Numero 2, 15 giugno 2023

SAPERE PER DECIDERE

CONTROINFORMAZIONE LIGURE

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Numero 2, 15 giugno 2023

Indice

SPIFFERI

Antichi affaristi-opportunisti ispirano i nuovi

I quattro grandi della città di Genova: Cristoforo Colombo, Giuseppe Mazzini, Nicolò Paganini e Andrea Doria. Mentre dei primi tre nessuno contesta il valore; sul “Principe” (la stazione omonima è dedicata a lui) ci sono molti dubbi. Il ritratto che ne fa Friedrich Schiller nella sua Congiura dei Fieschi del 1787 è abbastanza impietoso: un vecchio tiranno vendicativo. Giudizio influenzato dagli storici francesi, critici dell’alleanza con il belga/spagnolo/tedesco Carlo V d’Asburgo (stirpe prognata), tradendo il precedente alleato Francesco I: le loro diatribe insanguinarono il XVI secolo con le cosiddette guerre d’Italia. Principe, pirata, affarista opportunista? Sicuramente un personaggio da studiare, che Genova sembra aver dimenticato: d’altra parte meno si sa meglio si manipola.

Domande segretate al presidente di Port Authority

Il trio di musicanti che suona il motivetto “Liguria meravigliosa” a un pubblico annichilito, segue ognuno un suo spartito: Giovanni Toti il gingle Mediaset-Briatore della regione-cafonal; Marco Bucci l’ossessione delle opere faraoniche; Paolo Signorini le opportunità a basso valore aggiunto (e costi infrastrutturali proibitivi) del transhipment. Essendo i porti la prima risorsa d’area, andrebbe chiesto al Signorini come mai le grandi navi non attraccano almeno a Vado, il più moderno terminal italiano? Come mai tali navi non superano i 10mila teus e quanto movimentato non è aggiuntivo, bensì sottratto al traffico di Genova? Come mai Cosco ha abbandonato la partnership con Maersk? Come mai Maersk vuole vendere la concessione? Come mai un investimento pubblico di 300 milioni sta abortendo?

La promozione turistica come fossimo in Dubai

Ocean Race o come spendere soldi pubblici a favore di privati e consulenti. L’operazione già supera i dodici milioni preventivati. Di questi, circa 8,5 vanno agli organizzatori della regata milionaria (per loro), chiaro esempio di promozione turistica, visto che i nostri amministratori pensano di vivere a Dubai o a Montecarlo. Un paio di milioni saranno spesi per l’accoglienza dei regatanti e per i consulenti (ma di che?) si supera il milione. A ciò si aggiunge l’incompetenza gestionale: il Comune diceva che sarebbero arrivati otto milioni dagli sponsor, ma questi furbacchioni tirano fuori solo due milioni. Insomma, ancora pensano di prenderci per i fondelli raccontando che queste manifestazioni oceaniche e plurimilionarie servano alla nostra città. Ma se li votiamo hanno ragione loro.

ECO DELLA STAMPA

Porti liguri: illusionismo truffaldino dei manovratori e informazione velinara

A fine ‘700 Benjamin Franklin, padre nobile della Rivoluzione americana, teorizzava per la stampa il ruolo di “cane da guardia civico nei confronti del Potere”.

A inizio ‘800 il principe Talleyrand, grande sterilizzatore dei portati sovversivi nella Rivoluzione francese, sentenziava che “il linguaggio è un mezzo per celare i nostri pensieri”. Si direbbe che la stampa ligure, acquiescente in misura patologica alla pratica delle ‘veline’, tenga a mente più il suggerimento del voltagabbana d’oltralpe che non la metafora d’oltreoceano. Tuttavia il nostro web magazine registra con speranzosa attenzione il persistere di voci in controtendenza rispetto all’andazzo anestetico di un’informazione ‘inginocchiata’ davanti al potere. Preziosa opera di verità in contro-tendenza, a partire da quanto avviene nella prima impresa ligure: la portualità.

Lunedì 29 maggio, sul Fatto Quotidiano, Andrea Moizo riportava all’attenzione dei lettori due questioni altamente sospette nell’operazione nuova diga dello scalo genovese; circa un miliardo di euro gestito come un affare privato dal duo-commissari Signorini e Bucci: 1) la singolare aggiudicazione dei lavori all’impresa Webuild che prevede l’abbattimento di penali per i ritardi, l’anticipo di 250 milioni cinque mesi prima di avviare i lavori e il bypass delle norme anti-rincari; 2) l’oscuramento delle dimissioni di Pietro Silva, manager del progetto, critico della sua realizzazione su fondali altamente instabili.

Contemporaneamente Thomas De Luca, ricostruiva su Città della Spezia movimenti societari molto opachi quanto speculativi sulla pelle della popolazione chiedendo se “la città deve ancora continuare a fare da spettatrice”. Appunto, quella politica industriale promossa – come auspica Riccardo Degl’Innocenti – da un’informazione che faccia il proprio dovere. Magari chiedendo a Paolo Signorini, apologeta di un futuro di transhipment, “come mai le super navi container (le 24mila) sulla rotta Europa-Asia attraverso il Mediterraneo non vengono già a Genova al PSA Prà, dove non ci sono problemi di manovra o intermodalità; semmai di fondale che andrebbe dragato di un paio di metri con molto minore spesa. Forse perché non è un porto di transhipment (le cui rotte passano a sud del mediterraneo, sulla rotta Suez-Gibilterra), ma neanche uno scalo gateway con la capacità dei porti del Nord Europa, i soli che rendono conveniente la sosta a una 24mila. Perciò si dovrebbe parlare di efficienza del porto. Non di pietre e cemento”.

P.F.P.

C’È POSTA PER NOI

Il nostro numero scorso ha fatto arrabbiare il neo direttore del Galliera

Pierfranco, ho letto gli “Spifferi”. Ti segnalo quanto segue: non sono Ridolini né lo scemo del villaggio che si fa mandare avanti, né tanto meno mite. Ve ne accorgerete presto. Non venirmi a chiedere, in futuro, di fumare improbabili calumet della pace, per conto terzi.

Francesco Quaglia

Caro Francesco, francamente non capisco perché ti senti tirato in ballo: gli “Spifferi” in questione si riferivano esplicitamente a chi occupa la cabina di comando dell’ospedale da vent’anni, laddove tu sei arrivato da pochi mesi. Comunque capisco che i nervi sono tesi, tanto da giustificare reazioni sopra le righe. Ma anche a me corre l’obbligo di una precisazione: quanto scrivo e dico lo faccio per conto mio e mai “per conto terzi”. In questo caso la critica dell’insensatezza di destabilizzare il servizio sanitario nel centro di Genova inseguendo logiche di stampo mercantile spacciate per modernità up-to-date.

P.F.P.

Il fantasma della Duchessa veglia sul Galliera

E la scuola?

Perché non ci occupiamo anche dello stato di altissimo degrado in cui versano nella nostra regione le strutture scolastiche? Ricerche recenti collocano la Liguria agli ultimi posti e da decenni non si interviene che con “tapulli” che non risolvono nulla anzi aggravano la situazione. La scuola è la casa dove i nostri figli e nipoti trascorrono la maggior parte della loro vita di bambini, ragazzi e adolescenti e dovrebbe essere il primo degli interventi da effettuare da parte dei responsabili: Regione, Comuni e Provincie. Ci siamo mai chiesti in percentuale quali somme sono messe a bilancio per migliorare il parco scuole? Chiediamolo!!!!

Gaetano Cuozzo, già Direttore scolastico regionale della Liguria

Risponde il nostro collaboratore, professor Alessandro Cavalli:

Dal Liceo economico-sociale al Liceo del “made in Italy”

Se si volesse veramente por mano, al di là della retorica e degli interessi corporativi, a un cambiamento della scuola, non sarebbe difficile indicare delle priorità. Prima di tutto metterei i divari territoriali. Al secondo posto, la dispersione scolastica. Al terzo posto, la riorganizzazione dei cicli per ridurre la discontinuità tra scuola primaria e secondaria. Al quarto posto, un ripensamento radicale della formazione professionale degli insegnanti e, soprattutto, della loro (non solo dei discenti) formazione civica. Al quinto posto, l’edilizia scolastica (troppe scuole troppo vecchie). L’elenco potrebbe anche essere allungato e le priorità cambiate. In realtà, un piano organico dovrebbe affrontare tutti questi, e anche altri, obiettivi nello stesso tempo e in modo integrato.

Nelle priorità non metterei comunque, come sembra fare l’attuale governo, l’abolizione del Liceo Economico e Sociale per sostituirlo con un liceo nuovo orientato al “Made in Italy”. Gentile aveva rifatto il Liceo Classico, il Ministro Valditara vorrà legare il suo nome al “Liceo dell’esportazione dei prodotti e del buon nome del paese nel mondo”? Viene il sospetto che sia una mossa di marketing di un governo che, per disconoscere le sue remote memorie, usa di preferenza gli anglicismi. La cosa però potrebbe essere più seria se invece l’innovazione fosse fatta per togliere di mezzo l’indirizzo economico-sociale del Liceo delle Scienze Umane. Questo liceo c’è dal 2010 e riguarda circa il 3% degli iscritti alla secondaria superiore. Le sue origini risalgono alla trasformazione delle vecchie scuole e poi istituti magistrali. Non mi risulta siano state fatte ricerche sulle studentesse e gli studenti di questo liceo, ma può darsi che qualcuno lo percepisca come un luogo di formazione di una cultura che non piace agli attuali governanti. Ad esempio, una conoscenza dell’economia almeno elementare sarebbe un vero ostacolo per far digerire la flat tax come una misura che combatte le disuguaglianze.

Negli anni 70 era stato elaborato da una Commissione del Consiglio Italiano per le Scienze Sociali un progetto per l’introduzione delle scienze sociali nella riforma della scuola secondaria (Einaudi, 1977). Si voleva dare alla popolazione giovanile qualche strumento per capire l’economia e la società al di là degli schemi ideologici. Allora non se ne fece nulla. Adesso non si capisce se si vuole solo cambiare nome a, oppure cancellare, un’esperienza che in qualche modo aveva cercato di immettere nuovi saperi nell’impianto un po’ obsoleto della scuola italiana.

Alessandro Cavalli

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

La lezione politica al contrario di Sarzana

L’opinione pubblica ligure di sinistra, in gramaglie per gli esiti disastrosi delle ultime amministrative – il trionfo della Destra con candidati tra l’imbarazzante e l’inquietante – si renderà finalmente conto che l’origine dell’ennesima catastrofe sta nel manico? Il grido di Nanni Moretti “con questi dirigenti non vinceremo mai”.

Inutile inorridire allo spettacolo di Nosferatu-Scajola emerso per l’ennesima volta dal sacello o indignarsi per la palese pochezza degli ascari totiani.

Metà del corpo elettorale ha detto che non intendeva votare questa genia migrando sull’Aventino; in assenza di presenze in campo tali da convincere gli aventiniani a tornare a valle. Perché il nodo è questo: in gergo pugilistico, il no contest per cui la Destra vince. Sicché il vero tema è quello di mettere in campo alternative credibili. E ad oggi non si vede spuntare nulla con questa caratteristica. L’esito del voto amministrativo di Sarzana è particolarmente significativo, visto che in questo collegio di antica combattività radicale non si è saputo fare niente di meglio che candidare la quintessenza della politica politicante incarnata dal settantenne di lunga navigazione Renzo Guccinelli. Eppure a inizio anno aveva suscitato interesse l’iniziativa under 30 di un manifesto che propugnava «il coraggio della discontinuità e del ricambio. Le basi di un nuovo spazio autenticamente civico». Ma al momento del dunque dove è finito questo coraggio? Solo le parole pretenziose e le citazioni ricercate di un temino apparso su MicroMega; la rivista di cultura politica diretta da Flores d’Arcais, sempre alla ricerca di segni di vita a sinistra.

Si può ciarlare di progetti strategici e piani di comunicazione, la verità è che decenni di cinismo hanno addestrato alla furberia anche i più giovani. Mentre gli anziani non persi nel carrierismo continuano a coltivare il rimpianto di una Sinistra che non c’è mai stata. Visto che questa sinistra-nostalgia è la stessa che dimentica l’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione “più bella del mondo” e l’amnistia a tutti gli arnesi del regime fascista a firma del Guardasigilli Palmiro Togliatti. Entrismo opportunistico in auge già da allora, che oggi diffonde apatia e frustrazione. Estirpabili solo da una profonda bonifica del paesaggio umano, all’insegna del carattere e dello spirito critico. Per un nuovo inizio senza zavorre. Ma con gente pronta a mettersi in gioco davvero.

Pierfranco Pellizzetti

AMBIENTE

La fragile bellezza di un territorio sotto costante attacco

Genova, la grande strage dei nostri amici verdi (seconda parte)

In sostanza quest’amministrazione gli alberi li odia e fa di tutto per toglierli di torno Basta guardare l’orrido edificio che è la principale espressione edificatoria di questa giunta finora portata a termine: il supermercato di Esselunga a Sampierdarena proprio davanti alla torre del Comune. Un blocco di cemento grigio scuro orrendo, che non ha nulla a che vedere con il paesaggio intorno. Soprattutto senza verde. E valga da esempio di come operino gli uffici preposti all’urbanistica genovese. Il verde è sempre una variabile a perdere. Cui si aggiunge lo scempio privato. Se il Comune non cura il verde pubblico, figuriamoci quando sono i privati ad avere problemi con gli alberi: una strage di cui nessun ente pubblico ha traccia (magari potrebbero vergognarsi!). L’ambito dove non viene rispettato il regolamento comunale che obbliga anche i cittadini privati che tagliano alberi a chiedere permessi, a ripiantare alberi dello stesso tipo, della stessa grandezza. Norma elusa sistematicamente in mancanza di controlli. A meno che il privato non abbia la sfortuna di abitare nelle vicinanze di un ambientalista… Magnolie, cedri, alberi di arancio e quant’altro di prezioso ci sta sparendo davanti agli occhi. Infatti nelle aree cittadine private viene completamente abbattuto il verde a favore dell’ennesimo parcheggio, a favore dell’ennesimo giardino trasformato in luogo dove piazzare macchine o scavato per garage. Con quei 2 centimetri di finto “a terra” piazzato per dire “abbiamo fatto opere verdi”.

Esiste qualche possibilità per evitare questo scempio? Sì esiste, nel momento in cui i cittadini si ribellano e impediscono fisicamente – non a parole, borbottando o mugugnando – che gli alberi davanti a casa vengano abbattuti. Il diritto alla salute è di tutti. il diritto al paesaggio è di tutti. il diritto all’ambiente sano è di tutti. Questi diritti vanno esercitati, non delegati. Purtroppo le autorità che dovrebbero difendere tali principi si guardano bene dal farlo. E per questa stessa logica molti cittadini li votano e li eleggono a sindaci. Bene, noi ambientalisti continuiamo e continueremo a batterci per salvare il nostro bene prezioso. Ci auguriamo di non rimanere soli in questa battaglia infinita. Infinita perché è iniziata molto prima di Bucci. E probabilmente continuerà anche dopo Bucci, visto come i partiti politici all’opposizione traccheggiano sul problema.

Andrea Agostini

Grazie Andrea, ultimo guardiano del verde pubblico

Arbre, mon ami’, così cantava – molti anni or sono – la poetessa bambina Minou Drouet. Più prosaicamente, il sindaco-manager di Genova, Marco Bucci, impone la nuova parola d’ordine: ‘Arbre mon ennemi’. Tremino gli alberi che ornavano i viali, i parchi, le piazze della nostra città. Alla minima occasione – malattia, traffico, parcheggi – la sega a motore del sindaco si abbatterà implacabile su di loro.

Ma cosa hanno fatti gli alberi, a Bucci? Il fico del vicolo omonimo, i platani dell’Acquasola, e ora gli alberi che fiancheggiano la Prefettura, in piazza Corvetto: tutti sono caduti o minacciano di cadere sotto la mannaia ‘buccesca’.

E i cittadini, come ormai d’abitudine, tacciono rassegnati. Tranne uno, Andrea Agostini, di Nuova Ecologia. Benedetto Andrea, sarai un po’ matto, ma ce ne fossero molti come te che, instancabile, organizzi una piccola rivolta in Piazza Corvetto, la stessa che – a detta di un mio amico non genovese – ‘…è la più bella piazza d’Italia’.

Vallo a dire al sindaco-manager, adoratore della sega a motore, rimasto famoso – per aver detto di voler fare di Genova una piccola Miami (ma noi, tutto sommato, preferiremmo la più onesta Las Vegas). Questo per chi sostiene che a viaggiare si allarga la visione delle cose e dei luoghi d’origine.

La ‘piazza più bella d’Italia’ ha subito già molto sfregi, come la sua impagabile ma infrequentabile compagna, la villetta Di Negro: ridotta a un affollato rondò dove ambulanze, pullman, taxi, auto private cercano a fatica di farsi largo, intorno a un povero Vittorio Emanuele ormai più simile al vigile di Alberto Sordi che a un Padre della Patria. Tocca ora agli alberi di fianco al palazzo della Prefettura.

Chiuso il sottopassaggio, in una piazza notoriamente ostile a chi è impedito nel camminare, cintato il cantiere da vistose strisce bianco e rosse: le stesse, guarda caso, che nei film gialli delimitano il ‘luogo del delitto’.

Ma a lasciarci costernati, ancora una volta, è il silenzio in cui questi delitti vengono perpetrati. A cosa serve questo insolito fervore di opere, quando e come è stata interpellata o almeno informata la popolazione? Non meglio precisati lavori per la stazione metropolitana di Corvetto? Ma è solo una congettura. E quanto dureranno i lavori? Insomma: è il solito metodo decisionista con cui gli amministratori cercano di aggirare o raggirare la cittadinanza.

Caro Andrea, se non ci fossi tu bisognerebbe inventarti. E tu, piccola Minou, ci manchi davvero tanto!

Michele Marchesiello

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Rischio alluvioni e Toti vuole edificare le aree esondabili

La Liguria ha un alto coefficiente di rischio alluvionale e molti ricordano le disastrose inondazioni di Genova, Albenga e Val di Vara. Eppure le Destre negano le cause di tali catastrofi: il cambiamento climatico dovuto all’inquinamento e la cementificazione selvaggia, oltre all’abbandono della montagna.

La Giunta Regionale Ligure che fa? Ridisegna le mappe e introduce nuove zone rosse o gialle a rischio che possono ospitare nuove costruzioni. Invece di salvaguardare il suolo, si introduce il concetto di “rischio minore”: Toti distingue aree dove l’acqua può raggiungere diversi metri di altezza da aree dove può arrivare a qualche decina di centimetri.

Messaggio sbagliato: una nuova costruzione cambia il carico insediativo ed espone più persone alla minaccia. Anche perché si dice ai comuni: ecco le mappe, poi decidete voi senza consultare la Difesa del suolo. Di fatto, la rinuncia a pianificare.

L’amministrazione regionale parla di aree con limite di tirante idrico e velocità dell’acqua abbastanza bassi, ove consentire l’edificabilità con la motivazione che in Liguria gli spazi disponibili sono molto pochi. In realtà non c’era bisogno di una legge, perché se si tratta di pochi casi si poteva affrontarli in deroga; se invece si sceglie la via legislativa, è come dare via libera a nuove edificazioni.

Per raggiungere un maggior grado di sicurezza dal punto di vista del rischio idrogeologico non basta aggiornare la mappa del rischio, occorrono opere preventive; mentre sinora la Protezione Civile è sempre intervenuta a valle di tragedie e disastri ambientali. È ora di investimenti preventivi, concludere le opere sospese come gli scolmatori, rispristinare l’alveo naturale di fiumi e torrenti, eliminare le canalizzazioni in cemento, rafforzare gli argini, varare progetti nell’entroterra per la cura dei boschi, lavorare sul ripascimento del letto di fiumi sconvolti dalle escavazioni di sabbia e ghiaia, eliminare pennelli, creare invasi per il recupero dell’acqua piovana a fronte del rischio siccità e molto altro. Urge una legge sul consumo del suolo con interventi preventivi. Inutile pensare a nuove costruzioni in una regione in calo di abitanti con decine di migliaia di case vuote, di seconde case inutilizzate. Ma anche di edifici obsoleti, energivori, inquinanti, privi di coibentazione, ricchi di barriere architettoniche. Occorre un serio piano di sostituzione. Abbattere la mostruosa edilizia dei decenni scorsi, sostituita con edifici a ridotto impatto ambientale.

Nicola Caprioni

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) della classe dirigente locale

Pericoli incombenti e deregulation assassina

Ci risiamo, con la morte che è pronta ad affacciarsi su una Genova indifferente, fino a quando non succederà qualcosa. E allora i lai si moltiplicheranno, ognuno riversando su altri la colpa. I depositi chimici che ormai temo arriveranno a Sampierdarena, a poche centinaia di metri dalle case. Qualcosa che ricorda il Ponte Morandi. Ovviamente e giustamente viene data tutta la colpa ai Benetton, che tuttavia hanno ricevuto un bonus non dovuto di otto miliardi per uscire dalla gestione di un bene che non è loro, ma appartiene allo Stato. Cioè nostro. Sedate le polemiche, ma non il ricordo dei morti e dei loro cari, ricostruito il Ponte, non ci sarebbe da chiedersi perché nessuno degli attuali e passati governanti regionali ha esercitato un minimo di controllo? Se ho una casa di proprietà e un inquilino, non è mio dovere, almeno ogni tanto, andare a vedere se mi mantiene bene l’appartamento, se non mi scrosta i muri, se non mi fa opere che ne minano stabilità e valore? La diligenza del buon padre di famiglia è un principio giuridico, e ho il diritto/dovere di controllare: non mi dovrebbero bastare le sue assicurazioni che tutto è a posto. Altrimenti si chiama corresponsabilità oggettiva. Ma torniamo ai depositi chimici, in un parallelismo che è ancora più evidente. Si parla di rischi “ambientali, sociali e occupazionali” (Basso, PD), e ci saranno. Tanto per dare un dato ufficiale si parla di 120 tonnellate di COV (Composti organici volatili) solo per le movimentazioni di carico, scarico e pulizia dei serbatoi. Ma oltre a questo rischio, esiste il pericolo reale di esplosioni, e i depositi saranno a trecento metri dalle case; quando, secondo le direttive europee, la distanza dovrebbe essere ad almeno cinque chilometri dall’abitato. Allora, anziché blaterare a vuoto, seppure a ragione, perché non fermare il tutto ricorrendo ad azioni legali? Il duo Bucci/Toti lo sa benissimo e per questo insiste su una forzata deregulation delle leggi portuali e di navigazione. Esiste anche un’alternativa, di cui non sono in grado di valutare la fattibilità; si tratta di una piattaforma a ridosso della nuova diga (e qui il discorso si farebbe lungo: ma serve a Genova una diga così o è solo un regalo – in quanto pagato dai cittadini – alle mega navi dei grandi terminalisti esteri?). Ponte Morandi, Depositi Chimici: ciò che è accaduto e ciò che potrebbe accadere. In entrambi i casi la valutazione dei rischi diventa una mera opzione, un danno collaterale nel nome degli affari.

Carlo A. Martigli

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

I lapsus di Aponte, le favole di Signorini e il buco di un miliardo

Intervistato il giorno della “prima pietra” della nuova diga, a Gianluigi Aponte sono sfuggite alcune risposte rivelatrici: questa realizzazione è importante «perché Genova al momento è ingolfata e questo è l’unico modo per aumentare la capacità». Per lui “Genova” è solo il terminal MSC di Calata Bettolo, che non può ricevere navi oltre una certa portata per la ristrettezza del canale d’accesso che la diga allargherà. Il resto del porto è tutt’altro che ingolfato con una sovraccapacità di traffico contenitori (a Prà del 30%, a Calata Sanità e al Canepa del 60%), cui si aggiunge la stessa Bettolo che lavora a 1/3 delle sue capacità al netto dei limiti nautici. Quindi Aponte parla per sé.

Del resto a chi insisteva a proporgli come “storica” la giornata ha risposto che per lui Genova è «importante, ma come lo sono tutti i porti del mondo perché MSC è un operatore globale». Poi ha aggiunto che prevede 2 mil di teu (unità di misura dei container) a Bettolo, la cui capacità è stimata sinora a 0,8 mil. Strano errore per un uomo competente e riservato. Forse si aspetta di estendere la concessione alle banchine che nasceranno con i tombamenti. Così si spiega con la risposta successiva circa le grandi navi. La domanda chiave, perché l’investimento miliardario della diga ha questa unica motivazione: aprire l’accesso delle navi supergiganti (le 24mila teus) a Bettolo. Aponte ha risposto: «Genova con questa diga potrà avere navi grandi da fare attraccare e così potrà fare anche transhipment (trasbordo, da nave a nave), cosa che oggi non si può fare».

Il Comandante, dicendo la verità, ha smentito di fatto i suoi ossequianti agenti politici locali. I Signorini, Bucci e Toti che continuano a narrare al popolo bue la favola delle grandi navi che porteranno traffici per la città, l’Italia e l’Europa. Infatti, le navi supergiganti nel Mediterraneo si vedono solo nei porti di transhipment (in Italia solo il terminal MSC di Gioia Tauro). Il terminal Bettolo, alla bocca di porto allargata dalla nuova diga, potrebbe servire come transhipment: non una scelta strategica, ma un’alternativa pratica utile all’occorrenza. Che il traffico transhipment sia il più povero e meno redditizio per il porto e l’hinterland poco importa, essenziale sia utile all’operatore globale MSC. A Gioia Tauro, che muove in transhipment 1,7 mil di teu pari a 3,4 movimenti, la media delle 24mila è comunque di sei al mese. Che bella prospettiva per un investimento pubblico da oltre un miliardo!

Riccardo Degl’Innocenti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Trasporti sanitari gratuiti: un diritto negato

La Liguria conosce un diffuso e crescente fenomeno di “migrazione sanitaria”.

A fronte di un sistema sanitario pubblico volutamente sabotato e reso sempre più inefficiente per favorire il privato, un numero crescente di cittadini prova a rivolgersi alla sanità di regioni vicine. Tuttavia, nel caso di pazienti gravi o con problemi di mobilità, Regione Liguria non riconosce il diritto al servizio di trasporto gratuito tramite ambulanza o altro mezzo idoneo.

Se questo atteggiamento risulta sicuramente discutibile, ancora peggiore e inaccettabile è quello che nega il diritto al trasporto non oneroso tra un’ASL e l’altra della stessa regione.

La situazione è questa: se una persona ha bisogno di prenotare un esame o una prestazione con diritto al trasporto sanitario gratuito (già molto raro) e il sistema – ad esempio il CUP Liguria – propone in tempi brevi soluzioni fuori dalla propria ASL, in questo caso al paziente non viene riconosciuto il diritto a tale trasporto sanitario. Lo stesso avviene per i trasferimenti da un ospedale all’altro. Ho avuto un caso che mi ha toccato direttamente. Mia sorella, affetta da un tumore ematico era stata ricoverata all’ospedale della Spezia, che non ha un reparto specializzato in questo genere di malattie. Doveva essere trasferita all’ospedale San Martino a Genova, ma la ASL ha negato il trasporto in ambulanza gratuito (ogni altra forma di trasporto era impossibile), con la motivazione che un medico specialista del San Martino effettuava due giorni di distacco settimanali alla Spezia e che – quindi – il trasferimento era inutile. Sicché siamo stati costretti a ricorrere a un vettore privato a pagamento.

Per cui, se uno ha la fortuna di poter fare l’esame o il ricovero e prestazione dentro la propria ASL, tutto bene, altrimenti il titolo a raggiungere la nuova sede senza ulteriori costi viene meno. Ci si chiede: perché gli esami sono organizzati su base regionale e i trasporti su base territoriale? E, visto che è così da almeno tre anni, il fatto costituisce ulteriore prova provata di un sistema che produce ingiustizie.

Ovviamente l’assessore alla Sanità Gratarola e il presidente Toti scaricano la colpa sulle amministrazioni precedenti. Se questo è vero, viene da chiedersi perché in otto anni di loro amministrazione non si siano curati di cambiare questa norma ingiusta e vessatoria.

Nicola Caprioni

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Scalo spezzino: molto è successo. Qualcosa è cambiato?

Nell’ultimo mese e mezzo molto è successo su banchine e piazzali del porto spezzino, ma resta da capire se qualcosa sia cambiato. L’improvviso avvicendamento alla guida di Lsct, il terminal controllato da Contship e partecipato al 40 per cento da Msc, ha dato il “la” alle preoccupazioni della comunità portuale, da anni in attesa della concretizzazione di investimenti promessi nell’ambito della concessione pluridecennale ottenuta nell’ormai lontanissimo 2012.

Il presidente dell’Adsp Mario Sommariva ha per primo lanciato l’allarme fotografando la situazione con lucidità e ricordando a tutti i punti di forza dello scalo, a partire dalla movimentazione delle merci su ferro, ma anche la necessità di rispettare gli impegni presi, dopo che la plenipotenziaria presidente di Contship Cecilia Eckelmann Battistello, aveva lasciato intendere che per l’avvio dei 277 milioni di investimenti sarebbe stato opportuno attendere la ripresa dei traffici.

Così a molti è parso che Lsct da fautore dello sviluppo del porto si stia trasformando in zavorra. E quel che è peggio è che il timore diffuso è che questo sia frutto di una strategia pianificata da tempo e applicata con puntualità, senza peraltro smettere di collezionare utili importanti. Covid o non Covid, negli ultimi tre anni i profitti accumulati sono all’incirca 100 milioni.

Però gli investimenti non si vedono, e lavoratori e sindacati denunciano che anche l’operatività e la sicurezza sono voci di spesa ormai dimenticate. Dinamiche che ricordano quanto accaduto a Gioia Tauro e Cagliari, porti dai quali Contship è salpata quasi senza preavviso, puntando invece la prua su Tangeri e Damietta, nel Nord Africa che gli Eckelmann considerano strategico per la logistica del futuro.

La situazione, almeno sino a quando la gallina spezzina continuerà a fare uova d’oro, sembrerebbe poter accontentare anche Msc, socio di minoranza nel terminal, che nel frattempo ha puntato forte su Livorno e Genova, dove punta ai 2 milioni di Teus grazie al passaggio epocale della realizzazione della diga. E poi chissà che nel caso di disimpegno da parte di Contship anche le bistrattate banchine del Golfo dei poeti non possano ritornare ad avere un appeal per il colosso di Gianluigi Aponte…

Negli incontri con Sommariva e sindacati i vertici delle due società hanno garantito di voler puntare ancora sul porto spezzino e l’imminente lancio delle gare per gli ampliamenti. E ora gli occhi sono tutti puntati sulla Marina del Canaletto, in attesa di sviluppi.

Thomas De Luca

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Vado Gateway, la grande occasione savonese mancata

Dal sito dell’Autorità di sistema portuale Genova-Savona: «Vado Gateway Spa è il terminal container del porto di Vado Ligure gestito da APM Terminals Vado Ligure Spa, controllato da APM Terminals del gruppo Maersk (50,1%), insieme alle cinesi Cosco Shipping Ports (40%) e Qingdao Port International, (9,9%). Con fondali di 17 m, Vado Gateway può accogliere senza limiti anche le “grandi navi” di ultima generazione (Ulcs – Ultra large container ships)». Il terminal è operativo da oltre 3 anni. Nel 2022 aveva prodotto 266mila teu, in costante crescita dal 2020. Però – ad oggi – siamo ancora a meno 600mila teu dal target, che APM Terminals alza nel suo sito ufficiale addirittura a 1,1 mil.

Analizzando le previsioni ufficiali di movimento delle navi porta contenitori nel terminal nel mese di giugno (fine maggio-inizio luglio), emerge il seguente quadro: nessuna è una Ulcs (>15mila teu); solo 4 navi su 22 raggiungono la dimensione media di 10mila teu; 9 navi su 22 fanno rotte oceaniche: oltre Gibilterra verso il Nord America piccole unità (4-5mila teu), e oltre Suez verso MO e Far East (le 10mila): Il resto fanno cabotaggio mediterraneo, gravitando per lo più su porti hub di transhipment, come Algeciras, Pireo, Malta, Tangeri, Port Said.

È tutto qui il nuovo terminal avveniristico di Maersk, leader globale del trasporto marittimo container, costato almeno 300 milioni di euro allo Stato italiano. D’altro canto Maersk continua a toccare anche il porto di Genova, in particolare il terminal PSA di Prà, ma lo fa con navi altrettanto medio-piccole (al di sotto delle 10mila). Sarà per l’alleanza di Maersk con MSC e le rispettive aree di competenza? D’altro canto COSCO porta direttamente le sue Ucls da 13mila teus a Prà, mentre a Vado ancora non se ne vedono.

Rumors dicono che Maersk cerchi di vendere il terminal, che nel 2021 ha perso 24 milioni su un fatturato di 23. I cinesi, secondo altre voci, se ne sarebbero già andati. Posto che ci siano stati. Sicuramente, il terminal per ora è una gigantesca occasione mancata del territorio. Anche se qualcuno pretenderebbe di buttarla sul ridere. Vedi Claudio Burlando, che si pavoneggia di aver suggerito al sindaco di Vado di offrire al suo comune una nuova chance, candidandolo a produrre i cassoni di cemento per la diga di Genova. Dice l’ex Presidente di Regione Liguria (sulla scia di quando dichiarava che la specializzazione competitiva ligure consisteva nello slow fish, le acciughe): “i cassoni sono un’occasione di sviluppo”. Sic.

Riccardo Degl’Innocenti

PASSEGGIATE D’ARTE

Le bellezze dimenticate da riscoprire

Palazzo Negrone De Ferrari: il palazzo “tagliato”

Al civico 17 di Via San Lorenzo, in pratica a fianco della Cattedrale, si erge la maestosa facciata del Palazzo Negrone De Ferrari che, in perfetta rima decorativa con la Chiesa, presenta un rivestimento a fasce bianche e nere di gusto medievale. Molto interessante è il portale, ma soprattutto colpiscono i mascheroni leonini sopra le finestre che richiamano in modo esplicito quelli che si ammirano sulla facciata di Palazzo Tursi. Il grande architetto Vincenzo Scamozzi nella sua opera Dell’idea dell’architettura universale, accenna ad un progetto per questo palazzo che però fu completato dal bravo Bartolomeo Massone per Sinibaldo Fieschi nel 1618. Il palazzo, che già nel 1614 compare nell’elenco dei rolli, passò nel XVIII secolo alla famiglia Negrone e quindi ai de Mari.

A differenza di quanto si potrebbe pensare per un palazzo così imponente, l’atrio è assai ridotto. Tuttavia, poiché si collega al cortile, l’effetto è di buona luminosità. Imponente è lo scalone che unisce ancora tre dei sei piani complessivi, oggi adibiti tutti a residenze private, tuttavia poiché il Palazzo fa parte dell’ADSI (Associazione Dimore Storiche Italiane), in rare ma interessanti occasioni è possibile la visita ad alcuni ambienti magnificamente decorati.

Tra questi merita un cenno particolare la volta di un salotto qui riprodotta: si tratta di un affresco del grande pittore genovese Antonio Piola che raffigura il triste mito di Aurora e Cefalo. Tutto normale quindi? anzi no, perché a ben vedere è come se l’affresco fosse “tagliato”, con la parte più interna dove senza dubbio si riconosce l’opera del Maestro e la parte verso le finestre e quindi verso la strada, con colori più attenuati e le figure che perdono forza. Che cosa è successo? Alla metà dell’Ottocento per far posto alla “carrettera” ovvero a quella che oggi è Via San Lorenzo, la facciata del palazzo venne demolita ed arretrata di circa tre metri, quindi perfettamente ricostruita. E l’affresco? Prima della demolizione venne copiato su cartoni e quindi ridipinto da Giuseppe Isola che pur essendo un buon pittore non aveva certo il talento del ben più illustre predecessore.

Cose che succedono a Genova, dove non si butta via niente…

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga

Genova cimiteriale, ma oltre i Giovi c’è vita

L’Oltregiogo, come la regione storica e geografica che divide la Liguria dal Piemonte, può essere considerato – per i genovesi e i liguri in genere – la Chiasso della famosa gita, immaginata da Alberto Arbasino per mettere alla berlina il torpore provinciale della cultura italiana anni ’30 (e oltre, aggiungeremmo).

La cultura genovese – ciò che ne rimane – si affaccia all’Oltregiogo preda di un arrogante senso di inferiorità, marginalizzata anche in senso fisico dai libri, dagli spettacoli, dai dibattiti, dalla salutare babele musicale, persino dalle diverse lingue che animano la vita intellettuale dall’altra parte del Turchino.

Si andava a Chiasso per acquistare un Toblerone o una lattina di tabacco ‘Balkan Sobranie’, ma anche per trovare giornali con notizie vere, e libri che sarebbero arrivati in Italia dopo alcuni anni. Oggi si supera il Turchino in cerca di eventi culturali originali, importanti, fonte di discussioni e polemiche, in fuga soprattutto dall’insulsa cultura del supermarket.

Non c’è bisogno di molto ‘sciato’ per offrire buona cultura: basta un’idea originale, la disponibilità di qualche amministratore, un centro di attrazione significativo, sia monumentale, storico, paesaggistico. Molti paesi e località dell’entroterra piemontese si sono mostrati capaci di superare (non solo nella prospettiva grettamente ‘turistica’) le inerzie e l’isolamento che sino a qualche tempo fa sembravano propri della provincia.

Chi consulti oggi il programma ‘Monferrato on tour’, trova opportunità importanti destinate non solo a un pubblico estivo: dall’ormai rinomato festival del balletto, a Vignale, ai concerti in Singagoga di Casale, agli incontri alessandrini su letteratura e cinema americano, ai festival del jazz, all’iniziativa ‘agriturismo’ dovuta a Tonino Conte, al programma ‘castelli aperti’ che offre al pubblico un tesoro ancora inesplorato del Monferrato. Alla tradizionale cultura del vino e del buon cibo, si è affiancata una ricca serie di iniziative dedicate alla cultura ‘ tout court’.

A Genova questo processo sembra essersi invertito: la gita a Chiasso non si fa più in direzione della Superba, alla quale subentrano le antiche caratteristiche della provincia:

un immenso giacimento (cimitero? Staglieno come destino?) di risorse e intelligenze trascurate o addirittura abbandonate in favore di luminarie, tappeti rossi, spettacoli popolari, ‘eventi’ destinati a ‘far cassetta’ e lasciare un popolo beota ‘a bocca aperta’.

Michele Marchesiello

teb Identitari al basilico

Liguria geopolitica, una terra “acefala”

Di questi tempi, in cui Lucio Caracciolo impazza nei talk e a Palazzo Ducale, vogliamo ragionare in termini geopolitici anche per le faccende di casa nostra? Sulla scia di quanto – tanti anni fa – teorizzava un simpatico protagonista della vita pubblica savonese: l’avvocato repubblicano/mazziniano Renzo Brunetti, propugnatore della tesi che se la Liguria “reale” finisce al passo del Bracco, allora il centro dell’arco regionale non è più Genova, bensì Savona. Tesi dal forte sapore campanilistico, in cui faceva capolino l’antico risentimento covato sotto il Priamar; largamente giustificato da una serie di sgarbi e mascalzonate storiche, subiti ad opera della ben più potente città dirimpettaia. Anche se – si dice – avevano iniziato i Sabazi al tempo delle guerre puniche, dando una mano al generale cartaginese Magone per assaltare la Janua dei Genoati, foederati di Roma. Comunque il trauma maggiore si ha nel 1528, quando l’esercito della Repubblica genovese filospagnola sottomise il vicino ponente francofilo; e per sancirvi definitivamente il proprio dominio, troncando velleità di indipendenza e concorrenza, venne consumato l’estremo oltraggio: l’interramento del porto. Una vicenda di cui si è perso il ricordo tra Bisagno e Polcevera, non sulle rive del Letimbro.

Ma se, al centro della Liguria, le due città distanti solo una quarantina di chilometri sono separate da ben più profonde faglie di risentimenti, le province ai lati viaggiano per conto loro; seguendo ottiche divergenti rispetto al capoluogo: l’imperiese gravita tradizionalmente verso le Alpi e la Francia, lo spezzino coltiva vocazioni relazionali in direzione della Toscana di costa e dell’Emilia. Dunque realtà centrifughe che rendono quello ligure un ente più amministrativo che non politico-culturale.

Esattamente il contrario del vicino Piemonte, in cui Torino svolge una funzione attrattiva e centripeta. Anche perché la piemontesità negli anni è stata consolidata da un’intensa opera progettuale strategica a base territoriale. E qui veniamo al punto: il solipsismo individualistico ligure mai e poi mai è stato in grado di pensarsi in termini di appartenenza perseguendo interattività d’area che rafforzassero sotto il profilo degli interessi condivisi un’identità comune; creando interdipendenza tra le diversità delle quattro province. Ossia una politica unificante, che le istituzioni di territorio totalmente prive di visione non sono state neppure in grado di concepire. Di prefigurare.

Pierfranco Pellizzetti