proposito dell’area.

Purtroppo la realtà è ben diversa: nulla si sa più del protocollo d’Intesa del giugno 23, nulla della richiesta di manifestazione di interesse promossa da Enel tra i peana di Toti, che si doveva chiudere il 10 giugno. Nonostante le opposizioni in Comune chiedessero fin da marzo una commissione sul tema. Commissione – come sempre – rinviata sine die; con palleggio tra il sindaco e i soggetti interessati, che evidentemente celano in cassetti segreti quanto dovrebbe essere reso trasparente a tutta la città.

Il resto dell’articolo è l’apologia dei successi conseguiti negli ultimi anni. Certo anche per merito dell’amministrazione in carica; ma non solo, visto che già le precedenti avevano prodotto atti sulla concentrazione della cantieristica e dello yachting nella riva orientale del Golfo, sulla formazione universitaria, sullo sviluppo turistico e una diversa destinazione di alcune aree militari. Mentre è criticabile l’adesione al progetto Basi Blu, che comporterà ulteriori servitù ultra decennali al servizio esclusivo della Nato. Non certo maggiore e buona occupazione nello spazio dell’Arsenale; con pesanti costi ambientali: il dragaggio di 600 mila metri cubi di fanghi davanti ai borghi di Marola e Cadimare, con il definitivo stop alle speranze di un tratto di costa libero davanti alle abitazioni, a fronte della riapertura degli enormi serbatoi di carburante.

Dunque un vero libro dei sogni con qualche incubo. Da trasformare comunque al più presto in pubblico dibattito, per non fidarsi alla cieca delle affermazioni della gestione Peracchini. Come dell’Enel, che finora non ha saputo né in sede nazionale né in sede locale (come posso testimoniare personalmente) restituire a La Spezia quanto ricevuto, come la centrale elettrica a carbone. La città che – anche grazie al gruppo LeAli a Spezia/ Lista Sansa – ha fermato il progetto della centrale a turbogas. A vantaggio di una reindustrializzazione ambientalmente sostenibile e di investimenti degni di quell’area preziosa, liberata tra città, porto e le sue maggiori infrastrutture.

Roberto Centi

Cronache di Lerici: il Tar prende a sberle il sindaco ducetto

Nel comune di Lerici sorge un’altura sul capo che divide la sua Baia da quella della Baia Blu’: un’area verde pianeggiante, vasta come un parco pubblico, un piccolo circolo ricreativo e una struttura permanente attrezzata per la realizzazione di feste. È il parco pubblico di Falconara. Un posto molto bello, a picco sul mare; un clima magnifico, con la calura estiva mitigata dalla brezza marina serale e, di giorno, dalla frescura degli alberi del parco; da cui si gode una vista incantevole sul golfo.

Qui – da molti anni – partiti, associazioni, circoli sportivi e altri aficionados organizzano abitualmente le loro feste, approfittando della bellezza del luogo, del vasto parcheggio e delle attrezzature idonee per la preparazione dei cibi.

Il sindaco di Lerici Leonardo Paoletti, ovviamente di Fratelli d’Italia, ma che molti imputano di simpatie esplicitamente fasciste, ha promulgato un decreto in cui, con la motivazione di voler diminuire il numero degli eventi che si tengono in estate nell’area di Falconara, ha proibito – “a caso” – alcune delle feste che tradizionalmente erano calendarizzate in quell’area; da molti anni.

Del tutto “casualmente” sono state vietate le manifestazioni del PD, dell’ANPI, di Rifondazione Comunista e del PCI. Mentre sono state confermate tutte le altre feste, di società calcistiche, di pro loco, di associazioni varie. Sicché i soggetti cui era stato negato il permesso hanno presentato ricorso al TAR, tramite le avvocatesse Aurora Minichini e Piera Sommovigo. Il TAR ha accolto tale ricorso, rilevando come nessuna delle ragioni addotte dall’amministrazione di Lerici sia stata documentata e neppure spiegata in giudizio, confermando la volontà del Comune di voler punire solo determinati soggetti politici; con l’intento di penalizzarne un’importante forma di autofinanziamento e di occasioni per il contatto con un vasto numero di persone.

Tale decisione prevaricatoria del Comune di Lerici – un Comune dove nulla viene condiviso, dove il consiglio comunale viene sistematicamente ignorato e mai informato, dove i consiglieri di opposizioni sono spesso oggetto di ingiurie e di insulti personali – è stata ribaltata dal TAR. Sicché questo Sindaco, che impone decisioni rifiutando ogni confronto democratico e istituzionale, ha ricevuto la lezione che meritava. Ora il TAR non solo ha annullato la delibera del Comune, ma lo ha condannato al pagamento delle spese di giudizio e al rimborso di quelle legali: colpito e affondato!

Nicola Caprioni

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Piazza della Raibetta – A Mae Zena

Savone pays du Roi, la toponomastica come bandolo storico (8)

L’immenso patrimonio di incontri e scambi continentali e d’oltremare, accumulato nei secoli dalle due città portuali al centro dell’arco ligure, si trasforma in lascito linguistico nel lessico del genovese/savonese. Tracce per ricostruirne l’ascesa di una lingua franca e commerciale a larghissima diffusione. Quanto conferma l’episodio storico dello sbarco di Vasco de Gama a Calcutta nel 1494, in cui il portoghese poté comunicare con le autorità locali grazie a “dois moros de Tunes quien sabien falar castelhano y genoves”; due tunisini che fungevano da interpreti parlando oltre che il catalano anche il zeneise.

Comunque la presenza dei due poliglotti maghrebini induce a sottolineare quali siano gli apporti che alimentano una sedimentazione lessicale mediterranea agli albori: dopo gli influssi greco-bizantini già ricordati, vanno menzionati i retaggi ebraici (a Genova è presente una significativa comunità a partire dall’età di Teodorico, di cui il monarca protesse culto e proprietà), riscontrabili in termini come pasqua e sabbo, per sabato. Subito dopo fa a lungo la parte del leone l’altra sponda del Mediterraneo. Infatti la storia spiega facilmente la consistente presenza quantitativa degli arabismi: darsena (dar as sina’a, casa delle costruzioni), camallo (hammãl, portatore), azimut, astrulab per astrolabio; la metonimia (figura retorica che usa ‘la parte’ per ‘il tutto’), secondo cui la barca anticamente prendeva il nome di ‘legno’, ci riporta al vocabolo arabo al’ud (da cui l’etimologia di ‘leudo’, tipica imbarcazione ligure); da maunah, ‘assistenza’, deriverà il termine ‘maona’ con cui si definiscono le antiche joint-venture (le compagnie commerciali e militari, create da accordi pattizi temporanei, grazie alle quali privati cittadini affrontavano le più complesse e rischiose imprese dell’epoca). Una sorta di storia patria segreta in larga parte ancora da decifrare, contenuta anche nei toponimi. Come nel caso di piazza Raibetta (da Reba o Rayba, mercato in arabo), con cui venne denominato lo spazio retrostante Palazzo San Giorgio a partire dal XIII secolo. Ossia il luogo messo a disposizione dalla Repubblica di Genova per i traffici dei mercanti maghrebini, come contropartita dell’analoga autorizzazione di un fondaco genovese da parte del bey tunisino

L’ennesima avventura dei nostri antenati testimoniata da un luogo dove magari transitiamo quotidianamente. Inconsapevoli. Per dirla col poeta, forse sfiorando il tatto di loro sopra le pietre (continua).

Pierfranco Pellizzetti

SUGGESTIONI DI LIGURIA

Bellezze dimenticate da riscoprire

Il salone delle meraviglie di palazzo Tobia Pallavicini

No, non è Versailles, questa meraviglia si trova a Genova, nel Palazzo che oggi ospita la Camera di Commercio e fu eretto nel 1558 per volere del marchese Tobia Pallavicino su progetto di Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco: scrigno di immensa bellezza, un vero sogno. Il palazzo subì una grande trasformazione nel ‘700 quando fu acquistato da Giacomo Filippo Carrega, che lo ingrandì conferendogli l’aspetto attuale: creò uno strepitoso cortile interno, rinnovò la facciata principale e aggiunse un piano. Eppure visto da fuori, con quel rivestimento sobrio a bugnato in pietra chiara di Finale, nessuno immaginerebbe l’incredibile sontuosità degli interni; che riflettono le due fasi costruttive, quella cinquecentesca, che subì la chiara influenza del modello raffaellesco sublimata nei due medaglioni centrali a forma ottagonale che raffigurano Leda e Giunone, ma soprattutto quella settecentesca. Ossia un vero e proprio capolavoro del barocco genovese (in effetti tardo) che si deve al genio di quel formidabile artista che fu Lorenzo De Ferrari, articolato nella cappella e soprattutto nella cosiddetta Galleria dorata. Siamo all’interno di un palazzo nobiliare, ma sembra davvero di entrare in una reggia, per la ricchezza sfolgorante che si respira: la galleria è completamente rivestita di decorazioni a stucco dorato, specchi e affreschi in classico stile rococò, che portano l’incomparabile firma di Diego Carlone. Gli affreschi dipinti tra il 1734 ed il 1744 costituiscono un vero e proprio ciclo pittorico ispirato all’Eneide di Virgilio. Quanto colma di ammirazione il visitatore è scoprire che la decorazione diventa tutt’uno con l’architettura: non c’è più distinzione tra elementi diventati parte di un’unica scenografia fatta per condurre in una dimensione di pura meraviglia. Il salone del piano nobile riflette invece lo stile dell’Alessi ed è preceduto da una loggia che esalta Tobia Pallavicino nel suo ruolo di mecenate in un autentico sfolgorio di stucchi e affreschi del Bergamasco (Storie di Apollo e Apollo citaredo con le Muse). Da non dimenticare la Madonna con Bambino di Pierre Puget (conosciuta come Madonna Carrega), inserita all’interno di una cappella pensata sempre da Lorenzo de Ferrari con un sorprendente effetto ottico (si tratta di una copia, l’originale nel Museo di Sant’Agostino); opera di assoluta bellezza e chiara impronta romana, creata con sublime leggerezza nel 1680. Da visitare e farsi ammaliare, non solo in occasione dei Rolli.

Orietta Sammaruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

30 giugno 1960. Una data da ripensare: la minaccia

A 64 anni dai gravi fatti genovesi del giugno 1960 possiamo riflettere sul significato della protesta di quei giorni.

Ormai sono passati 15 anni dalla fine del conflitto Mondiale e le ferite della guerra rimangono evidenti: la politica nazionale, dopo il momento unitario della Costituente, vive profondi conflitti; il “miracolo economico” crea benessere, ma non per tutti; il governo attraversa un momento delicato: la Democrazia Cristiana, partito di maggioranza, intende aprire ai Socialisti con la nuova formula “di centro sinistra”. Prospettiva osteggiata dai Liberali di Malagodi, che abbandonano il governo aprendo la crisi. Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi affida l’incarico esplorativo a Fernando Tambroni, giungendo al voto di fiducia il 4 aprile. La DC vota insieme al Movimento Sociale Italiano di Michelini, nelle cui fila militano “repubblichini”, fascisti compromessi col regime mussoliniano. La situazione crea immediate reazioni: tre ministri democristiani rifiutano il compromesso e si dimettono. L’ufficio politico DC chiede le dimissioni di Tambroni, che non è più in grado di proseguire il suo progetto – appunto -e si dimette Per ritorsione il Movimento Sociale esce da 31 amministrazioni locali e apre a catena nuove crisi in importanti comuni italiani. A Genova i missini votano contro il bilancio facendo cadere la giunta democristiana e commissariando il Comune. Il Paese è scosso. A Roma si cerca una soluzione, ma Amintore Fanfani fallisce il mandato esplorativo per varare un nuovo governo. Con un atto privo di giustificazioni istituzionali, Gronchi respinge le dimissioni di Tambroni, chiedendo di presentarsi nuovamente al voto di fiducia in Senato. La sinistra protesta vivacemente, cresce il malessere nelle piazze. La risposta di Tambroni non si fa attendere: il primo provvedimento è una circolare, diramata dal Ministero degli Interni, che invita questori e prefetti a impedire qualunque protesta contro il governo. L’iniziativa surriscalda ancora di più la situazione. Mentre la svolta apre un notevole spazio politico ai missini: il 14 maggio la Direzione Nazionale della Fiamma indica in Genova la sede del VI° congresso nazionale. Scelta che accende nuove proteste. Sandro Pertini, parlando alla folla in Piazza della Vittoria, dichiara: “il congresso neofascista è convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali della Resistenza”.

Getto Viarengo

30 giugno 1960: la lotta antifascista di Genova – ANPI Grugliasco Pertini in Piazza della Vittoria

(Foto da un reportage del Fotografo Giorgio Bergami)

30 giugno 1960. Una data da ripensare: la risposta antifascista

La notizia che incendia la piazza è che a presiedere il congresso genovese sarà Carlo Emanuele Basile; con Livio Faloppa. Basile aveva aderito a Salò dopo l’8 settembre presiedendo la provincia di Genova. Sarà responsabile della caccia agli ebrei da deportare ad Auschwitz e della repressione anti partigiana. Dal luglio ‘44 diventa sottosegretario alla Difesa. Prima di lasciare Genova ha tempo di collaborare con le SS installate nella Casa dello Studente. Condannato alla pena di morte, nel giugno 1946 ottiene l’amnistia. Faloppa era il federale genovese al comando della Brigata Nera Silvio Parodi, affiancato dal torturatore Vito Spiotta. Riuscirà a riparare in Spagna.

I primi a reclamare la pronta risposta sono i socialisti: il senatore Gaetano Barbareschi chiede il 6 giugno un confronto tra i partiti democratici e una mobilitazione sul territorio. Richiesta che il DC Gianni Dagnino rifiuta.

Intanto i missini si radicano in vista dell’assise genovese. Il primo passo è l’apertura della sede di Chiavari nella centrale Via Bontà; prevista per domenica 19 giugno: inaugurazione del circolo giovanile “Bir el Gobi”, la battaglia libica tra nazifascisti e Alleati, e quello “seniores” “Carlo Bordano”. I fatti chiavaresi anticipano quelli genovesi. Sin dal primo mattino la zona è presidiata dalla polizia. Gli uomini della Coduri, gli iscritti all’ANPI, i militanti del sindacato e dei partiti democratici controllano la zona per impedire la riunione. Nel ricordo dell’agosto 1945, con Piazza Mazzini militarizzata per il processo a Spiotta, Righi e Podestà, il 19 giugno riporta a quel clima. Ho intervistato un missino protagonista di quei giorni: erano previsti circa 160 giovani iscritti e 120 seniores. In quella riunione si dovevano votare i delegati per Genova. La tensione sale, Castagnino “Saetta” parla con il questore: “qui non passerà nessuno, dovete portarli via voi!”. Alle 15 è arrivata solo una decina di persone e la polizia chiede ai missini di abbandonare la sede: a metà pomeriggio due camionette allontanano quattro militanti, due donne e due uomini. Intanto un missino raggiunge la zona delle Grazie dove incontra il gruppo genovese venuto a dare manforte ai chiavaresi: dopo qualche discussione torna a casa. La giornata di Chiavari termina senza scontri. Non sarà così a Genova, dove la lotta antifascista si tramuta in vera battaglia. È la lezione che apre una nuova fase politica: adesso il tentativo autoritario di Tambroni è definitivamente battuto.

Getto Viarengo

Dopo un’opportuna dieta disintossicante, il nostro ghiottone levantino torna in pista.

Pochi lo sanno, ma in Liguria si producono anche salumi

Tutti conoscono pesto, acciughe, stoccafisso, pansoti o il pandolce. Generalmente si pensa che la produzione di salumi non sia patrimonio ligure. D’altra parte l’allevamento di maiali in Liguria è sempre stato scarso e di norma a stretto uso familiare, particolarmente nell’entroterra. Andiamo a scoprire queste piccole produzioni di nicchia, la cui nomea non supera di solito i confini comunali:


  • Le Frizze tipiche della Val Bormida. Sono piccole palline di budello di maiale insaccate con fegato, salsiccia e bacche di ginepro. Si possono cuocere a bagnomaria, fritte o grigliate;

  • La Mostardella è un insaccato che utilizza i ritagli di carne suina o bovina, spesso parti di scarto di lavorazioni più pregiate. Originariamente era tipica di Vobbia. La sua produzione oggi si allarga all’immediato entroterra di Genova;

  • Il Salame di Sant’Olcese, forse il più noto dei salumi liguri, mescola alla carne di suino una parte bovina. Tipica è anche una leggerissima affumicatura;

  • Il Salame di Orero. Anni fa la località faceva parte del comune di Sant’Olcese;

  • Il Salame cotto e crudo di Sassello, con una selezione di carni pregiate per il crudo e il riutilizzo delle parti non usate per il cotto.

  • La Mortadella nostrale della Val di Magra, diffusa anche nella confinante Lunigiana Toscana. A dispetto del nome è un salame morbido, con uso di carni magre e inserimento di lardelli grassi;

  • Altro elemento tradizionale è la Salsiccia di Ceriana (Sousisa de Seriana). Di fatto una luganega, lunga e stretta, con gusto speziato e aromi;

  • Del levante ligure è la Salsiccia di Pignone, sotto forma di salamelle in budello naturale. Si fa apprezzata per la delicatezza;

  • Il Lardo di Finale Ligure, aromatizzato al basilico ha ottenuto riconoscimenti a livello nazionale ed europeo. Un prodotto unico e particolare. Notevoli anche le altre produzioni del noto salumificio locale;

  • Salame di Castiglione Chiavarese. Sulla cresta dell’Appennino tra le province di Genova e La Spezia un piccolo salumificio artigianale offre prodotti di ottima qualità;

Prodotti senza un particolare territorio di riferimento sono i Sanguinacci (beròdi), realizzati con sangue di maiale, uniti o meno a frattaglie con aromi vari. In alcuni casi si registrano anche sanguinacci dolci con zucchero, pinoli e uvetta. Un altro salume tipico di tutta la Liguria è la Testa in cassetta. Salumi analoghi sono presenti anche in altre regioni (Coppa di Testa, Soppressata, ecc.), ma quelli liguri sono speciali.

Nicola Caprioni