Numero 1, 31 maggio 2023

SAPERE PER DECIDERE

CONTROINFORMAZIONE LIGURE

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Numero 1, 31 maggio 2023

Indice

SPIFFERI

Ospedale Galliera: Ridolini nel CdA

Altro che minestra riscaldata! Dopo vent’anni di bivacchi nelle aule giudiziarie, due gare d’appalto andate deserte e tonnellate di carte in ricorsi, oggi il neo Direttore Generale dell’ospedale Galliera Francesco Quaglia dichiara “andremo avanti, ma aspettiamo l’esito del ricorso al Capo dello Stato”. Parole che sanno tanto di pro-forma per salvare la faccia. Dopodiché anche le ultime raffiche del CdA ospedaliero prenderanno finalmente coscienza dell’impraticabilità dei loro progetti lunari e la pianteranno con i trionfalismi irresponsabili? Così rimarrà con un pugno di mosche chi ha mandato avanti i Ridolini della nuova sanità alla faccia della gente: il cardinale da salotto Angelo Bagnasco e il talebano del fare Marco Bucci (l’americano? Semmai un vero afghano massacratore delle regole).

L’ultima follia a Carignano si chiama Inail

Pareva che gli illusionisti della sanità modernista si fossero messi il cuore in pace, come lasciava intendere la dichiarazione del mite Quaglia, che forse inizia a rendersi conto del manicomio in cui è finito. E invece una manina amica del XIX ha tirato fuori un nuovo coniglio dal cilindro: l’ipotesi di cedere l’ospedale all’Inail per poi farselo riaffittare. Se la voce corrispondesse al vero, sarebbe l’incomprensibile triangolazione di pubblico denaro a debito tra enti pubblici, che svuoterà le già esangui casse dell’ospedale. A scapito come sempre del servizio ai cittadini. E con il piccolo particolare che la trovata estemporanea suona a violazione dello statuto di fondazione vergato dalla Duchessa mecenate e di cui il vescovo-frate non vedo non sento non parlo è pur sempre il garante.

Toti, scontro all’ultimo sangue… con il buon gusto

La facciata del Palazzo della Regione a de Ferrari ospiterà per tre anni (salvo ripensamenti dettati dalla legge, dal buon gusto e dal rispetto dei monumenti vincolati dalla Sovrintendenza) migliaia di led luminosi (quelli del Buon Natale). Alle insistenti perplessità del consigliere comunale Mattia Crucioli, Toti ha risposto che li vorrebbe per sempre perché è “gigantesco volano di promozione turistica”. Al nostro PdR (non è governatore) suggerisco allora di promuovere sulla facciata i futuri bordelli che i suoi amici immobiliaristi stanno preparando, in vista del referendum abrogativo della Merlin degli altri suoi amici leghisti. Un volano eccezionale, pecunia non olet, ma la pena per l’ignoranza di certi amministratori, olet, olet…

RILEGGIAMOLI

Costruire in aree ad alto rischio alluvionale? In Liguria si potrà

In Liguria si potrà, a patto di rispettare “opportune misure o accorgimenti tecnico-costruttivi”. Mentre la confinante Emilia-Romagna piange i morti e conta i danni causati dalle esondazioni, la giunta presieduta da Giovanni Toti sceglie di allentare (ancora) i vincoli contro la cementificazione proprio sui territori più fragili. L’occasione è il nuovo schema di regolamento sull’”attuazione dei Piani di bacino distrettuali per le aree a pericolosità da alluvione fluviale o costiera”, approvato l’11 maggio scorso con l’obiettivo di “conciliare le esigenze di sviluppo con la difesa del territorio dal dissesto idrogeologico” e trasmesso al Consiglio regionale per il parere obbligatorio della Commissione Ambiente. L’atto declina a livello regionale il Piano di gestione del rischio alluvioni (Pgra) del distretto idrografico dell’Appennino Settentrionale, aggiornato nel 2021 dalla competente Autorità di bacino. Ma aggiunge due categorie di rischio “inedite”, che in quel piano non esistono, e sembrano fatte apposta per aggirare i vincoli idrogeologici nelle zone tutelate: nel Prga i territori intorno ai bacini fluviali o sulla costa sono classificati in tre categorie di rischio: aree P3, a pericolosità da alluvione elevata, P2, a pericolosità media, e P1, a pericolosità bassa. Solo nelle aree P1, secondo le direttive del piano, “sono consentiti gli interventi previsti dagli strumenti urbanistici”, mentre nelle aree P2 e P3 devono essere vietati o fortemente ristretti. Però il regolamento approvato dalla giunta Toti individua all’interno delle classificazioni P2 e P3 due inedite sotto-classificazioni, P2_0 e P3_0, definite “aree inondabili a minor pericolosità relativa”. Cosa significa? Presto detto: nelle “porzioni di aree a pericolosità da alluvione fluviale elevata P3 e media P2 all’interno delle quali l’altezza massima dell’acqua stimabile in caso di inondazione “e le velocità massime della corrente di esondazione” siano inferiori a certe soglie, i vincoli delle relative categorie non si applicano. Quindi diventano possibili “interventi di nuova edificazione e di ampliamento degli edifici esistenti”. Non si tratta di porzioni di territorio residuali: le nuove regole trasformeranno ad esempio in “P3_0” circa il 30% del territorio oggi in zona rossa nel territorio della Spezia, la città che ha il record regionale di consumo di suolo (7,67 ettari cementificati) tra il 2020 e il 2021, secondo il rapporto nazionale Ispra dello scorso anno.

Paolo Frosina

Un Marco Bucci di due secoli fa

Sul Fatto Quotidiano del 12 maggio la raffinata giornalista Barbara Spinelli ci presenta, quale icona della fase storica in cui stiamo vegetando da decenni, un tizio di cui si erano perse le tracce: il reazionario spagnolo Juan Donoso Cortés (1803-1853). Se l’attuale corso di generale sbaraccamento dei diritti civili, politici e sociali prende l’avvio nel 1975 con il varo da parte della ben nota commissione Trilateral del manifesto “Crisi della democrazia”, in cui si formula la tesi che ormai la governabilità non può più permettersi i tempi e i costi del regime democratico, osserva Spinelli: «un concetto che riecheggia le invettive ottocentesche di Donoso Cortés contro i Parlamenti dediti alle chiacchiere (clasas discutidoras) e prive di “cultura del fare». Come non riconoscere in questo delirio ottocentesco l’attuale sindaco di Genova, propugnatore di un attivismo teatralizzato e privo di controlli? Il sostenitore dell’immortale principio (vandalico) “è meglio fare male piuttosto che non fare”. Difatti è di questi tempi la notizia che l’ineffabile Bucci in divisa da commissario al porto, mentre le analisi geotecniche vieterebbero di piazzare i piloni della nuova diga su fondali sabbiosi e il TAR ha dichiarato illegittima l’assegnazione dei lavori (per 950 milioni di euro), quale uomo del fare dichiara che se ne frega: andrà avanti grazie all’escamotage delle norme speciali PNRR (per cui gli assegnatari hanno già incassato 253 milioni. Prima dell’avvio dei lavori).

Sicché il tracotante demiurgo di Tursi può dichiarare: «I signori del no che ancora popolano il nostro Paese, per interesse o per mediocrità, ripongano festoni, trombette e palloncini colorati: la festa dell’immobilità non verrà celebrata».

Il “fare per il fare” come strategia di liquidazione dei preziosi principi democratici (e costituzionali) a favore della demagogia. Il vero demone di questi tempi oscuri.

P.F.P.

C’È POSTA PER NOI

Appuntamenti in casa Martigli

Il nuovo libro di Daniela Cassini e Sarah Clarke Loiacono

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

C’era una volta Paolo Arvati

Ho scovato in una biblioteca una copia di un libretto pubblicato nel 1988 da Paolo Arvati dal titolo, Oltre la città divisa. Gli anni della ricostruzione a Genova (Sagep). Sulla Genova allora si potevano sapere tante cose: la popolazione e la sua dinamica, il lavoro, l’istruzione, i consumi, la deindustrializzazione, ls terziarizzazione, il porto, le classi sociali. Su come è iniziata la crisi industriale che ha colpito la città da mezzo secolo sappiamo parecchio. La crisi è stata prevalentemente esogena, ma quali sono state le risposte da parte delle classi dirigenti della città?

A me, come cittadino che ogni tanto va a votare, piacerebbe saperne di più sulla Genova di oggi e delle amministrazioni che l’hanno governata nell’ultimo quarto di secolo. Se qualcuno mi desse degli strumenti per conoscere la mia città, invece che inondami di messaggi propagandistici, potrei scegliere meglio per

chi votare o non votare. Se io fossi più informato, anche i decisori sarebbero costretti ad argomentare meglio le loro scelte, per convincermi a votarli o a non votarli. Invece, ho il sospetto che spesso i decisori non siano, essi stessi, bene informati sulle materie sulle quali devono prendere delle decisioni. “Conoscere per deliberare” era una delle prediche inutili di Luigi Einaudi. Il vizio di deliberare senza conoscere resta virale nella città attuale e non solo a Genova.

Io francamente ho pochi elementi per giudicare se la nuova diga foranea di cui nelle scorse settimane è stata festosamente posta (cioè, affondata) la prima pietra sia un’opera necessaria, utile, oppure inutile o addirittura dannosa. Ci saranno uffici informati sul traffico portuale attuale e previsto a breve-medio e lungo termine, sul tonnellaggio delle navi del futuro, sulla logistica, sulle infrastrutture dei trasporti via gomma, via ferro, via aria. Mi auguro che lo sappiano e che abbiano istruiti coloro che hanno poi preso le decisioni in sede politica, valutando i pro e i contra dell’opera. Io, però, che devo decidere chi dovranno essere i decisori, non sono stato adeguatamente informato.

La qualità della democrazia dipende non solo ma anche dalla qualità delle informazioni a disposizione dei cittadini. Mi piacerebbe conoscere un nuovo Paolo Arvati che per il 2027 ci fornisse un libretto aggiornato di Oltre la città divisa

Alessandro Cavalli

IIT, l’isola misteriosa di Morego

L’Istituto Italiano di Tecnologia decingolanizzato (post Roberto Cingolani, il boss che regnò su Morego fino al 2019, poi andato a bazzicare i Palazzi della politica) continua a essere una realtà misteriosa. Dovrebbe toglierci dalle ambasce l’intervista a Lorenzo De Michieli, neo direttore del Trasferimento Tecnologico IIT, sull’ultimo numero dell’house organ di Confindustria Genova. Eppure gli aggiornamenti forniti da questo giovanotto dall’aria angelica sono di sconfortante pochezza. Perché rivitalizzare il sistema produttivo attraverso il trasferimento tecnologico – a differenza di quanto scrive il magazine – NON “è tra gli obiettivi principali dell’IIT”, è la vera missione iscritta nel suo statuto. Mentre l’inventariazione di nuove imprese somministrataci, presenta solo robetta che può creare – al massimo – qualche decina di nuovi posti di lavoro. In più micro-fertilizzazioni che – a fronte di una presenza datata un ventennio – risultano avvenute solo negli ultimi anni (prima che si faceva?). Abbiamo la Bedimensional, nata nel 2021 per produrre cristalli dal solito grafene (una sorta di moplen de noantri?), per cui lo stesso AD Vittorio Pellegrini dichiara “non esistere un mercato di riferimento” (e allora?). Proseguiamo con Corticale, nato per monitorare il funzionamento delle cellule neuronali, ma che (ahinoi) non ha ancora le autorizzazioni e non si sa quando andrà sul mercato. Per il resto commesse di aziende extra moenia: la Novacart di Garbagnate per i prodotti sostitutivi della carta dell’Alkivio; le tecnologie riabilitative della Movendo per la milanese Dompé; la joint con Inail nel centro protesi di Budrio (Bologna). Quelli di IIT si difendono dicendo di voler mantenere un respiro nazionale e che il loro specifico è la scienza. Scuse: ogni milieu di innovazione che si rispetti è radicato nel territorio, da Antipolis a Silicon Valley, e già nel proprio nome il nostro istituto ha la “T” per tecnologia, non “S” (scienza). E la tecnologia si differenzia dalla scienza pura in quanto ricerca applicata. E poi non si sa bene che cosa si ricerchi a Morego, visto che la destinazione degli ingenti finanziamenti pubblici avviene nella più totale riservatezza, né esiste una concertazione democratica per concordare scelte di indirizzo. Anche se questo ceto politico non ha la più pallida idea di cosa voglia dire una politica industriale per lo sviluppo. Ma certo non far giocare ai piccoli Alan Turing al basilico con i soldi pubblici.

Pierfranco Pellizzetti

AMBIENTE

La fragile bellezza di un territorio sotto costante attacco

Genova, la grande strage dei nostri amici verdi (prima parte)

Per affrontare la questione del Verde a Genova dobbiamo parlare di balle. In particolare quella raccontate dal sindaco con notevole frequenza; specie durante la sua prima campagna elettorale. Allora, nella prospettiva di una Genova “bella anzi bellissima”, aveva promesso 10.000 nuovi alberi: non stiamo parlando di sostituzione, ma di impiantamenti ex novo. Ma come spesso succede i risultati sono stati molto diversi: dai dati forniti dal Comune, ormai c’è un deficit di alcune centinaia di piante, fra tagliate e piantate. A questa tragedia possiamo aggiungere i 230 pini e altre specie arboree distrutte da una tempesta di vento nei parchi a Nervi. Ovviamente non ripiantate.

La politica del Verde non è mai stata una grande consolazione per Genova. Né prima con altre giunte, né adesso. Anche se adesso è proprio un disastro. Siamo all’incredibile per cui i tecnici che hanno scritto il regolamento del Verde comunale dichiarano pubblicamente in commissione che tale regolamento è inapplicabile.

Non solo piantano alberi più piccoli con meno foglie che danno meno ombra, non intervengono sui crinali dei fiumi; e infatti i terreni continuano a franare. Stiamo parlando di centinaia di frane attive a Genova, che con gli acquazzoni diventano centinaia di pietre e fango rovesciati sulla città.

Il fatto è che, oltre al disprezzo per il regolamento del verde, assistiamo alla violazione sistematica dei diritti costituzionali su ambiente salute e paesaggio, perché gli alberi sono un civico presidio fondamentale per la tutela e la difesa della salute degli abitanti, per la qualità della vita e il valore delle case. Tutto è sacrificato alla politica di abbattimento dei costi. Quindi fusti più bassi che non devono essere potati, potature massicce dette anche capitozzature che uccidono le piante, nessun albero è curato: aspettano che muoiano e quando sono morti bisogna soltanto eliminarli. D’altro canto dare acqua alla vegetazione rimane un’operazione puramente teorica,

Anche la Corte Dei Conti ha esaminato la faccenda, trovando 800 alberi pagati e mai piantati, altri piantati, abbandonati a se stessi e – dunque – lasciati seccati. Nella maggior parte dei casi non ripiantati. (continua)

Andrea Agostini

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Il processo Morandi e una giustizia in sofferenza

Genova, processo per il crollo del ponte Morandi. Il presidente del collegio giudicante reagisce all’ attacco da parte del PM, che lamenta pubblicamente l’eccessiva lentezza del processo, attribuendone la responsabilità a un Collegio troppo ‘pigro’. Il Presidente ricorda a chi rimane ancora un magistrato che ‘se qualcuno ritiene – e in quest’aula qualcuno c’è – che le sentenze si facciano senza processo, si sbaglia’.

Quanto accaduto ha certamente dell’incredibile; ma denuncia anche l’insofferenza di certi procuratori verso le ‘lungaggini garantistiche’ di un processo che, come nel caso Morandi, rischia già in primo grado la prescrizione di numerosi reati gravi.

In altri sistemi le frasi irrispettose di quel PM nei confronti del collegio giudicante sarebbero punite anche con sanzioni penali. È il famoso ‘contempt of Court’ su cui si regge il buon funzionamento e la reputazione di qualsiasi sistema di giustizia. Il giudice non può essere il semplice notaio di una discutibile giustizia ‘popolare’ e delle condanne pronunziate fuori del Tribunale.

Tanto più quando – come nel caso Morandi – ci si trova di fronte a un autentico ‘monstrum’ giudiziario costruito dall’Accusa, la cui complessità sta mettendo a dura prova la stessa tenuta del sistema giudiziario genovese e ligure.

Quindi ha ragione il Presidente Lepri ricordando al PM che la durata del processo, e l’approssimarsi delle prime prescrizioni (evidentemente alla base dell’improvvida uscita di un PM parso insofferente, a volte, anche della stessa funzione dei difensori), sono dovute alla scelta da parte dell’accusa di montare un processo più che ‘maxi’ addirittura ‘monstre’. Che ora sembra rivoltarsi contro quella scelta, proiettando minacciosamente la sua durata negli anni a venire.

L’episodio dovrebbe far riflettere quanti ancora insistono per la mitica ‘separazione delle carriere’ dei magistrati. Infatti la dipendenza dei PM dal potere esecutivo (conseguenza inevitabile della separazione) si tradurrebbe nel moltiplicarsi di episodi come quello accaduto nel corso del ‘processo Morandi’: PM che – svincolati dalla veste di magistrati – vorrebbero giungere senza ‘lacci e lacciuoli’ a una condanna che si considera già scontata agli occhi dell’opinione pubblica. Insofferenza nei confronti della difesa, delle garanzie processuali e soprattutto di chi deve tutelarne il rispetto, dimostrano lo stato di sofferenza in cui versa, non solo a Genova, l’indipendenza della magistratura.

Michele Marchesiello

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) della classe dirigente locale

Ciò che il Bucci tace sulla devastazione incombente in Val Bisagno

Novità, novità, novità: lo Skymetro svelato. Durante la manifestazione di venerdì 12 maggio sono emersi alcuni segreti tratti direttamente dagli studi del Comune. Lo Skymetro: 1) il vantaggio in termini risparmio di tempo sarà di 54 secondi su un’ora di tragitto attuale, a/r Valbisagno – Brignole; 2) l’inquinamento sarà ridotto dell’1,59%; 3) esiste solo un rendering, ma il progetto non c’è, il provvisorio doveva essere presentato entro gennaio 2023 e il definitivo entro il maggio corrente; il Governo ha dunque stanziato il denaro per quest’opera senza valutazione del progetto; 4) non esiste al momento alcuna valutazione di impatto ambientale; 5) L’IVA (40 milioni circa) sarà a carico del Comune, quindi di noi cittadini; 6) saranno abbattuti decine e decine di alberi; 7) i piloni saranno inseriti nell’alveo alluvionale del Bisagno, quindi con pericolosi effetti di stabilità. I piloni inoltre insisteranno sulle tre falde acquifere di Iren che portano acqua a Genova, con rischio di inquinamento e distruzione; 8) la portata del mostro è di 4000 passeggeri l’ora, mentre oggi la punta massima è di 2500, già integralmente coperti dagli autobus che quindi saranno probabilmente soppressi. AMT è una società per azioni non un ente di beneficienza, per cui si farà presto a fare due conti sull’inutilità degli autobus; 9) i lavori finiranno nel 2036 ed è prevista la messa in funzione operativa nel 2040, quando è intuitivo pensare che i motori elettrici, e quindi il traffico stesso, sarà del tutto diverso dall’attuale; 10) I costi attuali di circa 400 milioni ex PNRR si sa già che lieviteranno considerevolmente, con aggravio di IVA per i cittadini. Oltre all’immane disagio per cantieri infiniti e distruzione paesaggistica, non c’è una vera ragione logica e razionale per la costruzione dello Skymetro se non quella di una diffusione a pioggia di denaro pubblico che troverà strade nascoste per foraggiare interessi privati. In più esiste un’alternativa che da tempo viene applicata in molte città europee e italiane: la via tramviaria. Che ha un difetto, però: costa la metà e sarebbe pronta nella metà del tempo. Meditate, gente, meditate. Opporsi allo Skymetro non è quindi solo un diritto ma un dovere.

Carlo A. Martigli

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Lo smacco del Secolo XIX

In economia politica si insegna che spesso nella storia del capitalismo all’origine delle fortune di uno Stato o di un casato o di una impresa c’è il crimine. In senso lato: un atto di imposizione, di violenza, di illegalità, per superare senza remore e senza attese la barriera che separa gli outsider dagli insider.

Avreste immaginato che Webuild (ex Salini Impregilo) non ha il titolo per costruire una diga di queste dimensioni e valore? Salini aveva appena rassicurato il popolo bue che lui fa dighe da 150 anni (sic!). Invece no. Che smacco per l’Autorità di sistema portuale, per Bucci e Toti e il loro vassallo Signorini. Invece il titolista del Secolo XIX, scioccato dalla notizia, ha rovesciato il senso delle cose; scrivendo:

«smacco del TAR», come se l’insuccesso fosse del tribunale. Sarà stato un refuso, non posso pensare che sia il titolo approvato dalla redazione e dalla direzione.

Facciamo finta che Salini si presenti all’esame per diventare ingegnere con un diploma di laurea falso, ovviamente sostenendo che è vero. La commissione (Bucci e Signorini) senza esitazioni lo giudica un titolo valido e lo promuove ingegnere. Ma il TAR lo scopre. La domanda che si pone il popolo bue è: gli affidiamo la costruzione della diga? Bucci, Toti e Signorini in coro non solo rispondono sì, ma si fanno beffe del TAR e del popolo bue “rosicone” che pure li ha eletti. Tanto i soldi da spendere ci sono e nessuno dei tre vuole subire lo smacco di fare una figura di merda, oltre il danno erariale e magari – se si svegliasse – una visitina della Procura.

Basta fare passare il tempo e andare avanti senza fermarsi, fino al prossimo smacco. Webuild nel frattempo, alla prossima gara, a cui parteciperà, potrà vantare di avere un contratto per la diga di Genova e quindi passerà l’esame. Lo so è paradossale, ma è così, è proprio la solita storia del crimine e dell’economia politica, Webuild infatti ora non è più un outsider (ha un contratto valido in tasca comprovato dall’anticipo di 253 milioni versati dal popolo bue). Del resto, RINA ha la direzione lavori della

diga grazie al titolo di avere fatto la direzione lavori del ponte sul Polcevera che Bucci gli ha affidato brevi manu.

E il merito caro a questi governanti? E la libera concorrenza cara a questo sistema politico e economico? Tacciono le voci e le coscienze degli uomini e degli imprenditori liberi?

Riccardo Degl’Innocenti

Portualità ligure, la realtà smascherata

La Banca Mondiale ha stilato la classifica di efficienza per 340 porti mondiali: non volumi (numero di container) ma tempo di sosta della nave in banchina in funzione dei container movimentati. Genova è al 316° posto con buona pace di Signorini, Toti & Bucci s Spezia al 332°. In Liguria si salva Vado Ligure al 68° grazie alla nuova piattaforma Mersk osteggiata per anni dai vari Comitati. In Italia, dietro Vado, troviamo, staccato, Gioia Tauro al 123°. Il migliore europeo è Algeciras al 16°.

Sicché le merci destinate al nord-nord se ne vanno a Rotterdam, Francia e Spagna sono servite da Le Havre e Algeciras. E il lato orientale dell’Adriatico dal Pireo in mano cinese. Alla faccia di “Liguria approdo per il nord”. Ad un primo esame sembra che ai porti liguri resti l’utenza domestica e padana del nord- ovest; e poco più. Ma chi sponsorizza il fantasmagorico progetto da 15G€ della nuova diga con fondamenta a -50 m nel fango cedevole, queste considerazioni le ha fatte?

Roberto Guarino

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Elezioni a Sarzana, una sconfitta decisa in partenza

Il verdetto delle elezioni comunali a Sarzana è incontrovertibile: netta vittoria del centro destra e sconfitta delle varie sinistre scese in campo.

La sindaca uscente Cristina Ponzanelli, vince e il suo personale successo è frutto della capacità di creare empatia con la città.

Non era facile. Sarzana ha una lunga storia di sinistra. Ancora nel 2018, una sinistra non esente da colpe sul piano amministrativo, divisa in ben cinque liste, al primo turno delle elezioni ottenne oltre il 60% dei voti. Ma riuscì a perdere al ballottaggio.

In queste elezioni il centrosinistra ha ripresentato il settantenne Renzo Guccinelli, già sindaco dal 1995 al 2005, poi assessore regionale ligure per dieci anni nella giunta guidata da Claudio Burlando.

Guccinelli era uscito dal PD per protesta contro la decisione del suo ex partito di candidare Ferruccio Sansa capolista alle elezioni regionali. Per qualche anno si è estraniato dalla politica. Poi ha annunciato la sua candidatura sottomettendo il PD incapace di esprimere un proprio candidato.

Si è parlato in questi mesi di “usato sicuro”, di “unica possibilità di vincere”. Nel frattempo un’attenta campagna interna al PD ha praticamente “conquistato” il partito locale. Si è così creata un’alleanza fortemente voluta da Italia Viva, da Raffaella Paita e dall’ex senatore Forcieri. Ma si è rotto con i 5 Stelle e con una lista a sinistra del PD appoggiata da Rifondazione Comunista, SI e verdi.

Il risultato è stato disastroso. Guccinelli si è fermato a un mediocre 36%, il PD, che solo 10 anni fa veleggiava al 43% è sceso al 13%. La lista dei 5 Stelle e della sinistra non arriva al 6%. Mentre aumenta seppur di poco l’astensionismo. I votanti sono scesi dal 64% al 62%, smentendo la leggenda politica che le elezioni amministrative sono “più sentite” di quelle politiche.

Ma anche nel centro-destra non mancano i problemi. Infatti il vero vincitore è la sindaca uscente con le sue liste civiche, al il 19% e il 7%, mentre crolla la Lega di Salvini dal 14% al 5% e FdI, presunto traino della coalizione, da circa l’8% sale solo al 12%.

C’era un’alternativa? Certo che sbarrare la porta a un gruppo di giovani che si proponevano a sinistra come momento unificante e innovatore per riproporre per l’ennesima volta vecchi volti della politica non è stata una grande mossa.

Si consideri infine che le scelte del PD sarzanese vanno in direzione opposta alla linea di Elly Schlein, che apre a sinistra e alla bonifica dei “caciccati” di potere locale.

Nicola Caprioni

UNO SUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Elezioni del 15 maggio: Scajola vince ancora

La nuova vittoria di Claudio Scajola a Imperia conferma un sistema di potere resiliente.

Esito annunciato, già al primo turno, pur nel calo sensibile dei votanti, frutto di una macchina elettorale basata su reti di relazioni politiche, economiche e familiari, riemersa intatta, anzi arricchita da nuove trame con il governo regionale di Toti e del nipote Marco, inglobando tutto il centro destra, obbligato a rinunciare ai simboli.

Sistema di consenso e potere tale da far scrivere a un giornalista nel post elezioni: “Scajola negli ultimi cinque anni ha ricostruito quel controllo politico che fece le sue fortune tra gli anni ‘90 e 2000. L’impressione è che la cittadinanza stia nuovamente maturando un timore reverenziale verso il city- boss. Dopotutto Imperia è un paesone e U Ministru è meglio ‘tenerselo buono, che non si sa mai’. Sudditanza psicologica amplificata dall’affaire Fratelli d’Italia, con la chiamata galeotta a Ignazio La Russa (che impose ai FdI locali di non andare al voto con propri candidati e lista di partito), dal ritorno della scorta e dal fasto della campagna elettorale, che hanno ingenerato ancora di più tra la gente comune l’impressione che Scajola abbia un potere decisionale illimitato.” (Imperiapost).

Consenso basato su annunci megalomani centrati sulle grandi opere: utilizzati come efficace arma elettorale, con il rischio che si rivelino alla prova dei fatti la ripetizione di errori del passato che Imperia ha già pesantemente pagato”: lo scostamento significativo tra quanto promesso e l’effetto (deludente se non negativo) sulla vita dei cittadini; commenta il neo-consigliere Lucio Sardi, che auspica un’opposizione ferma e determinata.

Ma una vittoria non solo imperiese. Scajola è oggi anche Presidente della Provincia e Commissario dell’ATO idrico di Ponente; e per la sua natura “strabordante” tenderà a esercitare la sua influenza anche altrove.

Peraltro già il centro destra (sotto insegne ufficiali o mascherato da formazioni civiche) vince a Bordighera con Ingenito (in modo contestato) e stravince a Vallecrosia con il fedelissimo scajoliano Biasi. A Ventimiglia il ballottaggio vede protagonisti Flavio Di Muro schierato con il centro destra ufficiale, con il 38% dei voti al primo turno, contro Gabriele Sismondini (PD e liste civiche al 29%).

Ed ora l’attenzione si rivolge alla prossima partita provinciale: le elezioni a Sanremo il prossimo anno, dove già i giochi del centro destra sono in evoluzione. Con le virate del sindaco uscente Biancheri.

Ultime da Ventimiglia: al ballottaggio il centrodestra chiude il cerchio con la vittoria di Di Muro.

Daniela Cassini

PASSEGGIATE D’ARTE

Le bellezze dimenticate da riscoprire

Girovagando per il Centro Storico di Genova: un’iscrizione che fa riflettere

Quasi di fronte a Palazzo Tursi, al numero12 di Via Garibaldi si trova il Palazzo di Baldassarre Lomellini, strepitoso anche per la magnifica imponenza del portale di accesso e che reca al centro il motto “venturi non immemor aevi”, che si può tradurre in “Conoscere il passato per conoscere il futuro” Fare e ripensare la storia è un’attività fondamentale per imparare a capire quanto del nostro passato è rimasto irrisolto e di conseguenza comprendere le dinamiche della nostra contemporaneità. ll motto non appartiene ai Lomellini, ma ai Serra, infatti Domenico Serra acquistò il palazzo nel 1778. Si tratta di una famiglia molto antica, addirittura discendente dai De Mari e che entrò poi a far parte dell’Albergo dei Lercari con la riforma di Andrea Doria del 1528. Un legame familiare unisce Genova a Napoli ove, sulla collina di Pizzofalcone nel Palazzo Serra di Cassano, che oggi ospita l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si può leggere la medesima iscrizione. Il significato contiene un monito ben preciso che fu interpretato dal ramo napoletano come una scelta di vita, infatti i Serra di Cassano furono nobili che fecero scelte difficili, che misero a repentaglio vita e patrimonio per difendere i propri ideali. In particolare il giovane Gennaro Serra, secondogenito del Duca di Cassano, fu uno dei principali artefici della Repubblica Napoletana, ma morì decapitato a seguito della follia sanfedista nel 1799 a soli 26 anni: il padre Luigi Serra, che invano aveva tentato di ottenere la grazia per il figlio da Ferdinando IV di Borbone, decise allora di “chiudere in faccia al tiranno” l’ingresso del Palazzo che si trova proprio di fronte al Palazzo Reale e il portone venne riaperto solo 200 anni dopo nel 1999, proprio in occasione dell’insediamento dell’Istituto per gli Studi Filosofici. Assai diversa la vicenda del ramo genovese della famiglia, dove si ricorda Girolamo Serra, che divenne Presidente Provvisorio della Repubblica dal 26 aprile 1814 al 7 gennaio 1815 quando, a seguito del Congresso di Vienna, la Repubblica fu annessa al Regno di Sardegna.

Orietta Sammarruco

CIVISMO vs. INCIVILTÀ

Lo spirito solidale a difesa della società

Nel blackout dell’amministrazione digitalizzata ci salveranno le persone?

È capitato a me. Mi multano per divieto di sosta e perché ho messo le quattro frecce. Ho imparato che non si possono mettere salvo in casi di rara emergenza e di ostacolo al traffico. Pago. Dopo un mese arriva il verbale in cui devo comunicare i dati del conducente (state attenti è scritto dietro e in piccolo). E qui comincia la kermesse tra follia, tempo perso e situazioni kafkiane. La pec pmge.contravvenzioni@ postecert.it indicata sul verbale e cui mando il tutto, non funziona. Dopo infinite chiamate al centralino della polizia comunale, dopo aver digitato tutti i numeri dall’1 all’8 del disco senza ottenere risposta alla fine riesco a parlare con un “piantone”. Tipo muro del pianto, perché il poveraccio non sa che pesci pigliare e mi dà una seconda pec pm.contravvenzioni@comune.genova.it. Rimando, con la preoccupazione che scadano i termini. Ritorna indietro anche questa, irricevibile come l’altra. Il povero piantone (piangiamo insieme) mi suggerisce allora una terza via pmcassa@comune.genova.it. Invio e nulla quaestio, il silenzio degli innocenti o degli incoerenti. Mi decido a portarla a mano in Corso Saffi, come suggerito da un agente che incontro per la strada, perché l’ufficio più vicino della polizia municipale, mi dice, è chiuso. Vado e trovo anche questo chiuso: busso, suono, guardo attraverso i vetri. Il vuoto cosmico. I nervi cominciano a

saltarmi, ma arriva dall’interno il fato dalla divisa turchina, che onestamente mi informa che al sesto piano potrebbe non esserci nessuno, perché i poliziotti sono tutti da un’altra parte: è San Sebastiano, il loro patrono e sono a festeggiare (pare) in Corso Francia. Ai miei piagnistei risponde con altrettante geremiadi: e mi confessa che le email non funzionano e che addirittura, quando sono in giro se hanno bisogno di chiamare i vari uffici, non c’è niente da fare. O il cellulare privato del collega o si devono arrangiare da soli. Mi fa entrare e mentre attendo, mi arriva la risposta email del pmcassa (v. sopra) in cui mi si dice che a pena di multa devo indicare la patente, cosa di cui nel mitico verbale arrivatomi per raccomandata non si faceva assolutamente menzione. Il buon uomo capisce, mi dà ragione e mi firma la ricevuta a mano, che orgogliosamente ho messo tra i documenti più importanti. Morale: la digitalizzazione e le istituzioni qui non funzionano, ma le persone, quando sono gentili, riescono a metterci una pezza.

Carlo A. Martigli