NUMERO 14 del 15 gennaio 2024

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Indice

SPIFFERI

Bucci in the Sky with… Flash Gordon

Dopo aver progettato di trasformare il Mar Ligure in Mar Morto, desalinizzando e pompando in Lombardia milioni di litri d’acqua marina, sfidato la fisica poggiando la nuova diga del porto su fondali sabbiosi, ispirato al poeta barocco Giambattista Marino i celebri versi “è di Marco Bucci il fin/ la meraviglia”, ora il sindaco una ne fa, cento ne pensa vorrebbe realizzare un tapis roulant soprelevato che colleghi l’aeroporto alla stazione di Erzelli. È così che finalmente scopriamo dove costui trovi l’ispirazione per la sua urbanistica fantastica: i fumetti americani disegnati dal celebre Alex Raymond negli anni ’30: “Flash Gordon sul pianeta Mongo”. La prossima trovata sarà realizzare un quartiere sospeso sulle nuvole, come la città degli uomini falco. Ovviamente a firma Renzo Piano.

Ndrangheta a Savona

Italia Uno, 7 dicembre: Le Iene mostrano un documento sul ruolo della ‘ndrangheta nel business dei rifiuti tossici. Senza che si facciano nomi, compare sullo schermo la notizia di un deposito illecito di veleni scoperto a Borghetto, in provincia di Savona. Pareva fosse stato bonificato; ma da varie voci ponentine, risulterebbe che tale bonifica, già costata milioni di euro, non sia mai stata condotta a termine. Per questo abbiamo girato la notizia a chi ne sa più di noi, che ci ha risposto: «caro Pier, è una storia lunga quella della ‘ndrangheta in Provincia di Savona… ne abbiamo, eccome. Non mi stupirebbe affatto che a Borghetto ci fosse un deposito di rifiuti tossici. Però al momento non mi risulta che ci siano fascicoli sul tema». E noi ci fidiamo del magistrato che ci ha risposto.

Focaccia nel cappuccino, Panicucci “genovese DOC”

Le pagliacciate continuano. Ingaggiata come conduttrice nella serata di capodanno canoro con rimasugli Mediaset, a maggior gloria di Giovanni Toti e della sua estetica cafonal-Biscione, Federica Panicucci si è fatta fotografare mentre sperimenta un tipico must da prima colazione alla genovese: pucciare la focaccia nel caffelatte (non cappuccino, please). Davanti a un tale spettacolo, il nostro sindaco ha cominciato a sgomitare per accreditarsi una celebrità internazionale quale la star de La pupa e il Secchione. Fregola rovinata dall’espressione di palese disgusto della testimonial lumbard all’accostamento dolce-salato del breakfast sotto la Lanterna; inusuale per un palato assuefatto ai cornetti zuccherosi del Sant Ambroeus, storica pasticceria milanese per bauscia e turisti da spennare.

C’È POSTA PER NOI

L’ultimo giorno del 2023 Federico Valerio ci ha inviato questa riflessione augurale per il 2024

Trattiamoli a “freddo”: riciclo meccanico dalle “miniere urbane”.

Vademecum per contrastare l’ultima pensata del duo Toti-Bucci: un termovalorizzatore a ponente.

Buon 2024!

In Italia, a combattere il “naturale” disordine dei rifiuti provvede un esercito sempre più numeroso di cittadini diligenti che differenziano i loro scarti nelle tipologie previste (vetro, carta e cartoni, imballaggi in plastica, metalli, organico e secco residuo) prima di riporli negli appositi contenitori. Subito dopo interviene un altro piccolo esercito di operatori che raccoglie le singole frazioni. Il passo successivo sfugge ai più, ma è quello più importante per garantire la realizzazione della nuova “economia circolare”, che trasforma i vecchi rifiuti in una nuova risorsa: le aziende che “valorizzano” le frazioni raccolte, realizzando un’ulteriore selezione, finalizzata al riciclo, con metodi di tipo fisico e meccanico.

Nel solo settore di chi dà una seconda vita delle materie plastiche, operano 191 aziende addette alla trasformazione e altre 54, specializzate nel riciclo del materiale raccolto. In sintesi, aperti i sacchi usati per le raccolte domiciliari e di prossimità, i rifiuti sono inseriti su un nastro trasportatore dove avviene, spesso a mano, una prima separazione che elimina conferimenti errati, successivamente un setaccio rotante provvede a separare frazioni di piccole dimensioni e in un passaggio successivo, flussi di aria a pressione effettuano la separazione tra imballaggi pesanti (flaconi..) e leggeri (buste, fogli..). Un trituratore riduce in piccoli pezzi le plastiche selezionate, per il riuso solo di polietilene (PE), polietilene ad alta densità (HDPE) e polipropilene (PP). In Italia, con simili trattamenti meccanici, grazie a cittadini e aziende che amano il riciclo, nel 2022 sono stati avviati al riuso: 418.000 ton di acciaio; 60.000 di alluminio; 4.311.000 di carta; 2.147.000 di legno; 1.122.000 di plastica e bioplastica; 2.293.000 di vetro. Sempre nel 2022 l’80,5% degli imballaggi immessi al consumo in Italia è stato raccolto in tale modo.

È evidente che questa è la partita vincente. Peccato che il governo Meloni marci contro. Il rinvio al prossimo anno della tassazione prevista dalla UE sui prodotti “usa e getta” ha favorito le tante piccole aziende del settore, ma ha danneggiate quelle nuove, che stanno investendo sul riciclo delle plastiche usate, il cui costo, nella situazione attuale, è maggiore di quelle “vergini”, ottenute dal petrolio e dal gas fossili; quindi clima-alteranti.

Federico Valerio

Riceviamo dal nostro Carlo questa riflessione rapallina

Eroe o invasore?

A Rapallo, all’ingresso del Parco Casale, c’è una lapide, voluta dal Gruppo Alpini Rapallo, che ricorda un concittadino, Franco Sampietro, nato nella cittadina rivierasca nel 1917. C’è scritto: “caduto eroicamente sul fronte greco-albanese quota 1828 Monte Lofka 17 novembre 1940”. In quell’anno Mussolini voleva farsi bello davanti ai nazisti e, per la sua folle guerra di invasione di un paese neutrale come la Grecia, mandò a morire migliaia di soldati; tra cui il sottotenente Sampietro. Medaglia d’oro alla memoria: saranno stati contenti la vedova e i figli. Piangerlo per la morte è una cosa, glorificare la sua impresa è un’altra. Eroe un invasore? I russi di Putin caduti per invadere l’Ucraina sono eroi? Certe riflessioni vanno fatte, poi ognuno la pensi come vuole. Molti alpini sono morti partigiani per la libertà: a questi nessuno dedica una targa commemorativa?

Carlo A. Martigli

L’indimenticabile Paolo Sylos Labini soleva dire: «guardando la faccia di Cesare Previti sono indotto a pensare che la fisiognomica sia una scienza esatta». La nostra amica Maura Rossi è un po’ dello stesso avviso.

Per una semantica delle facce

Che cos’hanno in comune Cesare Lombroso, Gilberto Govi e Paul Ekman? Nati e vissuti in epoche e mondi diversi, ma interessati a uno stesso oggetto: le facce.

Lombroso, psichiatra e antropologo, fondatore della criminologia, docente pure a Genova, vi cercava segni di devianza o patologia. Teoria superata, ma attualmente interessante. Per onestà lasciò la sua in formalina al Museo di Antropologia criminale di Torino. Gilberto Govi, creatore di maschere, studioso di facce, le riproduceva in teatro insieme alla moglie Rina. Paul Ekman, psicologo e ricercatore, ha contribuito alla comprensione delle emozioni umane di base osservando migliaia di persone di ogni etnia e stato sociale.

Sarebbe bello averli accanto per commentare insieme il défilé di facce rigurgitate ogni giorno da tv e giornali locali o qualche quotidiano nazionale in modalità “in cielo, in terra e in ogni luogo”. Quelle facce da cui nessuno dotato di buonsenso acquisterebbe un’auto usata ma che hanno sedotto una percentuale, piccola ma bastante, di elettori. Non penso ci si debba improvvisare fini psicologi, criminologi o studiosi di maschere teatrali, ma, se nella propria vita non si è stati solo circondati da simili facce, un po’ di saggezza per distinguere una faccia onesta da una di tolla la si dovrebbe avere. Ci sono tante colorite espressioni locali per definire certe facce: come le lastre, da schiaffi, da nescio, ecc.

Veniamo alle tipologie: 1) vi odio tutti, ma devo trattenermi, prima o poi mi scoppia un’arteria 2) specchio delle mie brame, chi è il più piacione del Reame? 3) prego, prego, ditemi, sono a vostra disposizione 4) mi hanno caricato a molla, io obbedisco agli ordini 5) cosa mi tocca fare, prima o poi qualcuno se ne accorgerà? 6) non so perché sono qui, ma mi dicono quello che devo dire 7) Lui mi ha insegnato a dire cose che voi umani… 8) come mi piace compiacere chi comanda 9) quante volte al giorno devo dire rosiconi e comunisti, sui social mi sfottono 10) mi si nota di più se faccio la faccia da fanfarone o da stupido? 11) aggrotterò di più le sopracciglia per sembrare una persona seria 12) scusate dopo la parola fare cosa devo dire?

E mentre me ne sto in allegra compagnia di criticoni di facce, e non solo, mi piacerebbe ci fosse pure Petrolini (o Proietti) che declama il suo “Più bella e più superba che pria”, finché Govi salta su e, riprendendo la nota espressione da I manezzi pe’ majà ‘na figgia, esclama nascondendo il volto fra le mani: “Che facce hanno, Gigia, che facce!”.

Maura Rossi

ECO DALLA RETE

Marzo 2019 - Riviera24.it – Moma GioielliSabato 30 dicembre Riviera 24 ha riferito di un convegno imperiese sulla criminalità a Ponente. Tema oggetto di sostanziale indifferenza negazionista bipartisan da parte del ceto politici regionale.

Criminalità organizzata: la provincia d’Imperia come quella di Crotone?

«Imperia. Al convegno “Riprendiamoceli” sui beni confiscati alle mafie, si parla anche di “A meglia parola. Liguria terra di ‘ndrangheta”, il libro pubblicato nel 2013 da Marco Grasso e Matteo Indice per documentare la presenza dell’ndrangheta in Liguria. Il titolo nasce dal proverbio calabrese ‘A meglia parola è quella che non si dice’. Abbiamo descritto la caratteristica principale di questa organizzazione criminale ovvero la mimetizzazione”, spiega il giornalista Marco Grasso. Per capire meglio dove si colloca la provincia di Imperia nella mappa dell’ndrangheta, Marco Grasso sottolinea: «Tra il 2008 e il 2009 tra Sanremo e Bordighera vanno a fuoco decine di locali. Una ricerca del Ministero dell’Interno prova a dare un ordine quantitativo con una cartina sugli incendi dolosi in scala nazionale, che vede al centro una zona gialla, al sud da arancione rosso. E Imperia? È l’unica provincia tra centro e nord con colorazione arancione e un numero pro-capite di incendi dolosi assimilabile a Crotone. Questi incendi dolosi avevano un modus operandi: c’era un listino prezzi e l’ndrangheta li appaltava a dei criminali minori».

Non solo incendi dolosi ma anche un altro “record” come ricorda Grasso: “La Liguria ha inanellato un record nella storia del Nord Italia, con ben due comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Tutto questo nello stesso periodo in cui varie autorità dicevano che l’ndrangheta ad Imperia non esisteva, che anzi fosse “un’isola felice”. Ricordiamo che i primi collaboratori di giustizia hanno raccontato che in Liguria, all’epoca, ci fossero almeno quattro “locali”: le locali sono emanazioni dell’ndrangheta sul territorio, una vera e propria struttura operativa”, conclude Marco Grasso.

ECO DELLA STAMPA

Festa per il primo anno del Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano

Il 20 dicembre Andrea Moizo, stavolta in coppia con Carlo di Foggia, fornisce su il Fatto quotidiano ampio materiale di riflessione sulla palese opera di distrazione di massa rappresentata dalla vicenda epocale del traforo appenninico, di cui si continua a parlare ormai da almeno un secolo. Ne riproduciamo un ampio stralcio.

Terzo Valico costi raddoppiati

L’esplosione degli extra-costi legati alle varianti, mentre sulla data di fine lavori è buio pesto, è quanto sta succedendo sul Terzo Valico dei Giovi; mega opera ferroviaria che dovrebbe connettere Genova a Milano con una linea ad “alta capacità” di 53 km, di cui 37 in galleria. Quanto emerge da un emendamento del governo alla legge di Bilancio, che alza da 350 a 825 milioni di euro la cifra stanziata per consentire al “soggetto attuatore” (Rfi) di “negoziare modifiche al contratto con il contraente generale”, il consorzio Cociv (gruppo Webuild) “anche in deroga a specifiche clausole contrattuali”.

I 350 milioni erano stati previsti in manovra a ottobre a soli due mesi dall’ennesimo aumento delle risorse extra per l’opera. Infatti, nel decreto Asset d’agosto, il governo aveva stanziato altri 700 milioni di euro per varianti. Soldi arrivati dal fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche (270 milioni) e dallo stesso contratto di programma fra Stato e Rfi.

In soli quattro mesi i costi dell’opera sono lievitati di quasi 1,5 miliardi senza che nessuno battesse ciglio. Il risultato è che il conto finale è raddoppiato. Il contratto tra Rfi e Cociv firmato nel 2011 valeva 4,8 miliardi. A luglio scorso la Corte dei Conti aveva ricalcolato il conto finale in 7,4 miliardi. Ora si arriva a 10,6 miliardi, secondo quanto confermano gli uffici del ministero, che parlano di “un aumento dei costi figlio delle varianti tecniche e di sorpresa geologica”; fra rinvenimento di amianto, sanatorie di non conformità ascritte all’appaltatore e soprattutto “fenomeni legati alla natura tettonica del tratto in galleria tra Cravasco e Castagnola”. I problemi di friabilità del terreno hanno cominciato a manifestarsi nell’estate 2022, comportando l’abbandono delle due frese meccaniche e il ricorso a tecniche di scavo più classiche. Nei mesi scorsi cinque degli ingegneri ai vertici del cantiere si sono dimessi, compreso il direttore generale del Cociv. Questo sta rallentando i lavori, già in ritardo, e spiega perché nelle scorse settimane il ministro titolare del Pnrr, Raffaele Fitto, abbia cercato di stralciare l’opera dal Pnrr (da cui provengono 3,4 miliardi) ma si è dovuto arrendere al diktat di Salvini e del suo viceministro Edoardo Rixi, da sempre uno strenuo difensore dell’opera. Il ministero assicura che i tempi (giugno 2026) saranno rispettati. Però il nuovo emendamento appena approvato prevede che degli 825 milioni aggiuntivi coprano gli ultimi 175 arriveranno solo nel 2027.

Carlo di Foggia e Andrea Moizo

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Care e cari tutte/i, Sapere per Decidere – Controinformazione ligure riprende le sue uscite con questo primo numero 2024, ribadendo la sua missione editoriale: fornire chiavi di lettura delle mosse di chi governa la Liguria, delle proteste civiche e dei silenzi di chi dovrebbe rappresentarle. Infatti, come ha scritto un grande intellettuale del ‘900 – Norbert Elias – «ciò che ci manca – diciamolo tranquillamente – sono modelli di pensiero e una visione globale che ci consenta di comprendere ciò che nella realtà abbiamo quotidianamente davanti agli occhi».

La Liguria laboratorio del nuovo. Seppure regressivo

Uno dei più lucidi analisti politici italiani – Fabio Armao, docente di Relazioni Internazionali nell’Università di Torino – espone da tempo una teoria sullo sviluppo dei sistemi di governo che potrebbe aiutarci a capire quanto avviene sotto il nostro sguardo distratto; che le fumisterie di una propaganda senza contraddittorio impediscono di mettere a fuoco. Ossia la sinergia tra clan e capitalismo, in cui la tanto conclamata libera concorrenza viene soppiantata dalla “costruzione di fitte trame di reti clientelari tra politici e amministratori locali, da un lato, e imprenditori dall’altro”. Ciò comporta l’uso privatistico di risorse pubbliche che, basandosi su meccanismi di tipo – appunto – clientelare, cioè scambio di favori, avvantaggia gli attori ammessi alla rete sociale e danneggia tutti gli altri. A chi scrive il ricorso al termine arcaico clan non sembra del tutto convincente e perciò tende a rinominare “cricche e cordate” tali reti coperte di scambi interpersonali. Resta comunque abbastanza incontrovertibile la conseguenza tratta da Armao: “ciò a cui si assiste è la trasformazione della corruzione da illecito occasionale in un autentico indotto economico, destinato ad assumere un carattere sistemico”.

Patologia estrema del succitato privatismo incentivato negli ultimi 30/40 anni da una globalizzazione finanziaria che – come ormai è noto – si prende gioco di tutte le istituzioni pubbliche, a partire dallo Stato.

Ciò detto, se collochiamo in questa cornice generale le scelte politiche di chi governa la nostra regione (e dispone arbitrariamente di finanziamenti come mai in passato: dai risarcimenti per il crollo del Morandi ai trasferimenti del Pnrr) tutto acquista un suo “senso”, seppure perverso: la cessione di benefici e rendite a fronte di “contropartite” per la Fondazione Change che fa capo a Giovanni Toti, come gli investimenti in grandi opere di facciata e dubbia utilità, quanto di impatto scenografico (tanto per cominciare la diga del porto di Genova poggiata su fondali sabbiosi o un Terzo Valico destinato a immettersi nel nulla) e distribuzione a pioggia di denaro ai compari. Ossia imprese costruttrici incaricate grazie ad appalti milionari, quanto “accomodati” nella logica del “Modello Genova” a zero controlli.

Un florilegio inquietante nella logica degli “amici degli amici”. Ma di cui a critica sociale e opposizione politica sfugge il senso perverso, smarrito nella retorica ingannatrice della Liguria laboratorio del nuovo. Purchessia.

Pierfranco Pellizzetti

Il 2 gennaio scorso la corte d’Appello di Genova ha rigettato il ricorso di ventuno cittadini che contestavano l’eleggibilità a sindaco di Marco Bucci in quanto commissario straordinario per il viadotto Polcevera.

La sentenza della corte d’Appello sull’ineleggibilità del sindaco Bucci

La sentenza: «Occorre considerare che il dottor Bucci rivestiva già una posizione di influenza – ben prima della nomina di commissario straordinario – essendo tale nomina giunta successivamente alla carica di sindaco di Genova ricoperta dal 2017, sicché, non v’è chi non veda come, da questo punto di vista, la successiva nomina a commissario straordinario non poteva – e non può – in alcun modo alterare né la par condicio tra i candidati né la libertà di voto, più dell’essere il dottor Bucci il sindaco uscente e, quindi, già dotato di per sé di poteri di amministrazione attiva che, con la nomina di commissario straordinario per la ricostruzione del ponte Morandi, sono stati ‘semplicemente’ ampliati».

Un commento alla sentenza

Il commissario straordinario è anch’esso un Organo dello Stato, che ha superpoteri di amministrazione attiva, oltre i poteri ordinari. Quanto alla straordinarietà intesa come urgenza, va notato che il ponte è stato completato nel 2020, e che i superpoteri successivi conferiti a Bucci riguardano opere di ordinaria amministrazione. Quanto alla provvisorietà delle funzioni delegategli, siamo ormai al 6° anno di commissariamento…

Nel caso di Bucci, inoltre, egli ha poteri e capacità di spesa pubblica agevolata dal carattere “straordinario”, tali che pare rovesciarsi il rapporto, per cui l’attività del sindaco (ma si dovrebbe aggiungere anche quella del presidente dell’autorità portuale, sottomessa a Bucci) si palesa come un “semplice ampliamento” di quella del commissario.

Una prova? Nel bilancio 2023 del Comune di Genova la previsione di spese in conto capitale o di investimento, per le opere pubbliche e per l’acquisto di beni immobili è di 343 milioni. Bucci si vantava di fronte ai media e all’elettorato di disporre di 6 miliardi di euro (che gli provenivano dall’essere commissario). Secondo la ratio sottesa alla norma, 6 miliardi da spendere manu propria, politicamente interferiscono nella competizione elettorale più o meno di 345 milioni annui da spendere secondo le procedure della democrazia del consiglio comunale e secondo le normali regole di spesa pubblica e di appalto? Del resto, sarebbe bastato che Bucci rinunciasse a fare il commissario per rendere trasparente la competizione elettorale e la sua amministrazione. Ma Bucci persiste nel sostenere la necessità di tenere accorpati poteri ordinari e straordinari in maniera tale che non si distinguano di fronte ai cittadini, così che l’immagine della democrazia ne esca distorta. È questo il significato della sentenza della Corte di Genova? Non è forse questa la forma moderna dell’autocrazia? In attesa e nella speranza della Cassazione.

Riccardo Degl’Innocenti

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Accompagniamo il primo articolo 2024 di Marina con la breve riflessione sintonica di un maestro di civiltà caro alla nostra redazione, Bertrand Russell: «sebbene noi si sia avvezzi ad accettare la bruttezza dei sobborghi quasi fosse inevitabile come il vento di marzo e le nebbie di novembre, in verità non lo è. Lo squallore, come la preoccupazione e la povertà, è una parte del prezzo che dobbiamo pagare per la nostra schiavitù al principio del profitto privato».

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Il budello si specchia a Portello

Tanto per cominciare dovremmo smetterla di chiamarla “piazza”. Uno snodo essenziale del traffico urbano, smog, miasmi maleodoranti, rumore e vivibilità ridotta ad un velocissimo attraversamento, è quanto di più lontano si possa immaginare dal concetto di piazza. E fino al 1852 piazza Portello proprio non esisteva; esisteva solo il “portello” di uscita dalle mura medievali di cinta della città, le mura del Barbarossa. Solo nel 1897 fu completata la demolizione delle mura (senza pietà, come piace ai genovesi), la realizzazione delle gallerie e via Caffaro. Da allora nessun intervento è stato pensato per mitigare la bruttezza tossica di questo attraversamento obbligato per chi vive, come me, a monte di via Garibaldi. Permane sempre la sensazione di essere cacciati fuori dalle mura, per raggiungere la nostra abitazione di esuli. Stupisce pertanto questo gran parlare dell’intervento di Viziano e del cubetto di uscita dal silos; fomentato da Sgarbi, re dell’effimero apparire, e concimato dall’altrettanto effimero ruolo della Soprintendenza. Per tacitare questo illustre bla bla bla è stato indetto un concorso di idee che ha premiato la proposta di fasciare il cubo con lastre a specchio. E allora parliamone, partendo dai concetti di impatto visivo, mitigazione visiva, inquinamento visivo. Perché bisogna scegliere: l’impatto visivo che un’opera antropica genera sul territorio è sicuramente variabile da considerare in fase di progettazione, perché l’interfaccia fra il soggetto percepente e l’oggetto percepito ha valenza fortemente emozionale. Si deve quindi scegliere fra la mitigazione visiva, riducendo al minimo l’impatto ambientale, o l’inquinamento visivo, cioè creare ad arte – e si spera per qualche utile motivo- elementi che, per la loro estraneità, risultino aggressivi o addirittura sgradevoli alla vista. La proposta di Sgarbi, un murales dipinto, è totalmente insensata, perché avalla l’inquinamento visivo pensando di ottenerne al contrario la mitigazione. Altrettanto insensata l’idea che lo specchio produca l’azzeramento del volume. Lo specchio è materiale estremamente aggressivo, disorientante e, in questo caso, pericoloso per gli spazi illusori che suggerisce ai veicoli. Inutile aggiungere che ambedue le proposte in un mese diventerebbero inguardabili per sporcizia o vandalismi. E allora lasciate fare a Viziano, che aveva proposto l’unica cosa sensata e mitigante: rifasciare il cubo con lo stesso travertino del palazzo retrostante.

Marina Montolivo Poletti

Cronache della nuova impresa titanica: Fiumara 2 (seconda puntata)

E poi Il Palasport. Una cosa meravigliosa, un’attrazione sportiva e spettacolare di importanza nazionale. Vi arriveranno da tutto il mondo per assistere a incontri di basket, a concerti, a gare di atletica leggera. Purtroppo ciò che arriva è l’aumento dei costi. Ovviamente un’azienda che costruisce dovrebbe assumersi l’onere del rischio di impresa. E invece no. Il Comune anziché dire “sono affari vostri”, dice: “poverini, noi vi capiamo. Potete fare un Palasport più piccolo”. E un palasport rimpicciolito vuol dire ridurre il numero dei negozi? Giammai! Diminuire lo spazio per spettacoli ed eventi. La replica di quanto c’è già a Fiumara: un centro solo per eventi con spazi non in regola per la sicurezza. Ossia iniziative locali con beneplacito del Comune, non internazionali. Quindi, prive di richiami per arrivi da fuori.

Poi la cosa più bella è che il Comune vuole costruire un enorme parco con sotto un mega parcheggio. Peccato che i numeri degli alberi promessi non si riferiscono a quanti saranno piantati effettivamente. Esistono solo nelle illusioni create dai bei disegnini e dai bei report di presentazione dell’iniziativa. Nella realtà a Genova sappiamo bene come si va a finire con gli alberi… Non solo, ma vogliono anche buttar giù la sopraelevata. E sì, bisogna sbarazzarsene giù perché sennò gli altri due palazzi di appartamenti che stanno costruendo e che solo destinati ai soliti ricconi che vogliono la propria casa con l’accosto al canale vista mare, non è tanto carino che gli passi la soprelevata davanti alle finestre di cucina. La soprelevata si abbatterà? Bah, è tutto da vedere. C’è una gran battaglia per lasciarne in piedi forse un pezzo o forse due. Il miracolo della progettazione à la carte del nostro super architetto, che infatti non è un urbanista: soprelevata sì per il traffico; no, se si vogliono costruire quei palazzi e guadagnarci tutti i soldoni previsti.

Insomma una grande commedia degli equivoci. Piena di balle. Piena di soldi pubblici e profitti privati. Niente di nuovo, per questa amministrazione. Forse qualcosa ci sarebbe da dire per i cittadini della Foce; e perfino per magistratura e soprintendenza. Per questi micro disinquinamenti al posto di un vero disinquinamento, questi Palasport diventati palazzini, i soldi spesi per far guadagnare la speculazione edilizia su quell’area senza offrire nessun vantaggio ai residenti; che vedranno peggiorare di molto la qualità della loro vita. E – come sempre – un Comune al servizio degli affari.

Andrea Agostini

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Toti dove va, se il terzo mandato non ce l’ha?

Domenica 31 dicembre, intervistato dal Secolo XIX, Giovanni Toti prosegue la sua campagna per la terza rielezione a presidente di Regione Liguria, seppure ostentando un apparente disinteresse verso la faccenda. Intanto lo sbugiardano i passi per re-imbullonarsi alla poltrona: strapaga l’ex sindaca di Vado allo scopo di offrire al/alla Meloni l’attracco a Ponente del rigassificatore respinto da Piombino; la baracconata di Capodanno con i rimasugli Mediaset (di cui – in qualche misura – fa parte pure lui); le erogazioni a pioggia a possibili partner elettorali, quali i dirigenti regionali, gratificati con aumenti fino al 30%.

Mentre la motivazione della propria “generosa” disponibilità – data all’intervistatore – sarebbe assicurare “continuità di governo” alla Liguria. Ma governo per fare cosa?

Una domanda senza risposta, visto che il ciclo amministrativo totiano non lascia tracce di una minima strategia territoriale. Perché – diciamolo – il già ameno direttore del TG berlusconiano ha semplicemente occupato la casella rimasta vuota al vertice del potere ligure. Poi si è barcamenato per due mandati con i riempitivi standard della restaurazione mondiale. Il lungo interregno – per dirla gramscianamente – tra la fine della fase welfariana e un dopo carico di incognite. In chiave regionale, creazione di sostanziali diversivi: la chiacchiera su mirabilie in arrivo, le scorciatoie della comunicazione imbonitoria, la minaccia di possibili espropri proletari. E poi favori a fronte di contropartite. Sicché, se il compare sindaco di Genova una visione ce l’ha, seppure delirante (le grandi opere nel faraonico dimostrativo), il Nostro si gode l’incredibile congiuntura favorevole della manna finanziaria calata sul territorio nazionale. Seppure destinata alla dissipazione. Perché Bucci e Toti sono solo i liquidatori fallimentari della politica in Liguria. Non che prima fossimo l’agorà di Atene, con una borghesia che aveva già abdicato al proprio ruolo di classe dirigente e si affidava al magistero retrò del cardinale Siri e alla gestione corrente di infidi mezzadri tipo il direttore di Assindustria Peppino Manzitti. Ma almeno c’era una classe operaia che difendeva il patrimonio industriale, limitando le aspirazioni negoziali della Sinistra storica. La de-industrializzazione spazzò via anche questo. Per cui diventano credibili le vendite di fumo di Toti. Ormai bloccato nella ridotta locale, visto che le sue aspirazioni nazionali non vanno otre l’1%.

Pierfranco Pellizzetti

Questi amministratori portano una ventata di buonumore

È bello che l’anno inizi con qualche barzelletta. Una me l’hanno raccontata a Tursi. Non ricordo il finale ma la storia riguarda l’aeroporto di Genova, e l’idea di un tapis roulant che vada a collegare lo stesso con la Stazione di Sestri Ponente. La barzelletta è un po’ vecchia, perché l’aveva già raccontata nel 2011 in Regione Lorenzo Pellerano (Lista Biasotti): tutti si erano spanciati dalle risate. Ora viene riproposta con le seguenti caratteristiche: circa 1,5 km di percorso (un tapis roulant! Guinness dei Primati, nel senso proprio di scimmie, senza offesa per i nostri pelosi cugini), di cui 600 metri coperti. E gli altri? Allo scoperto, alle intemperie, a un’altezza di 12 metri dal suolo. Dai, che risate. Già affidato il progetto e qui c’è meno da ridere. Affidamento diretto, senza gara, perché la gabola di stare sotto i 150.000 euro lo permette. Questo progetto si chiama moving walkway che va a sostituire un altro progetto detto people mover. In soldoni, il primo è un tappetino mobile e il secondo è un trenino tirato da una fune: però – dai – con l’inglese suona in modo diverso e meraviglioso, come un tempo il latinorum manzoniano dell’avvocato Azzeccagarbugli. Il tutto da collegare all’altra barzelletta della funivia del Begato, che arriverebbe sopra il monte omonimo, passando sopra le case, oscillando pericolosamente al vento che soffia forte e portando soprattutto in cima al nulla. Senza fermate intermedie, quelle che ora sono servite dall’ultracentenaria cremagliera (che magari con pochi soldi potrebbe essere riammodernata e servirebbe davvero agli abitanti del luogo). Il tutto a spese in parte nostre, circa 130 milioni per il trenino. Una giornalista (?) del Secolo XIX, chiosa senza commentare (ma sommessamente contenta e prona a Tursi) che si tratta di “una cifra nettamente più alta di quella che si potrebbe spendere, invece, per il tapis roulant, come dimostra il caso recente di Rimini”. Progetto di cui la tapina (senza offesa) non deve saper nulla, visto che il progetto di Rimini è lungo meno della metà, mette in comunicazione l’aeroporto con parcheggi, terminal bus e la metro della costa adriatica (il TRC), è in piano e soprattutto è integralmente al coperto. Questo costerebbe 13,7 milioni, e il nostro? Aspettiamo il rendering del progetto e i suoi costi. Poi ci facciamo delle altre belle risate.

Carlo A. Martigli

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Diga di Genova: destino precario dell’opera più costosa del Pnrr

Un silenzio tombale sembra essere calato sulla nuova diga foranea, opera destinata a gareggiare con quel ponte di Messina cui contenderà vari record: costi, durata dei lavori, dubbi sull’utilità effettiva. Infatti per la diga è previsto il più cospicuo investimento del PNRR. I lavori – inaugurati lo scorso anno con le prime gettate di ghiaia e una solenne cerimonia – proseguono nel massimo riserbo, che sembra confermare le difficoltà già autorevolmente segnalate quanto alla profondità e alla natura dei fondali. Sono prevedibili – di conseguenza – sensibili aumenti di costi e allungamenti dei tempi di esecuzione, secondo le puntuali previsioni dei critici dell’opera, clamorosamente inascoltati. Dunque, grande battage promozionale all’esterno, addirittura segretezza sull’andamento lavori, che avrebbero assunto un aspetto essenzialmente ‘esplorativo’ delle difficoltà trascurate nel processo di assegnazione dell’opera, avvenuta sotto il segno – rivelatosi perverso – del famoso ‘modello Genova’ e della tendenza a evitare fastidiose esigenze di trasparenza.

Peccato che le procedure pendenti davanti al Consiglio di Stato rendano tutt’altro che sereno il futuro dell’opera, la cui stessa utilità, per l’economia marittima e per la città, viene ormai messa in discussione. La situazione mondiale dei trasporti marittimi è in rapidissima evoluzione e non consente previsioni; tanto meno per opere di queste dimensioni, basate su una visione a lungo termine meramente incrementale dei traffici via mare. È discutibile che il porto di Genova sia destinato in futuro ad accogliere gigantesche navi porta container. È discutibile che la nuova diga serva ad attrarre quel traffico su un porto e una città in gravissimo debito di spazi e sistemi di trasporto. Quanto accade nel Mar Rosso ad opera dei ribelli Houthi dovrebbe indurre alla massima cautela le autorità preposte al già precario, in gran parte antiquato, rapporto tra scalo e città. Genova è un vero e proprio ‘caso di studio ‘ sugli effetti negativi di un sovrapporsi delle due realtà.

Il progetto della diga foranea non sembra aver tenuto conto a sufficienza di questi aspetti, né degli interessi fondamentali degli stakeholders, primi tra tutti i cittadini genovesi; né – infine – del loro sacrosanto diritto all’informazione.

Del resto, un dissennato gigantismo portuale non può travolgere con risultati imprevedibili un organismo originale e delicato quale è quello costituito da Genova e il suo porto.

Michele Marchesiello

È la stampa, bellezza!

Da Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio apprendiamo che Gianluigi Aponte, padrone di MSC, intenderebbe comprare il Secolo XIX e con ciò inaugurare la sua presenza anche nel settore dei media, dopo avere occupato le principali posizioni nel mondo della logistica globale, prima marittima, poi anche sul lato terra con terminal portuali merci e passeggeri e società di rimorchio, servizi ferroviari e di autotrasporto, compagnie aeree, agenzie marittime e di spedizione, officine navali. La strategia evidente è l’integrazione delle attività (a monte e a valle) per governare a proprio vantaggio la struttura dei costi, l’organizzazione e soprattutto il posizionamento, tendenzialmente e deliberatamente, monopolistico sul mercato. La liquidità, esorbitante qualsiasi precedente storico, che la speculazione sui noli marittimi durante la pandemia ha fornito agli oligopolisti del trasporto marittimo (che tende a replicarsi ora con la crisi in Medio Oriente) consente loro – in primis a MSC – di guadagnare l’egemonia non più solo sui mercati caratteristici delle loro attività, ma di estendersi verso ogni settore della società essi reputino profittevole direttamente o indirettamente per i loro affari.

Le imprese sono di fronte al costante dilemma di «make or buy?», ossia se produrre direttamente i beni e servizi oppure comprarli sul mercato. MSC non è ancora entrata direttamente nel perimetro dei mass-media. Forse ha deciso di farlo, a cominciare dal Secolo XIX. Se confermata la notizia del FQ, MSC avrebbe deciso di percorrere la strada di orientare l’opinione pubblica non più solo grazie ai budget di pubblicità, sponsorizzazione e alla compera delle influenze politiche (MSC per esempio finanzia Giovanni Toti in Liguria) ma anche con propri “house organ”, essendo notorio lo stile dispotico e autocratico di conduzione dei propri affari da parte di MSC.

Magari, se così fosse, Aponte potrebbe nominare direttore del Secolo XIX Luigi Merlo, che da giovane fu aspirante giornalista ma che trovò nella politica un più facile successo, con cui si aprì con disinvoltura l’accesso professionale ai vertici di MSC già beneficiaria della sua presidenza del porto di Genova. Nel caso, l’ultimo auspicio che ci resta è che la topica risposta del direttore del quotidiano The Day Ed Hutcheson/Humphrey Bogart al boss mafioso, che vorrebbe impedirgli di pubblicare una notizia nel film “L’ultima minaccia” (1952), non si tramuti in “Era la stampa, bellezza!”.

Riccardo Degl’Innocenti

La prima tutela in una regione che invecchia

Questo intervento del nostro redattore Caprioni prende spunto da una drammatica presa di posizione dell’Ordine degli infermieri del nostro Levante: «Oggi non si può sostenere che la grave situazione al Pronto Soccorso dipenda da una recrudescenza della pandemia. Si sapeva quali erano i rischi riducendo – se non eliminando (visto che le cure intermedie a Sarzana sono destinate a tutti i pazienti e non solo a quelli d’area medica) – i posti letto di medicina e sparpagliando i posti letto della neurologia in tutto l’ospedale. La situazione odierna – già molto grave – rischia di aggravarsi, stante le festività in corso, il numero ridotto di medici di medicina generale in effettivo servizio e l’aggravarsi delle condizioni pandemiche o anche solo influenzali. Chiediamo quindi pubblicamente un intervento urgente del Prefetto con l’attivazione dei servizi di Protezione Civile presso i Pronto Soccorso dei nostri ospedali».

A proposito della catastrofe organizzativa nella sanità spezzina

Notte del 21 dicembre: una coda di ben 45 persone al pronto soccorso del cadente ospedale S. Andrea della Spezia. Dati anche gli spazi angusti della sala d’attesa, molti pazienti hanno dovuto attendere all’esterno, sfidando l’inclemenza del tempo, mentre i più gravi sono stati ospitati sulle ambulanze, creando una lunga fila di mezzi di soccorso utilizzati come sosta temporanea.

17 erano i codici arancione, 3 quelli rossi. Tensione altissima, nonostante il prodigarsi di medici e infermieri, determinata dai inumani tempi di attesa, che hanno rischiato di ingenerare proteste contro il personale che cercava di fare l’impossibile per alleviare le sofferenze dei malati. 20 pazienti di area medica sono stati smistati in altri reparti, con gravi disagi per le visite e le diagnosi, che hanno costretto i medici di reparto a una continua spola tra i diversi padiglioni del vetusto ospedale. L’ospedale spezzino è ormai un rudere cadente. Pochi giorni addietro è stato necessario chiudere il reparto di ortopedia e trasferire urgentemente pazienti e personale all’ospedale di Sarzana, in altri reparti sono apparse crepe sui muri, mentre sono all’ordine del giorno infiltrazioni d’acqua. La situazione ha determinato l’allarme nelle organizzazioni mediche e infermieristiche ed è arrivata a preoccupare persino la protezione civile, mentre sindacati e associazioni civiche stanno promuovendo cicli d’incontri pubblici in tutti i comuni della provincia.

Il reparto di Neurologia è stato chiuso per inagibilità e i pazienti sono stati dispersi ovunque ci fosse un posto disponibile, mentre venivano ridotti i posti letto in area medica. Nel frattempo, la favola della costruzione del nuovo ospedale del Felettino suona a presa in giro. C’è chi ha fatto una foto del luogo dove dovrebbe nascere il cantiere un anno fa e l’ha ripetuta in questi giorni. La differenza è data solo da cespugli di rovi cresciuti.

L’assurdo è che la regione e la ASL5 dispongono di un ospedale capiente, moderno, funzionale e monoblocco, con enormi spazi liberi intorno, progettato dal grande architetto Michelucci. È l’ospedale di Sarzana, che già oggi presenta molti posti vuoti, interi reparti chiusi e spazi non utilizzati.

La cosa più logica sarebbe chiudere l’ospedale della Spezia, che non regge più neppure ai continui rattoppi, trasferire a Sarzana tutti i reparti sino a che non sarà pronto il nuovo ospedale del Felettino, lasciando a Spezia uno sportello di pronto soccorso e rianimazione per le massime urgenze.

Nicola Caprioni

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Dal Festival di San Remo a quello totiano di Capodanno: depressing

Cominciamo l’anno sul porno. E come la canzone italiana abbia un effetto inversamente proporzionale alla libido. La notizia riguarda l’anno appena trascorso. Durante il Festival di Sanremo 2023 l’accesso dei liguri al sito porno Pornhub è calato del 17%. La domanda sorge spontanea: come è possibile che Pornhub affermi una cosa del genere? Ma voi credete che uno dei più importanti, vasti e cliccati siti porno del mondo non abbia i mezzi per monitorare da dove e in quale momento della giornata ci si colleghi? Immagino che già qualcuno si preoccupi: non fanno nomi e cognomi, ma è da ritenere che risalendo all’indirizzo IP i gestori del sito sappiano chi lo frequenta. Ma la notizia non si ferma al fatto che il sempre ligure Festival di Sanremo inibisca gli appetiti sessuali autoreferenti di coppia, o di altro. D’altra parte anche solo vedere come questa potente arma di distrazione di massa rovescia pagine di insulsaggini di vecchi copioni ripetuti nel tempo per fare audience, che tutto s’ammoscia (metaforicamente parlando, honni soit qui mal y pense). Se l’anno scorso Fedez si baciava con non ricordo chi, trent’anni prima Benigni cercava di strappare con violenza gli attributi a Pippo Baudo. Solite frittate. Andiamo avanti: sempre secondo il sito in questione, nella classifica regionale degli utenti la Liguria si piazza (con onore o con dispregio, secondo i punti di vista) all’ultimo posto; a pari merito o demerito, con Cagliari e Catania. Mentre Milano pare sia la più fedele seguace di Onan (da non confondere con Conan il Barbaro di Schwarzenegger), il figlio di Giuda (certo che, povero padre, la storia gliene ha fatte passare di tutti i colori). Ora questo piazzamento può avere un doppio significato: o che il popolo ligure sia talmente assatanato di sesso non virtuale (donne e uomini) che i più disdegnano i pornazzi solitari; oppure, au contraire, che i livelli di testosterone maschile e degli estrogeni femminili siano così ridotti che neanche le procaci nudità afroamericane o i muscoli guizzanti di spogliarellisti californiani (per par condicio) riescano a sollevare quel triste nostro mugugno anti fertilizzante per eccellenza. Lo dimostrerebbe il fatto che questa regione è sempre più vecchia: per ogni bambino ci sono cinque anziani a fargli da contorno. L’augurio per il 2024 sarebbe quello di stare tutti più sollevati, ma in effetti, Festival a parte, vedere ciò che è accaduto a De Ferrari la notte di Capodanno, fa cascare non solo le braccia.

Carlo A. Martigli

Lo scandalo dei canoni scontati ai balneari. E la Liguria è in testa

Il governo applica uno sconto del 4,5% per i canoni di concessione demaniale agli stabilimenti balneari. Una vera “marchetta” elettorale, suggerita dal ministro Salvini. L’assessore regionale Marco Scajola esulta “è una bella notizia”. Peccato che simili “belle notizie” non riguardino mai altri destinatari, magari meno fortunati: i lavoratori, i giovani senza lavoro e i pensionati.

Mentre le banche fanno extraprofitti da favola, mai che si facciano sconti a chi paga interessi pesantissimi sui mutui. Mentre si rifiuta il salario minimo a chi lavora, si taglia il reddito di cittadinanza, si fanno pagare le tasse più alte d’Europa ai pensionati, si elimina la sanità pubblica e si abbandona la scuola, si fanno favori agli evasori e si riducono le aliquote IRPEF a favore dei ricchi, il governo pratica perfino uno sconto ai gestori di stabilimenti balneari. Una categoria che paga canoni ridicoli, oltretutto non proporzionati al reddito, con un’evasione stimata attorno al 45%. Bagni di extralusso, che guadagnano milioni di euro su un terreno di proprietà di tutti noi; come il Twiga del “simpaticone” Briatore e della Santanché, il quale se la cava con due spicciolo da ventimila euro annui. Un’inezia rispetto al suo profitto con un fatturato che supera i 10 milioni di euro.

In Liguria il 69,8% delle spiagge, che – ripetiamo – sono patrimonio comune di tutti noi, è occupato da stabilimenti balneari, la più alta percentuale tra le regioni italiane; il restante 30,2% è spesso rappresentato da foci di torrenti e fiumi, punti marginali o difficilmente accessibili. I costi per poter andare nel nostro mare sono insopportabili per una famiglia comune (ombrellone, lettini, cabina, parcheggio), ma il governo fa lo sconto ai balneatori.

In Francia le spiagge occupate da stabilimenti erano solo il 20% del totale. Da alcuni anni è stata approvata una legge che le riduce al 15%. Il 5% degli stabilimenti viene abbattuto per rientrare nei nuovi limiti In Italia prevalgono esattamente gli interessi contrari. La solita minoranza privilegiata.

Nicola Caprioni.

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Portovenere, l’ultima minaccia

L’Amministratore Delegato di ASPI Roberto Tomasi, il successore di Giovanni Castellucci in Autostrade per l’Italia, finito travolto dall’inchiesta sul crollo del ponte Morandi, ha deciso di regalare a sé e alla sua famiglia un resort di lusso in finto ecologico in uno dei golfi più belli e famosi al Mondo, quello di Portovenere, in un’area tutelata come patrimonio universale dell’umanità dall’UNESCO.

Lo ha potuto fare grazie allo sciagurato piano casa della Regione Liguria, voluto dal presidente Toti, che consente un ampliamento delle volumetrie sino al 40% della superfice.

Ha acquistato dei vecchi ruderi e ha costruito la sua lussuosa sede in un punto incredibile sulla collina sovrastante l’abitato di Portovenere, con vista sulla punta di San Pietro, l’isola Palmaria e le Cinque Terre. Cui si aggiunge il fatto che il Comune di Portovenere, guidato allora da Matteo Cozzani, capo di gabinetto del presidente della Regione Liguria e fedelissimo di Toti, non ha impugnato una sentenza del TAR.

Ora vuole costruire una strada privata, che porterebbe a un devastante scempio del paesaggio e che è fortemente contrastata dagli abitanti e dalle associazioni ambientaliste.

Portovenere è un sito importante quanto delicato. Si è salvato negli anni dagli effetti più negativi della speculazione edilizia e dalla devastazione del territorio, anche se alcune polemiche, in passato, non sono mancate.

Con l’avvento del centrodestra sia alla guida del comune che della regione, si è scatenato un via libera a operazioni ambientalmente molto discutibili. Dapprima il Comune ha concesso la privatizzazione di fatto di un tratto di un “caruggio” del centro storico, poi è stata la volta del master-plan sull’isola Palmaria, che è parte del comune di Portovenere, che Toti ha definito “Un’ammucchiata di rovi da trasformare nella Capri della Liguria”. Un’idea che vorrebbe trasformare l’isola, la sola abitata in Liguria, seppur da soli 18 residenti, da paradiso ambientale in una sorta di Disneyland marina.

Si è ceduto a privati la ex scuola comunale. Le proteste hanno fortunatamente bloccato la messa all’asta di un’area pubblica a picco sul mare. Va ricordato che in una baia del comune di Portovenere, fuori dalla vista dell’abitato storico, sorge l’unico rigassificatore italiano a terra, recentemente potenziato, cui il presidente Toti ha concesso anche l’autorizzazione a far attraversare il Golfo della Spezia da bettoline che trasportano camion cariche di gas metano per autotrazione.

Nicola Caprioni

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Visto che, nonostante la sistematica rimozione, la questione malavita a Ponente ritorna sempre in ballo, forse vale la pena di rammentare a chi non sa o non ricorda, quale fu la madre di tutte le indagini a tale riguardo. E magari discutere a 40 anni data le ragioni per cui lo scandalo venne rigorosamente circoscritto entro i confini savonesi.

Quarant’anni fa, il caso Teardo

A lungo è mancata la percezione di minacce incombenti sull’area ligure; che si sono giovate della disattenzione collettive per meglio radicarsi ed espandersi. Vale anche per i soggetti inquirenti, orientati a negare la presenza in Liguria di forme malavitose organizzate e penetrazioni mafiose.

Uno dei primi casi in cui una vicenda criminale con evidenti tratti “organizzati” smentì tali fattispecie risale al 14 giugno 1984; ed è legato al nome del socialista savonese Alberto Teardo. “Il caso Teardo” vide l’arresto dell’ex Presidente di Regione Liguria alla vigilia delle elezioni politiche che avrebbero dovuto consacrarlo deputato (con relativa immunità parlamentare). Le accuse mosse dalla Procura di Savona erano gravissime: associazione mafiosa, concussione, peculato ed altro. Fu una delle prime applicazioni della nuova legge antimafia. Però, sin dalla sentenza di merito, la teoria del giudice istruttore non venne accolta. Secondo l’accusa erano ravvisabili i connotati dell’associazione di tipo mafioso: l’intimidazione, l’assoggettamento degli imprenditori, la finalità di profitti ingiusti nei numerosi illeciti amministrativi consumati (assunzioni senza concorso, contratti conclusi con trattativa privata senza bando pubblico ecc.).

Teardo sarà condannato, ma non per associazione mafiosa. Vengono dimostrati la concussione ambientale, il sistematico rastrellamento di tangenti, le minacce: la Liguria era dominata da un sodalizio politico-affaristico che configurava sì un’associazione per delinquere, ma per il Tribunale non era connotata da mafiosità. Emblematiche le parole dei giudici: «occorre non perdere di vista la differenza tra l’arroganza del potere, che è degenerazione del costume politico, e la metodologia mafiosa, attraverso la quale il potere politico viene snaturato. È ben noto che in politica il potere acquisito agevola l’acquisizione di ulteriore potere; è altrettanto noto il fenomeno della lottizzazione politica; è un dato di comune esperienza che il partito o le coalizioni di partiti si sostituiscano alle sedi propri istituzionali, ma tutto ciò non è ancora espressione di violenza mafiosa e nemmeno di illegalità diffusa». Anche grazie (?) alla rimozione indotta da questo ottenebramento (tanto investigativo come mediatico) dei fenomeni di sistematica illegalità in radicamento nel territorio, gli ultimi venticinque anni assistono alla trasformazione di vaste aree liguri in zone franche, condannate a passare sotto il controllo malavitoso.

Pierfranco Pellizzetti

PASSEGGIATE D’ARTE

Jacob Ferdinand Voet, ritratto di G. L. Durazzo

Il ritratto di Giovanni Luca Durazzo, quando Genova dettava la moda

Il Palazzo che oggi è chiamato Reale deve la sua magnificenza anche a questo gentiluomo che ammalia il visitatore per eleganza e raffinatezza, con uno sguardo sensuale, ma malinconicamente ironico, quasi presago della fine nel fiore degli anni, sorte che lo accomuna al pittore che lo ha ritratto, Jacob Ferdinand Voet, anch’egli scomparso prematuramente (1639-1689). Il contributo di Giovanni Luca Durazzo fu determinante per l’acquisto del palazzo di via Balbi nel 1679 da parte del fratello Eugenio: tra i diversi incarichi a servizio della Repubblica Giovanni Luca rivestì per la seconda volta nel biennio 1669-1670 quello di ambasciatore genovese presso la corte papale. Proprio durante il soggiorno a Roma Jacob Ferdinand Voet, chiamato “Ferdinando de’ Ritratti”, eseguì questo strepitoso dipinto che colpisce non solo per la tecnica straordinaria, ma perché testimonia il momento in cui “la moda Luigi XIV” viene conosciuta in Italia, appunto tramite “il vestito dell’Ambasciatore”. Gio Luca è abbigliato secondo i dettami della moda tarda del Re Sole con una cravatta di merletto veneziano che pare quasi di poter sfiorare, la giacca nera è resa importante da un’elegante frangia di merletto e indossa una parrucca di riccioli bruni. Il dettaglio non è di poca importanza, perché questa acconciatura (voluta dal Re per nascondere la caduta dei capelli dei quali in gioventù andava così fiero) si impone in Italia proprio grazie al Durazzo, e per una volta è Genova che precede Roma. Infatti poco dopo lo stesso Voet dipingerà a Roma due “effigi virili”, i ritratti dei fratelli Urbano e Pompeo Rocci, conservati oggi a Palazzo Spada. I due patrizi sono abbigliati in modo praticamente identico a Gio Luca, salvo che le loro parrucche sono bionde. Dal confronto dei tre ritratti si evince la già sottolineata marcata affinità di stile, l’esecuzione di grande charme, dovuta agli effetti delle bianchissime cravatte di pizzi veneziani, all’andamento delle parrucche, agli sguardi naturali dei personaggi, stile che risente degli studi del pittore all’accademia del Maratta, uniti a sensibilità cromatiche fiamminghe, insieme realismo ed idealizzazione. Genova anticipa quindi nel Seicento una tendenza internazionale che prenderà piede nel secolo successivo nella maggior parte delle corti italiane, ossia il” ritratto come status symbol dell’elite”

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga

L’interminabile viaggio da Chiavari alla Dominante, tra mito e realtà

L’eterna storia di un viaggio che può serbare sorprese straordinarie o incognite tremende: il viaggio da Chiavari a Genova. Iniziamo col dire che per secoli ci siamo avventurati verso il capoluogo in carrozza, lungo l’antica via romana: l’altisonante Aurelia. Tra cambi di cavalli, trasbordo alla Ruta di Camogli e possibili incontri di briganti. O l’alternativa del trasferimento via mare, a remi o bianche vele latine, che superato Portofino offriva alla vista il porto d’arrivo della Superba. Tempo di percorrenza, Dragut o altri corsari permettendo, una giornata circa. Poi ci fu l’ammodernamento dell’Aurelia: il trasporto equino garantiva l’arrivo a Capolungo in sei ore. La vera rivoluzione si ebbe il 23 novembre 1868, quando una sbuffante macchina a vapore condusse per la prima volta i chiavaresi a Genova. Dalle cronache della giornata memorabile: “un sibilo ha tagliato l’aria e una nuvola di vapore avvolge la locomotiva, il treno sferragliante faceva il suo inaugurale ingresso alla stazione di Chiavari”. Il 25 aprile del 1870 si raggiungeva Sestri Levante. La Gazzetta di Chiavari informò dell’avvio del servizio, con diverse corse dal Ponente a Genova-Brignole: tempo di percorrenza un’ora e venticinque minuti. Oggi un locale impiega il medesimo tempo. La linea fu molto discussa per gravi errori di progettazione; in particolare nella tratta Chiavari-Deiva. Sicché, dopo il Primo conflitto mondiale, se ne avviò il rifacimento. Oggi le vecchie gallerie collegano ad uso automobilistico Deiva e Moneglia a Riva Trigoso. Poi la svolta, negli anni della ripresa. I Taviani, i Bo, i Manfredi. Saranno i giganti della Balena Bianca democristiana a promuovere la nuova autostrada Tigullio-Genova. Un dibattito sul tragitto stroncato sul nascere; sicché la bellissima costa sarà trafitta dal nastro autostradale: gallerie, viadotti mozzafiato e (ricerca democrista del consenso) caselli per tutti! Il 29 ottobre del 1968 si inaugurava il tratto Chiavari-Genova. Un percorso sempre tribolato, con tempi di percorrenza problematici. Ancora oggi si dice: “domani vado a Genova in macchina, devo essere a De Ferrari per le 9”. Gli astanti all’unisono: “a che ora parti?”. Così si passa a formulare previsioni, si chiama un amico con vista casello che segnali possibili code, oppure il canale Isoradio. Tutto per prevedere i tempi di quell’appuntamento genovese. Non so dirvi come sia andata: partire è partito che era ancora buio. A che ora è arrivato… boh!

Getto Viarengo