Numero 5, 31 luglio 2023

SAPERE PER DECIDERE

CONTROINFORMAZIONE LIGURE

Numero 5, 31 luglio 2023

Care/cari tutti, con questo numero il nostro web magazine va in vacanza.

Arrivederci al 1 settembre.

Indice

SPIFFERI

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La tenuta casalinga di Ignazio Benito La Russa

Sachem La Russa in agguato nel Tigullio

Il capo guerriero Ignazio La Russa se ne sta a Zoagli mentre suo figlio deve difendersi da un’accusa infamante. E chissà cosa si fumava costui imponendo agli eredi nomi della più feroce tribù di nativi americani: Apache l’indagato, gli altri due Cochis(e) e Geronimo. Se avesse avuto una figlia l’avrebbe chiamata Pocahontas? Al di là delle decisioni della magistratura, è un fatto che questi rampolli di vip western – come La Russa e Grillo – finiscano spesso invischiati in vicende tipo Ulzana’s raid (il film con Burt Lancaster sulla scorreria del capo Chiricahua con annessi stupri). Per cui l’Ignazio farebbe meglio a starsene a Zoagli sino a fine indagini, per non influenzare l’operato delle istituzioni. Ma le prepotenze alla Massacro di Forte Apache pare si trasmettano di padre in figlio.

Bel colpo Toti, il rigassificatore promette interessanti sviluppi di carriera

Con la decisione unilaterale di stipulare l’accordo con Snam, il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti, quale “commissario straordinario per il rigassificatore”, avvia il nuovo corso dell’impianto offshore ligure. La nave sarà posizionata per 17 anni a 4 km. dalla costa tra i comuni di Vado Ligure, Quiliano e Savona per raggiungere, mediante condotta subacquea, il Nord d’Italia; soddisfacendo il 7% del fabbisogno nazionale di gas. Solo dopo, a operazione varata, Toti prevede incontri con i sindaci dei comuni interessati, nella totale estromissione dalla decisione del consiglio regionale e in assenza della stesura di un complessivo piano ambientale. In base al principio di non disturbare il manovratore; in cerca di nuove ricollocazioni, quando abbandonerà la poltrona di De Ferrari.

L’ordinanza alcolica di Bucci promulgata dal Monte Sinai

Dio a Mosè (Levitico, 11): ‘puoi mangiare carne di quadrupede se ha unghie dipartite, ma solo se rumina. I pesci solo se hanno pinne e squame’. L’obbligo generale è non mangiare cadaveri. Solo animali vivi, allora? chiese il tapino Anche gli insetti sono proibiti ma non quelli che hanno ‘due zampe sopra i piedi’. La confusione dell’uomo delle Tavole è come quella dei genovesi dopo che Bucci ha emesso l’ordinanza anti-alcol. Nelle zone “rosse” (perché abitate dai comunisti?) è proibito bere dalle 12 alle 8 del mattino successivo (ma dalle 8.01 alle 11.59 ci si può ubriacare anche per strada). Alle 22 stop al consumo di alcol all’aperto ed è proibita la vendita da asporto, ma (ecco la ganzata) non la consegna a domicilio. Ci si chiede se l’ordinanza sia stata emessa dalle 8.01 alle 11.59.

ECO DALLA RETE

Dall’indirizzo di saluto del neo presidente di Italia Nostra, Sezione Genova

In questi anni il mito del mercato e delle privatizzazioni ha incentivato nell’amministrazione civica una mentalità affaristica contraria alla tutela dell’ambiente: la città non più bene comune ma azienda da cui trarre il massimo profitto. Non a caso molti sindaci sono intrisi di una mentalità di stampo nordamericano tesa a privilegiare il MKTG sulla erogazione di servizi; l’effimero sulla gestione ordinaria; la manipolazione delle regole sul loro rispetto. Nonostante un repertorio d’immagini neofuturiste e ipermoderne siamo fermi a un’idea di città vecchia, novecentesca, in cui sembra scontato che a comandare debbano essere i più ricchi. Si veda la recente vicenda del parcheggio dedicato a due o tre privilegiati, realizzato svendendo prezioso suolo urbano nell’angusta Piazza Portello.

Pensiamo all’aggressione ai due corridoi paesaggistici dell’area metropolitana: il comprensorio di Vesima e l’area verde di Campostano, a Nervi; minacciati da progetti tanto inutili quanto distruttivi. Pensiamo all’annosa vicenda del nuovo Galliera: macroscopico errore urbanistico la cui realizzazione non risolverebbe le criticità dell’ospedale ottocentesco e, oltre a distruggere verde prezioso, creerebbe un’infinità di problemi nel quartiere già congestionato. Pensiamo all’urbanistica del supermercato per favorire la GDO a scapito del commercio di prossimità, così come al processo di turistificazione in corso, nonostante la recente pandemia abbia dimostrato quanto sia importante la rete dei negozi di quartiere e come sia fragile un sistema imperniato sul turismo. Pensiamo all’ipocrita retorica urbanistica sempre pronta a riempire di verde la bocca dei politici e i rendering degli architetti, quando ogni giorno vediamo abbattere grandi alberature storiche, perché disturbano la rete del 5G, in fase di realizzazione, su cui convergono grandi interessi e investimenti internazionali. Pensiamo al cantiere di una nuova diga foranea che nelle previsioni dei tecnici rischia di diventare un Mose genovese. Pensiamo al sistema trasportistico dedicato più ai turisti che ai genovesi, che da un lato promuove funivie, monorotaie e altre amenità da fiera campionaria e immola il servizio dei treni a breve percorrenza sull’altare dell’alta velocità.

Pensiamo soprattutto a come il dibattito epocale sul tema dei cambiamenti climatici qui sia luogo comune disatteso nei fatti. Come dimostra il recente tentativo di modificare la normativa urbanistica regionale per rendere edificabili aree esondabili.

Stefano Fera

ECO DELLA STAMPA

Da un articolo apparso su il Fatto del 17 luglio, in controtendenza rispetto all’ideologia anti-statalista e iper-privatista del ceto politico, trasformata in sentire diffuso. Anche nella regione già capitale delle Partecipazioni Statali.

Il vero “Stato innovatore” era l’IRI

Considerate la seguente serie di asserzioni. La scoperta del polipropilene, la plastica più prodotta al mondo, trova le sue radici presso un laboratorio di ricerca pubblico italiano. La principale azienda europea di semiconduttori (STMicroelectronics) fu sviluppata da un’impresa pubblica italiana. Lo standard di codifica digitale Mpeg, da cui deriva l’Mp3, fu elaborato dal centro di ricerca e sviluppo di un’impresa italiana delle telecomunicazioni a controllo statale (Cselt). La prima centrale a concentrazione solare al mondo a immettere elettricità in una rete nazionale fu progettata e costruita in Sicilia da imprese pubbliche (Enel e Ansaldo). Un’impresa pubblica italiana sviluppò un modello commercializzabile di auto ibrida (Alfa Romeo 33 ibrida) quasi 10 anni prima di Toyota. Un’altra impresa pubblica italiana ideò il sistema di pagamento dinamico più utilizzato in Europa (Telepass). Queste non sono farneticazioni di qualche eccentrico predicatore dello Speakers’ Corner di Hyde Park, bensì affermazioni veritiere. Infatti, anche il nostro Paese ha avuto un suo “Stato innovatore” e questo è stato per lo più incarnato dalle imprese pubbliche, in particolare da quelle appartenenti all’Iri.

A dispetto della sua fama di “carrozzone”, negli anni Settanta l’Iri diventò il principale soggetto nazionale per la ricerca e l’innovazione. Pur rappresentando il 3% del Pil, nel 1992 pesava per il 15% della ricerca e sviluppo nazionale (il 26% del settore delle imprese). Un valore cresciuto nel tempo rispetto al 4% del 1963. Le imprese Iri investivano più di quelle non-Iri nella R&S: a fine anni Ottanta l’intensità di ricerca (R&S su fatturato) delle imprese Iri era superiore al valore nazionale in tutti i settori comparabili.

Simone Gasperin

C’È POSTA PER NOI

Riceviamo dal Circolo Nuova Ecologia

Questo è un albero di prima grandezza e quest’altro è l’alberino con cui lo vorrebbero sostituire, dentro cassoni di cemento, così le radici non potranno più infastidire la speculazione dei privati. E così vogliono rovinare irreversibilmente tutta corso Andrea Podestà con la compiacenza della sovrintendenza che dovrebbe salvaguardare la qualità altissima del paesaggio genovese sulla passeggiata delle mura. Cemento go home, le seghe usatele in modo più appropriato.

Se il board di Port Autority Ge-Sv battesse un colpo

Che cosa pensare della notizia «il board striglia Signorini»?

Frutto dell’agitazione di un Comitato di gestione (il “board”) che, a rischio di imminente scioglimento (causa “promozione” di Signorini in IREN), tenta di dare un segno di vita prima di essere archiviato come il muto avallatore della più spregiudicata, dannosa e pericolosa amministrazione di Palazzo San Giorgio che si ricordi. In sostanza un rigurgito, immediatamente annacquato da una risposta perfida di Signorini: «Si avete ragione, ma sapete che c’è? Parliamone. Anzi parlatene, perché io me ne vado a prendere 600mila euro/anno. Arrivederci».

Quando mai i membri del Comitato di gestione hanno votato contro le decisioni di Signorini? E oggi, mentre sta per chiudersi la stalla, con i buoi già usciti con il carro pieno di miliardi pubblici spesi a favore dei giusti appaltatori, si svegliano chiedendo: «Qual è il porto a cui effettivamente si mira?». Quale altro porto si potrebbe desiderare oggi visto che i miliardi sono già stati spesi per fare di Sampierdarena il porto esclusivo per MSC e la sua corte di vassalli? Se non è così, il Comitato di gestione allora si rilegga per buona memoria i poteri che la legge gli conferisce (art.9 della legge 84/1994). Cosa si deve pensare della vostra attuale presa di posizione a fronte delle posizioni assunte in questi anni? Riprenda in mano il progetto della diga eliminando i rischi ambientali, gli sprechi economici e lo destini a un modello di sviluppo organico del porto. Riprenda in mano il piano occupazionale del porto e fissi degli obiettivi espliciti di crescita occupazionale e professionale correlati agli investimenti pubblici e privati. Renda trasparenti i piani di impresa dei concessionari consentendo all’opinione pubblica e alle parti sociali e politiche di verificarne la corrispondenza e la coerenza con gli obiettivi di efficienza del porto, di sviluppo della città e del territorio in termini di reddito, lavoro e qualità della vita.

Riccardo Degl’Innocenti

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Tutto va bene, madame Liguria

Molti anni fa il fine umorista Marcello Marchesi cantava una canzoncina in cui un maggiordomo elencava tutti i disastri avvenuti in casa, ma concludeva con la frase “ma a parte questo, madama la marchesa, tutto va ben, tout va très bien”. Così, prima di riprendere Controinformazione dopo la pausa estiva faccio un breve elenco degli ultimi, ma non mento importanti, disastri, disastrini e disastretti tra la Liguria e Genova. Non catastrofi naturali ma provocate da chi ci governa. I volontari gratis dell’Ocean Race non aiutano la perdita di svariati milioni (otto, nove, dieci?) tutti a carico nostro. Secondo gli ultimi dati a disposizione solo a Genova 2.000 famiglie sono a rischio sfratto (10.000 in Liguria), e il Comune spende per quattro nuovi taxibus per incrementare la movida. In compenso abbiamo vinto il Festival del Brodetto di Fano, con ‘O Vittorio’ di Recco, per un punto sul cacciucco livornese. Dunque qualche buona notizia fondamentale per i liguri c’è. Nel frattempo l’Esselunga, sbarcata a Genova con un altro megastore tra il porto e Sampierdarena, è indagata per vari reati, compreso quello di sfruttare la mano d’opera. Questi giganti, secondo la Camera di Commercio, per ogni posto di lavoro in più, ne portano via tre, senza contare i danni per l’indotto. E ora tenta di infilarsi nel centro di Rapallo, con una mega struttura, e addirittura “sopraelevando” il campo di calcio Macera: sarebbe perfino ridicolo e divertente se non portasse alla rovina di molte categorie di esercenti, e aumentando di fatto la disoccupazione. Intanto monsignor Tasca, folgorato sulla via di Damasco o di viale Brigate Partigiane, non è andato all’Ocean Race a benedire gli yacht mega galattici ma ha fatto un pistolotto ai nostri dirigenti dicendo che invece di pensare alle barche (non proprio così esplicito) occorre guardare le vere nostre emergenze: la denatalità (e meno male che ci sono gli emigranti che ne fanno ancora, l’INPS ringrazia), l’emergenza case (v. sopra) e i giovani (incentivati alla movida e che a Vernazzola prendono a bottigliate i residenti che chiedevano meno caos). Ma a parte questo, madama la marchesa, per Toti & Co., tutto va ben, tout va très bien. Buone vacanze.

Carlo A. Martigli

Troveremo mai la forza (e il modo) di reagire?

La perversa combinazione di spocchia arrogante nel gabellare insindacabile quanto – in effetti – conviene solo a chi ci comanda e la spudoratezza – favorita dal controllo dell’informazione – nel promuoverlo come scelta benefica per la comunità, ha prodotto il fatalismo abulico che affligge da un decennio la gente di Liguria; rendendo inscalfibile la presa sulle istituzioni di questa Destra affaristica e confusionista.

Nulla e nessuno ormai riesce a scuotere il torpore della cosiddetta pubblica opinione locale. Eppure la banda Toti di pasticci e malefatte continua a collezionarne ininterrottamente. È di questi giorni la notizia che, con il benestare della Regione, 700mila metri cubi di fanghi contaminati e rifiuti sono stati riversati nel mare di Genova, in spregio alla legge che disciplina il dragaggio dei fondali nei porti italiani. Una catastrofe ambientale perseguita esclusivamente per soddisfare le esigenze di Gianluigi Aponte, boss del Gruppo MSC, che nel porto di Genova continua a farla da padrone; con il beneplacito dei nostri rappresentanti in Regione, Comune e Port Authority: abbassare i fondali per accogliere le navi di MSC Crociere World Class, da 333metri di lunghezza, 216mila tonnellate di stazza lorda e 9,5 metri di pescaggio per trasportare circa 7mila passeggeri.

Uno scandalo metabolizzato nella rimozione. Anche se è solo l’ultimo esempio di mercificazione del territorio; insieme alla vendita della salute, specialità della premiata ditta Toti, Bucci & Partner. In altri tempi l’indignazione avrebbe già innalzato il canonico aux armes citoyens. Oggi a risuonare è solo il silenzio assordante dell’apatia.

Eppure, quanto rileviamo proprio stilando il nostro giornalino web è la preziosa sopravvivenza di sensibilità individuali che auspicherebbero un cambiamento radicale. Che nonostante loro non giungerà mai, stante l’isolamento che li emargina.

Ma il compito di raccordare tali energie civiche in un progetto collettivo non dovrebbe diventare il primo punto nell’agenda dell’opposizione politica? Che per ora dimostra di trascurare i compiti base del proprio ruolo. Vuoi silente perché soddisfatta dei benefit inerenti alla poltrona cui è stata eletta; vuoi solista perché convinta che opporsi significhi “fare il fenomeno”: scoop e one man show con effetti meramente testimoniali. Facilitandone il silenziamento a Toti, che prosegue a coltivare le sue liaison “coperte”. Tipo quella indicibile con il manager Benetton in Autostrade Giovanni Castellucci.

Pierfranco Pellizzetti

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Urbanistica, questa sconosciuta

Genova, città con potenzialità eccezionali, ha perso consapevolezza e responsabilità della propria grandezza. Ignoranza urbanistica, assenza di visione globale del territorio e avidità dell’industria edilizia, hanno prodotto la negazione del rapporto integrato fra città e sfera di produzione, con spreco e sfregio delle sue risorse. In assenza di relazione sistemica e sinergica, ogni intervento si è rivelato improduttivo e inibitorio rispetto a futuri sviluppi. L’urbanistica è disciplina complicata, in quanto riguarda molteplici ambiti continuamente mutevoli: morfologia e vocazionalità del territorio, cultura storica dei siti, situazione sociale, demografica, occupazionale, produttiva, qualità della vita, mobilità.

Ma essenzialmente riguarda le correlazioni dinamiche fra essi. La storia dei PRG genovesi, dal dopoguerra ad oggi, è storia del fallimento dell’urbanistica sull’altare della mercificazione dell’architettura. Vocazioni territoriali tradite, quali il recupero delle preziosissime aree industriali retroportuali, perse nell’ingiustificabile operazione di Fiumara; incapacità di gestione dei flussi di percorrenza, attivatori dell’interesse privato, quale la scellerata operazione di esproprio totale di via Prè. In un attimo ucciso il “genius loci”, interessante seppur ambiguo, della via, facendo tabula rasa di storia, cultura e relazioni. Sarebbe bastato recuperare piazza Statuto quale ingresso a palazzo Reale, eliminando l’inutile e preclusivo mercato ottocentesco, per attivare un flusso turistico virtuoso di attraversamento al centro di via Prè, che a sua volta avrebbe attivato l’interesse dei privati, arricchendo la via di nuovi esercizi commerciali, bar, ristoranti. Il sacrificio infine di aree strategiche quale lo stesso porto antico che, a parte il benefico slancio creato dall’acquario, è stato lottizzato come un condominio senza mezza idea produttivo/ turistica strutturata (ad esempio la creazione di una piccola università specialistica, tipo arredo navale) Non c’è tempo in questa sede per sviluppare un’analisi storica comparata fra le varie parti del processo di sviluppo urbano, o un excursus sulle tragiche conseguenze di scelte urbanistiche ignoranti , compiacenti o collusive. Ci basta annotare quanto una seria gestione urbanistica del territorio possa rivoluzionare il futuro economico di una città e la qualità della vita dei suoi abitanti. Affinché non vengano sprecate le ultime risicate occasioni di scelte intelligenti.

Marina Montolivo Poletti

La guerra degli alberi: difendere i pini di corso Podestà con le pigne e il TAR

Almeno a Corvetto gli alberi non li hanno tagliati e i segaioli sono stati respinti. Ma in corso Andrea Podestà si stava preparando l’ennesimo scontro: dove vorrebbero eliminare tutta la vegetazione d’alto fusto che disturba la speculazione edilizia tanto cara all’Amministrazione, rimpiantando alberelli piccolini e tanto carini Ma noi come al solito cercheremo di fare i guastafeste: esperti in arrampicate sugli alberi sin da giovanissimi, ci trasformeremo in tanti baroni e baronesse rampanti difendendo i nostri alberi – in questo caso pini marittimi – a colpi di pigne, che tireremo in testa ai segaioli di Bucci se si presenteranno a fare danni. Ammettiamo: è stato meritevole recuperare un po’ di soldi dall’Europa per rimboschire Genova. Meno per piantare alberi su monti e scarpate. Là dove non cambia assolutamente niente per la qualità di vita e salute delle persone che vivono al Lagaccio, in Corso Europa, a Certosa, a Cornigliano; che continueranno a morire per eccesso di fumi, per eccesso di gas di scarico, nonostante siano circondati da alberelli. Nel migliore dei casi meli o peri, oppure ciliegi da fiore. Panacee risibili rispetto al dato statistico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità o dell’Istituto Tumori di Genova, secondo cui in città ci sono circa cento morti all’anno in più del previsto, dovuti a inquinamento atmosferico. Ovviamente, se io pianto l’albero in cima al Monte Fasce, chi non ci abita e vi fa una gita si fa un bel respirone, ammira il paesaggio e niente di più. Invece chi vive a Borgoratti, a Rivarolo o nel centro cittadino non ricava nessun vantaggio dal rimboschimento e continua ad ammalarsi… Sempre nell’assoluta indifferenza del sindaco, che ovviamente pensa al business e non ai suoi cittadini.

Da sempre il nostro motto è “chi la dura la vince”; e noi assolutamente puntiamo alla vittoria, che è un atteggiamento irrinunciabile del nostro modo di operare sul territorio. Che per fortuna ha portato già a grossi risultati. E speriamo ci dia ulteriori riscontri nell’eterna lotta contro i cementificatori e i loro riferimenti politici e istituzionali.

Intanto – il 15 luglio – su richiesta di tre residenti, il Tar ha sospeso il cantiere delle seghe. La sentenza arriva il 10 agosto. Considerato ricorsi e controricorsi, male che vada ne parliamo in autunno. Quindi con gioia sospendiamo la prevista iniziativa di protesta lunedì 17 luglio contro il taglio degli alberi e brindiamo alla salute dei giudici del TAR. Per ora.

Andrea Agostini – Circolo Nuova Ecologia

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

L’ANPI Sfrattata dal Comune di Sarzana

Il comune di Sarzana ha sfrattato la sede dell’ANPI di Sarzana. Da molti anni l’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia aveva trovato spazio per la propria sede in uno degli stalli dell’ex mercato ortofrutticolo insieme a diverse associazioni culturali.

Il progetto originario di riutilizzo del mercato, voluto dall’allora assessore Amilcare Grassi, era molto bello e sicuramente d’avanguardia. Offriva ai giovani opportunità di impegnarsi in attività culturali e ricreative e prevedeva uno spazio comune centrale polifunzionale, dove avrebbero potuto svolgersi concerti musicali, spettacoli teatrali, convegni, incontri, proiezioni cinematografiche e altro.

Un sindaco di centrosinistra, più preoccupato del consenso elettorale che dei giovani e della cultura, decise di sottrarre lo spazio centrale e alcuni stalli alle associazioni culturali per consentire alla squadra locale di Hockey a rotelle di giocare. Obiettivo giusto, vista la diffusa passione per l’Hockey e i prestigiosi risultati della squadra sarzanese, ma che in nessun caso doveva essere fatto a danno delle associazioni.

Ora, l’amministrazione di destra ha deciso di dotare la società di hockey di dignitosi spogliatoi e lo fa sfrattando una delle associazioni dallo spazio che occupa da sempre. Indovinate chi? L’ ANPI naturalmente. Il problema è che in numerosi incontri la sindaca e gli amministratori locali si erano impegnati a fornire una soluzione alternativa, dando ampie rassicurazioni al riguardo. Ora si sono rimangiati la parola data e mettono l’ANPI col suo archivio storico gli arredi in mezzo a una strada.

Da segnalare che alcuni stalli sono chiusi da anni e non più frequentati da tempo. Poteva benissimo usare quelli, oppure trasferirvi la sede ANPI.

La verità è un’altra. La democraticità di chi organizza corsi su Julius Evola è ben strana. Essa pensa di cacciare tutte le organizzazioni democratiche, fa la guerra ad ARCI e ANPI, chiude le sale per convegni, cerca di occupare o cancellare i luoghi di incontro e aggregazione come nei casi della Protezione Civile, della Pubblica Assistenza, delle società sportive. Una democrazia che lascia spazio solo chi è d’accordo con loro.

Nicola Caprioni

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Una cartolina dal porto di Genova

Stamattina ho visto entrare in porto a Genova una portacontenitori MSC diretta al terminal Bettolo servita da alcuni mezzi dei Rimorchiatori Riuniti. Facile l’osservazione: nave MSC, rimorchiata da mezzi MSC, diretta a terminal MSC. Si potrebbe aggiungere che i container movimentati al terminal sono trasportati in una misura crescente da mezzi Medlog Italia, Medway Italia e Medtruck, società di MSC, che svolgono servizi di trasporto intermodale ferroviario e stradale. Sullo sfondo di questa istantanea il grattacielo MSC a Sampierdarena dove ha sede l’agenzia marittima Le Navi di MSC che cura la gestione della flotta MSC nei porti italiani. Un fenomeno chiamato “integrazione verticale”, per cui MSC mira a controllare, a partire dalla raggiunta posizione di vertice nel trasporto marittimo di container (quattro compagnie possiedono il 57% della capacità di trasporto, MSC da sola il 18,8%), l’intero ciclo di spedizione della merce, «door to door», dal mittente al destinatario. Lo stesso fanno peraltro le altre tre, Maersk, CMA-CGM e Cosco che ne condividono il dominio. Così MSC tende a realizzare questa visione oligopolistica estesa, presidiando con imprese controllate le tratte e i servizi, a terra e in mare, che costituiscono gli anelli della catena di spedizione, per ricavarne ad ogni passaggio ulteriore valore e per ridurre o eliminare le minacce che alla sua competitività provengono dai concorrenti, dagli outsider, dai fornitori e dai clienti.

R.D.I.

L’oligopolio portuale come vantaggio competitivo

Questo di MSC è il modello che nella letteratura di impresa prende il nome di Michael Porter, che lo elaborò nel 1979, con cui le aziende valutano la posizione sul mercato per agire (reagire, ma meglio pro-agire) rispetto alle “forze” che tendono a eroderne nel tempo la competitività. Nel caso di MSC i concorrenti vengono selezionati attraverso i processi che concentrano capitali e quote di mercato e gli outsider esclusi alzando di conseguenza le barriere di ingresso. D’altro canto, i clienti non hanno altrettanta capacità di aggregazione della domanda per risalire nella catena del valore sino a minacciare lo strapotere dell’offerta degli armatori (forse solo Amazon). Per quanto riguarda i fornitori invece la situazione è molto diversificata. Nell’istantanea di stamani ne compaiono due tipi: i fornitori del rimorchio portuale e dei servizi terminalistici. Verso di essi la politica di MSC è duplice: o l’acquisto con l’inserimento nel proprio perimetro societario, favorito dalla strabordante liquidità dei noli e dagli utili senza precedenti generati dalla posizione dominante, che consente altresì di sottrarre una risorsa ai propri competitori (vedi il recentissimo acquisto del Terminal San Giorgio); o l’imposizione ai fornitori, anche con pratiche commerciali molto aggressive, di tariffe rispondenti alla propria esclusiva convenienza. Nel tempo il modello di Porter si è evoluto introducendo tra le “forze” l’influenza che agenzie governative, enti regolatori, forze sindacali e dello Stato possono esercitare rispetto a fenomeni eccessivi di competitività che si traducono in forme tendenziali di monopolio. Nell’istantanea di stamattina manca però il profilo di Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità portuale, diretta emanazione del potere governativo, la quale sinora è apparsa una “forza” piuttosto a favore di questi fenomeni invece che a tutela degli interessi pubblici e sociali, compresa la libertà di impresa. Una Autorità indifferente e inerte, con il Presidente con la valigia in mano già gonfia – secondo i media – del prossimo ingaggio da 600mila euro l’anno, meritato probabilmente proprio grazie a questa passività, e incapace di rappresentare degnamente l’interesse della collettività dei cittadini e dei lavoratori del porto e delle imprese che aspirano alla libera concorrenza.

Riccardo Degl’Innocenti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Assurdità ligure: concentrare la cura nell’ospedale e poi svuotarlo di risorse

Oltre 4 milioni di euro in diciotto mesi spesi da Regione Liguria per prestazioni di medici a gettone. Un conto parziale, destinato a crescere vertiginosamente: nel 2022 la Regione ha comprato prestazioni dalle cooperative private per 2 milioni e mezzo.

Su questi temi è intervenuta l’ANAAO, il sindacato dei medici e dirigenti sanitari: “Le cooperative sono società di intermediazione di servizi in sanità che assicurano la copertura dei turni con il personale disponibile, senza badare troppo alla sua professionalità e tantomeno alle sue condizioni psicofisiche. Infatti non è dato sapere da quanti turni lavorativi è reduce chi prende servizio, nè se ha rispettato il periodo di riposo imposto dalle leggi a tutela della sicurezza dei pazienti, tantomeno da dove viene e se si è sottoposto a viaggi massacranti. Senza contare che entra, magari una tantum, con il metodo della toccata e fuga, in organizzazioni che non conosce, di cui ignora procedure, tecniche e modalità di lavoro in gruppo. Se queste soluzioni estemporanee, dal vago sapore elettorale, tranquillizzano il management, non possono rasserenare chi ha la responsabilità diretta delle unità operative, rispondendone “in vigilando ed eligendo”, nè chi all’ospedale ricorre in momenti delicati della propria vita”.

In realtà le società interinali sono estranee al sistema sanitario. Invece di rafforzare e modernizzare il lavoro dei medici di base, indispensabile presidio sul territorio collegandoli con le strutture ospedaliere, e rafforzare la medicina preventiva, si rende centrale l’ospedale per poi – incoerentemente – depotenziarlo di personale medico e infermieristico; persino di addetti a pulizie e manutenzioni. Una carenza ligure più grave che in tutte le altre regioni.

Anche la CGIL della Spezia ha preso posizione sull’affidamento del pronto soccorso a cooperative private, per bocca del suo segretario Luca Comiti: ““Siamo contrari all’affidamento ad un soggetto privato come Pediacop della copertura del turno di notte del Pronto soccorso, un metodo che di fatto rappresenta una privatizzazione del servizio; bisogna invece che la Asl5 assuma personale sanitario. Ormai questo è l’andazzo generale: liste di attesa infinite? Pronto soccorso intasato? Soldi ai privati. Invece di programmare un pacchetto di assunzioni straordinarie, come chiediamo da anni, la Asl5 per ovviare carenze strutturali e di organico si affida al mercato. Nel caso del Pronto soccorso pagando 100 euro l’ora”.

Nicola Caprioni

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) del potere, locale e non

Lo stato dell’arte dei rifiuti liguri. Altro che economia circolare!

Gli ambientalisti e i loro partiti non sono al governo in Europa. Frans Timmermans “commissario per il clima e il Green Deal europeo” è stato confermato dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, certo non una estremista di sinistra. Perché allora le politiche europee a partire dal Green Deal propongono una forte svolta ambientale? In particolare per il ciclo dei rifiuti si chiede una politica orientata all’economia circolare; ad esempio non incentivando gli inceneritori, esplicitamente esclusi dal Next Generation EU. Il motivo è semplice: l’Europa importa oltre il 60% delle materie prime necessarie alla sua economia, beni che diventano sempre più rari e quindi costosi. In Europa hanno capito che i cassonetti sono vere e proprie miniere urbane e che economia circolare è un modo per salvare le nostre imprese. Non sembra che in Italia e in Liguria vi sia tale consapevolezza. Si costruiscono ovunque nuovi inceneritori. L’attuale piano dei rifiuti regionale non lo prevede, ma prevede un impianto di riciclo chimico delle plastiche, sostanzialmente la trasformazione delle plastiche miste in carburanti. Tale impianto viene spacciato per economia circolare, ma basta riflettere sul fatto che le plastiche derivano dal petrolio per capire che di circolare vi è ben poco. Ma a peggiorare le cose la giunta Regionale ha appena approvato la legge che istituisce l’agenzia regionale per i rifiuti. Questa agenzia oltre a essere l’ennesimo poltronificio allontana ancora di più le decisioni dai territori e dai cittadini impedendo la partecipazione a scelte politiche importanti come la chiusura del ciclo dei rifiuti. Facile immaginare che tale agenzia si orienterà per la realizzazione di un inceneritore, benevolmente chiamato termovalorizzatore, ma sono la stessa cosa. Ricordo ancora una volta che gli inceneritori oltre ad essere impianti estremamente costosi non risolvono il problema delle discariche, infatti per ogni tonnellata di rifiuto in entrata abbiamo la produzione di circa 300 kg di rifiuti speciali (ceneri) e di 30 kg di rifiuti pericolosi (ceneri volanti dagli impianti di depurazione fumi). Certo produce energia elettrica ma con un rendimento bassissimo attorno al 21%. Le soluzioni sono altre, basate su una raccolta differenziata di qualità, su impianti di trattamento meccanico biologici (TMB) finalizzati al recupero di materia e su impianti di digestione anaerobica, seguiti da impianti di compostaggio, per la produzione di compost e biometano.

Mauro Solari

Attendendo le selezioni giornalistiche del Premio Pulitzer di Bargagli

Il segreto dell’alto civismo e l’appassionato spirito partecipativo che caratterizza la società genovese e ligure, consiste nel ruolo svolto dalla stampa locale nel perseguire un’informazione scevra da condizionamenti e omissioni. Gli incrollabili adepti di un Quarto Potere “cane da guardia” delle virtù repubblicane e dei cittadini di fronte ai Potenti. L’esempio preclaro di Massimo Minella, magna pars della pagina genovese di Repubblica al ritiro del capo redattore Franco Monteverde, che subito coglieva l’opportunità per mettere in pagina una perla di Sandro Bondi, poeta di corte in quel di Arcore, asceso a ministro dei Beni Culturali per meriti cortigiani. L’esempio di alto giornalismo con cui si invitava i liguri a prostrarsi davanti alla famiglia Malacalza, grati ai salvatori di Carige dal default; il pericolo di finire controllati da qualche banca di provincia che avrebbe spostato il baricentro del braccio finanziario genovese altrove. Magari a Modena.

Fulgido esempio di lungimiranza analitica. Ma il nostro personale eroe in tale nobile schiera risponde alla ieratica figura appartata di Giulio Filippi, presidiatore per il XIX delle tematiche sanitarie; con particolare attenzione alla vicenda Galliera. La Guerra dei Vent’anni in corso a Carignano, che l’intemerato cronista segue senza la minima partigianeria a favore di uno dei due contendenti: i gestori di questo bene pubblico intenzionati a farne mercimonio e gli abitanti del quartiere che si oppongono allo scempio. Vicenda confusa, in cui il Filippi riesce sempre a cogliervi tracce di realtà. Come il 16 agosto 2013 quando accreditò l’annuncio del Governatore Burlando dell’imminente spostamento dell’ospedale agli Erzelli. Poi rettificato l’anno dopo dall’assessore Claudio Montaldo, garantendo per settembre il via libera alla vendita del patrimonio immobiliare dell’istituto e al progetto dell’architetto Alberto De Pineda Alvarez (poi purtroppo desaparecido). Ma il 19 febbraio 2015 si conferma nero su bianco la firma per l’accordo finanziario di avvio dei lavori. Per finire, la notizia certa il 28 luglio 2022 che la nuova gara per il Galliera ha trovato un’impresa pugliese che se ne farà carico. Quell’Unimed di cui si sono perse le tracce. Mentre si accavallano annunci di sentenze a favore della speculazione che la magistratura dimentica di emettere.

Insomma, se verrà istituito il Premio Pulitzer di Bargagli per i nostri giornalisti che non si prostrano, ora sappiamo a chi (non) destinarlo.

Pierfranco Pellizzetti

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Quartier Generale cercasi: chi comanda a Spezia?

Che succede a Spezia? Una città già simbolo degli equilibri politico-economici di Prima Repubblica, tra poteri e contropoteri più o meno ufficiali: Marina Militare, industria di Stato e borghesia delle professioni, un PCI ben radicato, con il cuore nelle fabbriche, il cervello nelle campagne (spesso quelle di Sarzana, Stalingrado sul Magra oggi evaporata per autocombustione) e i piedi saldi in un pragmatico migliorismo di governo.

Il cambio di secolo e di passo geopolitico hanno rimescolato le carte e aperto le sfide di una transizione che sembra eterna. La scoperta della vocazione turistica – quasi tutta appesa al fenomeno “Cinque Terre” – l’espansione del porto commerciale e dei traffici crocieristici, l’esplosione della nautica da diporto sembrano disegnare le tracce di un progetto futuro, ma stentano ad affrancarsi. Vuoi per sonnambulismo di classi dirigenti che non si sono ancora riprese dalla disgregazione dei corpi intermedi; vuoi per le contraddizioni irrisolte di una Spezia troppo piccola per essere concorrente di Genova e troppo grande e distante per esserne mera appendice. Vuoi per un’ambigua collocazione “a cavallo” di aree economiche e geografiche eterogenee, dove non è facile risolvere i rebus strutturali e infrastrutturali (riviera, Golfo, entroterra, Val di Vara, Val di Magra…). L’ultima fase di stabilità è stata un’esperienza di governo del centrosinistra in cui confluivano, già indeboliti, i carismi dei vecchi centri di potere. Egemonia erosa dal confronto politico sclerotizzato – scaduto in derby territoriale o peggio personale – e dall’esaurimento della spinta propulsiva di scelte strategiche precedenti. Nel suicidio a sinistra ha scavato un nido il modello notabilare totiano, che scommette sull’immobilità e magnifica l’ambizione di lasciare indisturbati i manovratori. Non meno diluita appare l’influenza dei “salotti buoni” di un tempo: con la vecchia CariSpezia assorbita nell’impero francofono del Crédit Agricole, anche la borghesia sembra relegata nel provincialismo spicciolo. Pesa ancora l’eterogeneità dei modelli di sviluppo – Stato? Piccola e media impresa? Servizi e turismo? Fish and chips? – e una demografia infelice: intelligenze formate a Spezia e spesso in fuga da una provincia tutt’altro che “granda”. Alla sinistra rimane il compito immane di fare il punto nave: da nuove sintesi sociali può nascere un blocco di governo. Sulle ceneri del fu “moderno Principe” e in alternativa ai conigli mannari totiani.

Marco L. Baruzzo

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

La lezione del massimo esperto di specifico savonese, il linguista Enrique Balbontin

Enrique Balbontin e le regole del galateo a tavola - Il ...

Storia di S’vooona dal 1333 al 1745

Oggi, non trovando modo peggiore di giustificare la mia presenza sul pianeta, mi ergo ad imbarazzante fustigatore delle distopiche aporie socio-economiche di S’vooona, la capitale della West Coast, la Riviera dei Fuori, sarò il vostro “Savonarolla” (le due elle sono volute). Purtroppo il c.d. “Modello Priamar” – a cui è chiaramente ispirato il tristemente noto “Modello Genova” e consistente nell’accentrare ogni potere decisionale, in deroga alle normali procedure amministrative, nella figura di un Doge post-yuppie, fanatico religioso, possibilmente velista, con l’intento di darci una botta nel realizzare opere e infrastrutture necessarie al territorio – segna un misero fallimento sotto tutti i punti di vista. Le ragioni alla base di questa disfatta non solo economico-commerciale ma anche e soprattutto umana, affondano le narici nella Savona medievale del ‘300 quando il Doge Enzo Fuor di Melone, dispotico sovrano della Bassa Savonia, impose due misure fiscali in evidente conflitto tra loro. Nel 1333 infatti, con l’Editto di Ciantagalletto, dispose la “Tassa sull’abbagascaimento”, un tributo in apparenza volto a reprimere i facili costumi dell’epoca che, ormai degenerati, avevano portato ad una situazione insostenibile, con la popolazione femminile che girava per le strade vestita esclusivamente di perizomi in pelle di stoccafisso. Inoltre, quotidianamente avvenivano baccanali e pubbliche orge, in particolare nel Sottoportico di Via Paleocapa. Nel febbraio 1334 però, spiazzando tutti, con l’Editto di Quiliano introdusse la “Gabella sulla ciolla”, una tassa fortemente discriminatoria nei confronti della popolazione maschile che a breve insorse con violenza dando vita ai famosi “Moti del ‘34” culminati nella celeberrima “Notte dei lunghi pattoni”.

Nei secoli a venire la situazione non migliorò particolarmente, anzi. Tra il 1698 al 1745 Savona era sotto il governo di Giuse, poliedrico e discusso personaggio dell’Atene ligure. Filosofo scettico, fondatore della corrente dello “Scetticismo a manetta” che poneva incessantemente quesiti esistenziali. Tutt’oggi attualissima la sua grande domanda – “Vado a Vado o vado a Ovada?” – che si pose per 7 anni di fila finché una mattina, reduce da una lorda di Stravecchio, risolse l’arcano: “Vado a Berlino, me ne batto il belino!”.

Giuse impose a tutta la popolazione del Savonese il suo bizzarro stile di vita: trovare uno scoglio sul quale fumarsi tutto il giorno cannoni di pakistano.

E. B.

E dal 1746 ai giorni nostri

In breve la già precaria situazione socio-economica di quella che oggi è universalmente riconosciuta come la “porta sul retro del Mediterraneo” peggiorò sensibilmente. Oltre ad introdurre il caffè corretto grappa obbligatorio, emanò una serie di proclami coi quali si obbligava l’intera popolazione, bambini inclusi, a sconvolgersi almeno 12 ore al giorno. Per quelli che non riuscivano a fumare o preferivano devastarsi bevendo birre ad altissima gradazione, Giuse inventò un bizzarro connubio tra alcol e cultura e, snellendo tempi e costi grazie all’archetipo di tutti i “Modelli”, il “Modello Giuse”, fece costruire a tempo di record un enorme edificio pubblico dove ubriacarsi tra le opere d’arte, il monumentale “Museo delle Ceres” con l’ala dedicata ai grandi cirrotici. In quegli anni Savona era in preda alla più totale anarchia. Alcol e droga dilagavano in ogni fascia di età e la popolazione era ormai totalmente allo sbando. Da qui nacque il nome di Riviera dei Fuori. Giuse, insensibile al profondo degrado in cui aveva fatto sprofondare Savona, pensò che il modo più intelligente di risolvere la questione fosse di dare fuoco alla città, popolazione inclusa, e poi rifarsi una vita sull’isolotto di Bergeggi dove effettivamente nel 1746 aprì un chiringuito dopo quella che lui stesso definì una “Neronata da paranoia”. Furono gli ultimi bagliori della città. Neppure col secolo dei lumi Savona trovò uno spiraglio di luce, niente, solo il buio. La storia più recente della mamma della Torre della Campanassa (dalla quale i savonesi doc sputano sulle comitive di croceristi alla deriva) dimostra che il trend verso il basso non si è mai interrotto. Anzi, ci è toccato assistere alla devastazione del territorio avvenuta non solo tramite orride speculazioni edilizie ma soprattutto grazie a mega industrie, ecomostri che, dopo aver inquinato abbondantemente mare e terra del ponente, sono stati dismessi al pari di migliaia di operai e lavoratori dell’indotto. Fulgido esempio di questa shit-politik è la Stoppani di Cogoleto. Savona ed il ponente, almeno fino al feudo imperiese di “Sciaboletta”, hanno un passato ed un futuro malamente costruiti a loro insaputa, un destino in apparenza segnato dall’intramontabile “mala tempora ocurrunt sed peiora parantur”. Sento sempre parlare di cambiamento. A me sembra, perdonatemi la raffinatezza, che cambino i belini ma i culi siano sempre gli stessi.

Enrique Balbontin

Una chiosa a margine

Caro Enrique, spero non ti dispiaccia un breve commento sul tema che intriga entrambi: la particolare mentalità – secondo taluno “l’icona della scortesia” che tu metti brillantemente in scena – circoscritta alla Liguria Centrale; visto che l’Imperiese è mondo a sé e a Levante lo spirito ligure trova un ostacolo insormontabile nel Passo del Bracco. Il genius loci di Genova e dintorni, questa città di mare che del mare ha paura e perciò si abbarbica alla montagna. Forse perché popolata da montanari discesi attraverso le brecce nell’Appennino, che percepivano quella massa liquida e scura come fonte di pericoli e minacce: naufragi di fragili flottiglie, incursioni provenienti dall’altro lato del Mediterraneo. Anche il basso continuo chiamato “mugugno” nasce dal rapporto sofferto con l’ambiente; per cui i nostri marinai che si imbarcavano sui velieri potevano scegliere tra due contratti: 8 lire con il mugugno e 10 senza. Borbottio assunto a tratto del carattere; tradotto in battute fulminanti, di cui erano maestri i tifosi nella Gradinata Nord del Ferraris (ricordo il commento all’apparire di Gigi Meroni, il primo calciatore capellone appena acquistato dal Genoa: “quando va dal barbiere gli fanno il preventivo!”). Camalli ispiratori della comicità stile “malemmo” (assonanza del brasiliano “ü malandro”, malandrino), dal vecchio Govi al Paolo Villaggio Franz Kranz. La presunta invenzione comica di Beppe Grillo è il mugugno con voce piagnucolosa.

Su questa sublimazione del timore in scontrosità, s’innesta un altro tratto caratteriale: il pudore, proprio dell’introversione tipica della nostra gente (e da cui noi due ci siamo salvati grazie all’etnos spagnolo che ci accomuna: tuo padre andaluso e la mia nonna paterna valenciana: mi abuela Clementina Pardo); quella ritrosia nel manifestare i propri sentimenti, refrattaria alle smancerie; sicché la mia genovesissima nonna materna, di cui ero il prediletto (et pour cause), mi chiamava “brutto belinone”.

Insomma, il gusto reticente del minimalismo che cela nella rudezza come invenzione linguistica eventuali cedimenti sentimentali. Una maschera della parsimonia, sia materiale che affettiva. Sicché – a mio avviso – la barzelletta genovese per antonomasia è questa: “Hai visto? È morto Sciaccaluga”. “C’avrà avuto la sua bella conveniensa”. Hasta pronto. Pierfranco

PASSEGGIATE D’ARTE

Le bellezze dimenticate da riscoprire

Girovagando per il Centro Storico…in un grande magazzino

A Genova è conosciuto come il Palazzo del Melograno, proprio a causa del piccolo albero che spunta ancora sul timpano del portale e si trova all’incrocio tra Piazza Campetto e Via di Soziglia, nome che deriva dal corso d’acqua che vi scorreva quando la zona si trovava ancora fuori dalle mura e che venne in seguito coperto. Fu costruito tra 1586 e il 1589 dal maestro Jacopo de Aggio per Ottavio Imperiale, figlio del più noto Vincenzo, nel tipico stile tardo rinascimentale amato dalle famiglie nobili dell’epoca. in All’inizio del Seicento venne acquistato da Ottavio Sauli, figlio del Doge Lorenzo, e poi passò per linea ereditaria femminile per circa due secoli alla famiglia de Mari che lo vendette infine ai Casareto. Inserito nel volume “Palazzi di Genova”, realizzato da Pietro Paolo Rubens, è stato arricchito d’arte soprattutto dai Sauli, la doviziosa famiglia di “nobiltà nuova” che vantava non solo finanzieri e banchieri, ma anche collezionisti come Ottavio (proprietario, tra l’altro di due tele di Orazio Gentileschi). Già all’epoca di Rubens erano presenti al piano terra numerose botteghe, mentre i piani nobili erano affrescati dai più importanti pittori dell’epoca, tra gli altri Domenico Piola e Bartolomeo Guidobono.

Oggi come allora al piano terra sono ospitati negozi e un grande magazzino della catena OVS, varcata la cui soglia compare all’improvviso tra gli scaffali di abiti ed accessori, in una nicchia a forma di conchiglia, un monumentale ninfeo con Ercole che abbatte l’Idra, realizzato nella seconda metà del 1600 dal più grande interprete del barocco genovese – Filippo Parodi – su commissione della vedova proprio di Ottavio Sauli.

La figura del semidio s’innalza possente, col volto barbuto e trionfante, munito degli attributi delle sue celebri fatiche: i tre pomi d’oro del Giardino delle Esperidi nella mano destra, la clava nella sinistra dietro la schiena, la pelle del Leone di Nemea avvolta intorno al corpo come un mantello, la testa dell’Idra di Lerna schiacciata dal piede sinistro.

Ma se la statua di Ercole non passa certo inosservata, più difficile è che venga invece notata al primo piano del grande magazzino una splendida Madonna della Guardia che appare al beato Pareto, inserita in un settecentesco pregadio e protetta da un vetro, opera di quel magnifico scultore del rococò che fu Francesco Maria Schiaffino: basti pensare che è l’autore dello strepitoso Ratto di Proserpina conservato nella Galleria degli Specchi di Palazzo Reale a Genova. In questo caso siamo davanti ad una scultura di non grande formato, vaporosa e finissima (anche se con qualche parte mancante) che stupisce per la grazia e la leggiadria, la sapienza tecnica e la dolcezza espressiva…semplicemente un altro incanto di Genova.

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga

Genova, capitale del libro

Nella rubrica dedicata su Repubblica alla posta dei lettori, Francesco Merlo offre la sua quotidiana ‘ghigliottina’ a termini, espressioni, modi di dire che i lettori gli additano come vuoti, abusati, oppure semplicemente stupidi.

Il termine ‘capitale del…’, riferito in genere a una città di provincia che desidera immaginarsi al centro di una realtà qualsiasi, culturale, politica o scientifica, dalla quale si sa assente, dovrebbe subire la stessa sorte.

È così che Genova si è infine scoperta ‘capitale del libro’. Pochi se ne sono accorti; ancora meno sono stati quelli che hanno realizzato e stigmatizzato l’incongruenza di questa quasi ossimorica associazione tra Genova e il libro.

Perché, dobbiamo chiederci, dov’è il libro, a Genova? Non nelle ormai sparute librerie, cancellate da una Feltrinelli ‘shopping center’ pigliatutto. Non nelle biblioteche sempre più simili a fortini che i libri li difendono gelosamente dalla lettura di pochi ancora dediti a quel vizio. Non nelle poche e intrepide case editrici, il cui raggio d’azione non va quasi mai oltre i limiti regionali o addirittura cittadini. A Genova si pubblica sì, e non poco, ma quasi sempre su commissione.

Pensate: a San Giovanni in Persiceto, grosso borgo nei pressi di Bologna, chi scrive si è imbattuto in ben tre librerie nello spazio di nemmeno cento metri.

A Genova, sono tramontati i tempi di Don Balletto e della ‘Marietti’.

Il drammatico isolamento fisico della città è diventato anche un isolamento culturale. Una volta – raccontava Giovanni Ansaldo – le bancarelle di Banchi erano piene delle ultime novità internazionali portate dai passeggeri dei grandi transatlantici.

E che dire dell’alleata indispensabile del libro: la stampa quotidiana o ebdomadaria. Genova manca ormai – da anni – di un vero quotidiano in grado di far sentire forte la voce della città a livello nazionale.

Eppure, anche quella di una stampa non conformista era la tradizione di una città ispida e sempre pronta alla ribellione.

Se dovesse nascere un nuovo giornale, lo vorrei intitolare ‘Che l’inse’.

Proclamare Genova ‘capitale del libro’ è una insensatezza. Libro è sinonimo di cultura: non c’è cultura (ci perdonino gli antropologi) che possa fare a meno del libro, questo mirabile oggetto che nessuna tecnologia riuscirà mai a sopprimere. E ‘cultura a Genova’, è diventata ormai un’espressione abusata ma impronunciabile: ghigliottina!

Michele Marchesiello