Numero 12, 30 novembre 2023

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Indice

SPIFFERI

Con Toti fallo e moschetto navigano sul Tamigi

Finalmente il gigantesco mortaio è approdato sul Tamigi. Con indubbio interesse degli inglesi, e anche un po’ d’invidia, nel vedere il maxi-pestello dall’evidente forma fallica a magnificare l’italica prestanza. Però non capiscono cosa c’entri il mortaio, che collegano esclusivamente alla polvere da sparo. Forse qualche esperto di storia italiana, visto il revival nostalgico del governo Meloni, ha ritenuto che al posto di libro e moschetto si volesse promuovere fallo e moschetto. Un ottimo spot costato, per ora, mezzo milione. E chi contesta il manufatto non capisce nulla di comunicazione; come tal Oliviero Toscani (“una schifezza”) o l’esimio Antonio Ricci, che cogliendone il senso bellico lo ha definito “una granata”. Solo in Liguria intuiscono che così si voleva promuovere il pesto.

Marco Bucci, come un Tony Blair al basilico

Lo storico anglo-americano Tony Judt ha raccontato di un talk show della BBC in cui si discuteva dell’ascesa di Blair a primo ministro. Una giovane giornalista si disperava: “lui crede nelle privatizzazioni come la Thatcher”. Le rispose Charles Moore, direttore del Daily Telegraph: “non esattamente. Margaret Thatcher credeva nelle privatizzazioni. A Tony Blair semplicemente piacciono i ricchi”. Su questa falsariga, ci dicono che in privato Bucci dichiari la propria soddisfazione di poter frequentare in quanto sindaco la bella gente che altrimenti non avrebbe neppure potuto incontrare. Cui dedica blandizie, appalti miliardari e sgomberi dalla loro vista dei poveracci. Le sue guasconate. Da simil-cadetto di Guascogna/ ebbro di gloria più che di Borgogna. Rissaioli alla Cirano di Bergerac.

La nuova febbre dell’oro e i jeans del sindaco

Noi liguri sediamo su una miniera d’oro tipo California per chi setaccerà le colline del Beigua alla ricerca dei giacimenti di titanio? Il revival dei cercatori d’oro dell’800 a caccia di pepite nei rigagnoli di Sierra Nevada. E fu l’epopea di un sarto, unico a far davvero fortuna cucendo pantaloni in una tela grezza resistentissima per quei disperati con la febbre dell’oro: Levi Strauss dei blue jeans Levi’s. Così Fortunello Bucci potrebbe essere l’unico beneficiato dalla corsa al titanio nel Savonese nel suo personale innamoramento delle braghe vintage Old America che lo spinge a promuovere un evento espositivo costosissimo che non interessa a nessun altro. Per cui lo aspettiamo sulle rive del Letimbro con padella e calzoni blu come una comparsa del Cavaliere Pallido di Clint Eastwood.

C’È POSTA PER NOI

Un appuntamento da non perdere

Riceviamo da una lettrice di Ponente

Le battaglie civili nel Savonese continuano

Carissimi, Vi segnalo che continua la mobilitazione di Savona contro il rigassificatore di Vado (che Toti vorrebbe porre a 2,5 km dalla costa di Savona e all’ interno di un’area marina protetta dove si ripopola il pesce del mar Ligure occidentale). La manifestazione di sabato 11 è stata un successo e sta crescendo anche la petizione online. Spero di leggere di noi nelle vostre notizie. Ciao

Francesca Marzadori

ECO DALLA RETE

A proposito di quanto annunciato riguardo alla presenza nel parco del Beigua di Litio e Titalio, componenti rare e preziose della realizzazione di batterie per auto elettriche, riportiamo la dichiarazione al riguardo datata 14 luglio 2023 del presidente dell’Ente Daniele Buschiazzo, apparsa nella home dell’Ente parco News.

Miniera di Titanio, l’intervento del presidente del Parco del Beigua

Il Presidente dell’Ente Parco del Beigua vuole sottolineare alcune questioni.

Nel caso delle miniere di titanio, la concentrazione del biossido TiO2 dei giacimenti attualmente coltivati varia tra il 5 e il 20%. Ciò vuol dire che oltre l’80% del materiale estratto è sterile ed è destinato alla discarica.

Ad esempio, una delle più grandi miniere di ilmenite al mondo (Lac Tio Mine in Quebec, Canada) ha prodotto oltre 72 milioni di tonnellate di materiali di scarto, generando discariche a cielo aperto che occupano approssimativamente 100 ettari di territorio, con un’altezza variabile tra 20 e 80 metri.

Sebbene il titanio di per sé non abbia un impatto significativo per l’ambiente e la salute umana, le lavorazioni potrebbero innescare rischi correlati alla presenza di metalli potenzialmente ecotossici (ad es. cobalto, nichel, cromo, vanadio e zinco) e di minerali classificati come amianto. Nonostante le considerevoli potenzialità economiche dei giacimenti di rutilo nelle eclogiti, ad oggi esiste soltanto una miniera attiva in questo tipo di rocce (Daixian, Cina – considerando la sensibilità verso l’ambiente di questo Paese, non mi sembra un caso). Ciò è dovuto sia agli altissimi costi di estrazione in rocce dotate di durezza elevatissima, sia alle costose procedure di estrazione del minerale utile, che comportano la completa liberazione del minerale mediante macinazione fine e la sua successiva concentrazione in appositi impianti di flottazione. A questi costi si aggiungono quelli correlati alla mitigazione del rischio ambientale e sanitario, aggravati dalla presenza rilevante di anfiboli sodici, minerali classificati come amianto di crocidolite dalla normativa vigente.

A questo quadro aggiungo che l’ipotetica di miniera di Titanio in buona parte sarebbe dentro il Parco del Beigua che, oltre ad essere uno scrigno di biodiversità, è riconosciuto dall’UNESCO come Geoparco.

Ricordo poi che le normative europee, nazionali e regionali vietano nei parchi e nelle aree protette della Rete Natura 2000 di realizzare cave e miniera (questa in particolare sarebbe una miniera a cielo aperto).

Per tutte queste ragioni siamo certi che, insieme all’opposizione del nostro Ente, di tutte le Amministrazioni locali e delle popolazioni residenti nel Parco, ci sarà anche l’opposizione della Regione Liguria, che dopo la riforma del Titolo V della Costituzione ha sicuramente competenza in materia.

Daniele Buschiazzo

A tale proposito si osserva che, nonostante gli auspici del presidente Buschiazzo, la Giunta Toti aveva già concesso l’autorizzazione per la ricerca del titanio nel Geoparco – per la durata di tre anni – alla Compagnia Europea per il Titanio il 26/febbraio/2021.Con il placet dell’allora ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani.

ECO DELLA STAMPA

Liguria, 97 nuovi casi su 3.542 tamponi. Ricoveri sempre in calo. Toti:  “Ciclo vaccinale completato per il 18,2% degli abitanti” - Il Secolo XIX

Il quotidiano ligure del gruppo GEDI-Elkan pare abbia aperto gli occhi sui maneggi retrostanti a “Genova Meravigliosa”. Così i suoi cronisti Simone Gallotti e Alberto Quarati riferiscono un episodio altamente sospetto; nell’edizione del 14 novembre scorso

Vianello in Iren, maxi consulenza per il presidente di Ente Bacini

Sottotitolo: Signorini arruola la “volpe” del porto di Genova: «era già uno dei consiglieri più ascoltati ai tempi del governo del porto. E difatti non era difficile incontrarli nelle passeggiate vis-à-vis attraverso i vicoli di Genova e per le vie della city’. Insomma, non è un mistero per nessuno che il rapporto tra Paolo Signorini e Mauro Vianello sia molto stretto, ‘un vero rapporto di amicizia’ dice chi conosce bene entrambi. Comunque sia, l’ex presidente del porto, arrivato al vertice di Iren, la multiutility da 9 miliardi di fatturato, ha subito chiamato con sé il numero uno di Ente Bacini, che ha così ottenuto una preziosa consulenza. Valore: conferme ufficiali sull’emolumento non ci sono (‘nessun commento’ fanno sapere da Iren), ma non si dovrebbe andare lontano dalla realtà con una cifra che sfiorerebbe i 200mila €.

Vianello, 71 anni, è un uomo di sinistra, uno dei punti di riferimento di quell’area politica nel porto del capoluogo. Ad esempio ha un rapporto privilegiato con la CULMV. È scaltro (gli hanno appiccicato il soprannome di ‘volpe del porto’) e il territorio lo conosce bene: non solo geograficamente ma anche politicamente. E a Signorini queste competenze servivano sulle banchine e ora servono per i progetti Iren».

Simone Gallotti e Alberto Quarati

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Conflitti di interesse e campagne acquisti: il mercatino della politica genovese

L’Ente Bacini di Genova come serbatoio e cartina di Tornasole del selvaggio consociativismo che trasforma la politica locale in una sorta di minestrone (o se vi piace, un prebuggiun), per di più andato a male; dunque, incommestibile per palati civici.

L’assaggio della schifezza ci fu servito nel maggio dell’anno scorso, quando il capogruppo PD in consiglio comunale – l’avvocato Alessandro Terrile – venne nominato A.D. del succitato Ente dalla troika Bucci-Signorini-Toti.

È di questi giorni la notizia della Destra che torna pescare dalle parti di Molo Giano, nella solita azienda di riparazioni navali a capitale misto. Paolo Signorini, compensato della perdita della poltrona apicale in Port Authority con una vice presidenza milionaria in Iren, ingaggia come consulente il presidente di Ente Bacini Mauro Vianello, Grande Vecchio della sinistra portuale; con un contratto – stando ai si dice – sui 200mila € annui. Forse risarcimento di favori passati? Insomma, proseguono campagne acquisti a livello di spesa calcistica, all’insegna di un bipartisan impensabile ai tempi della Prima Repubblica; quando esistevano confini insuperabili negli scambi affaristici tra persone di opposte militanze. Distinzioni annullate nell’ammucchiata promossa dall’ideologia neoliberista, quando si promise che l’interesse privato (leggi Mano Invisibile) avrebbe garantito l’efficienza. E invece ci ritrovammo con l’avidità che promuoveva solo cinismo. Con a sinistra il cambio di campo – dal lavoro alla finanza – teorizzato dalla Terza Via dei Tony Blair e Bill Clinton, che ha svenduto un secolare patrimonio di valori per un pugno di benefit e qualche strapuntino. Operazione che in Italia ebbe il volto dello yachtman-rosso Massimo d’Alema, battistrada di un’anglo-americanizzazione che, dalle nostre parti, produce imitatori a taglia minima tipo Terrile e Vianello. Ma il contagio d’oltre atlantico non si limita a questo. Come dimostrano vicende nostrane relative alla consulenza: con un personale politico in caduta etica, la fanteria mondiale dall’affarismo. Vedi il caso Rina; nel mirino dell’Anac – l’Autorità anti-corruzione – per il palese conflitto di interesse (incarico di verifica del progetto diga di Bucci mentre la consorella Rina Check si aggiudica la direzione lavori). In sedicesimo, una sorta di caso Enron: il tracollo del grande gruppo energetico USA per le manipolazioni di bilancio con la connivenza di Arthur Andersen. Per un extra fee sui 27milioni di dollari.

Pierfranco Pellizzetti

Entroterra ligure, viabilità e dibattito pubblico

Il dibattito sulle opere pubbliche crea sempre contrapposizioni. Ora è all’ordine del giorno un progetto che divide gli abitanti del territorio: il tunnel Fontanabuona–Rapallo, l’ennesimo buco nell’Appennino per unire due aree urbanizzate. Nel Tigullio già si erano realizzati ben due trafori che dovevano cambiare il destino del territorio: la galleria di Velva e quella di Bargagli Ferriere. Con il solito andazzo: poco dibattito, pochi confronti con le popolazioni locali, promesse d’opere accessorie (mai realizzate) e costosissime manutenzioni. Opere accompagnate da slogan a effetto: Bargagli Ferriere: una porta verso il porto di Genova; Tunnel di Velva: un passaggio tra il mare del Tigullio e l’ambiente della Val di Vara. Appena aperto, il tunnel Bargagli Ferriere scatenò presidii e occupazioni all’ingresso della galleria. Allora le proteste per il pedaggio di transito portarono alla rimozione delle barriere di riscossione. Poi la Val Fontanabuona entrò in una spirale negativa: la perdita di primazia nell’offerta dei mobili d’arredamento e la lunga crisi dell’ardesia. Oggi il tunnel affronta anche la crisi da utilizzo. È pur vero il notevole risparmio di tempo che consente, ma è altrettanto vero che “la porta” economica su Genova non si è mai aperta. Mentre il destino della Galleria di Velva resta in discussione per la chiusura delle strutture ricettive che attiravano visitatori e la crisi commerciale del borgo escluso dai flussi turistici.

Alla luce delle passate esperienze, anche il nuovo tunnel andrebbe discusso attentamente. Ad oggi sono nati due comitati che sottolineano le vicissitudini dell’opera, il danno ambientale, il traffico che intaserebbe la viabilità nel Levante. A Rapallo c’è preoccupazione, specie tra gli abitanti della periferia ovest, già penalizzata da un’autostrada in condizioni pessime, con gli impianti anti rumore rimossi. Da qui una domanda che impone risposte precise: il tunnel sarà solo a uso autostradale o andrà a sbucare a Rapallo? Nel primo caso (il traffico della Fontanabuona che si collega all’arteria autostradale Genova-Spezia) può essere una soluzione, ma se l’infrastruttura arriva fino a Rapallo il Comitato sembra aver ragione, con le sue preoccupazioni sulla viabilità futura. E se Il dibattito su tunnel, gallerie, ponti non è mai all’attenzione dei cittadini, soprattutto se coinvolti direttamente, questa è responsabilità di una politica incapace di coinvolgere e far partecipare. Siamo quasi fuori tempo massimo!

Getto Viarengo

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

La guerra degli alberi, una triste saga genovese

È ufficiale: l’amministrazione persegue l’abbattimento del Verde favorendo la cementificazione. Caso emblematico è Vesima, da secoli zona ortofrutticola che la variazione urbanistica votata dalla maggioranza di Tursi ha dichiarato edificabile per far crescere fungaie di casette vista mare.

Registriamo continui abbattimenti nel Ponente, il finto viale alberato in Cornigliano, la strada a mare colma di alberi secchi perché mai innaffiati, quelli di Certosa abbattuti per far passare la ferrovia contro il volere degli abitanti, la misera radura della memoria con quattro piante immerse in un mare di cemento in attesa del ballistico parco sul Polcevera dell’archistar di turno. I milioni di euro per il verde dirottati da lungomare Canepa all’edilizia privata alla Foce. Il Parco del Righi ormai abbandonato a se stesso con le creuze invase dalle erbacce; i previsti tagli in Valbisagno per far posto allo Sky metro; il parco dell’ex ospedale di Quarto abbandonato all’incuria totale; l’area verde a picco sul mare adiacente alla ex tiro al piattello di Quinto asservita all’atterraggio degli elicotteri per Euroflora mediante asfaltatura e ancora in attesa di ripristino; i cespuglietti piantati al posto della piscina nerviese; i 230 alberi caduti o tagliati per ragioni di sicurezza e mai più ripiantati nei parchi di Nervi; i mille e mille abbattimenti di alberi in tutta la città. L’unico bosco nato a Genova in sei anni e quello piantato a Monte Moro dei cittadini di Levante e delle associazioni ambientaliste. Altrove non c’è nulla.

Insomma, questa amministrazione, la magistratura e le agenzie preposte alla salute delle persone ignorano le indicazioni dell’organizzazione Mondiale della sanità e dell’Istituto Tumori di Genova che danno per sicura una media annua di 100 morti causate dell’aria che respiriamo. Scandalo nello scandalo, la distruzione sistematica del paesaggio genovese avviene con l’approvazione della Sovrintendenza che dovrebbe tutelarlo, l’assenteismo della Corte dei Conti che tace sull’immenso danno erariale accumulato negli anni.

Purtroppo continua la strategia comunale di cui sopra. D’altro canto – come ci ripetono – loro hanno vinto le elezioni e quindi fanno ciò che vogliono. Un modo inaccettabile di concepire la democrazia civica, per auto-convincersi di avere sempre ragione. Proprio quando si ha torto marcio.

Andrea Agostini

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Tursi: la politica ingannevole del gratuito

Panem et circenses: nell’antica Roma si distribuiva gratis il pane e si andava gratis al Colosseo a vedere schiavi mangiati da leoni o gladiatori che combattevano a morte. Ma che vuol dire gratis? Deriva da una contrazione con la perdita di una i. Era gratiis, ossia per grazia, per benevolenza. Parola magica che piace a chi ne usufruisce e permette a chi la usa, come al tempo dei Romani, di far poi quello che gli pare alla faccia dei cittadini. Più o meno quanto sta subdolamente succedendo a Genova con il nuovo piano AMT: GRATIS la metropolitana a Genova, siamo unici in Europa. Così ha tuonato il sindaco di prossima uscita Marco Bucci (il terzo mandato non è consentito). Ma è davvero una buona notizia, è un fiore all’occhiello? No, è una burla ed è abbastanza immorale, però tipica di una certa visione delle cose. Tre sono le obiezioni. La prima: gratis per tutti, o è un servizio sociale come la sanità o l’istruzione, o è un’ingiustizia. Che le signore albarine possano viaggiare gratis sulla metro insieme alle colleghe più sfortunate di altri quartieri non è giusto. Anche perché il costo viene ripartito tra tutti, compresi quelli che non usano la metro: la corrente elettrica, gli autisti, i manutentori e via dicendo non sono né schiavi né vengono da Marte e quindi rappresentano un costo. La seconda: a fronte di questa presunta gratuità ecco la coltellata: il biglietto del bus salirà a 2 euro con un aumento monstre del 25%. E questo cadrà sulle spalle proprio delle fasce più deboli. È il gioco delle tre carte, in cui questa politica mostra di saper fare bene la parte dell’imbonitore. La terza: Bucci ventila che anche lo skymetro sarà gratis. E questa notizia riportata da giornalisti pecoroni senza commenti o riflessioni è un’altra delle mosse da guappi. Intanto lo skymetro – sempre che si faccia, mi auguro di no – costerà circa 40 milioni di Iva (sui 398 del PNRR) per le casse comunali, ed è già una prima balla. Poi ridurrà le corse del bus, facendo risparmiare Palazzo Tursi ma riversando il disagio (e i costi) sui cittadini. Avevo detto tre obiezioni, e tre rimangono. La quarta è una profezia. Questa gratuità, promessa – si badi bene – per un anno (poi si vedrà, ha detto colui di prossima uscita che forse si sta ingraziando qualche azienda locale per ritornare a fare il manager per conto terzi), finirà prima, per questa o quell’altra ragione. Sono contro le scommesse di qualsiasi tipo, se in denaro. Però stavolta scommetto un caffè che andrà così: ci state?

Carlo A. Martigli

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Schenone Harry Potter e Spinelli Voldemort nel mondo magico del porto

Giulio Schenone, azionista del maggiore terminal contenitori gateway italiano, PSA Genova Prà, oltre che di PSA Sech a Genova Calata Sanità e PSA Vecon a Venezia, lo scorso aprile ha denunciato al convegno di Claudio Burlando sulle grandi opere l’eccesso d’offerta dei terminal container tra Vado Ligure e Livorno, passando per Genova e La Spezia. Il principale motivo è che tali terminal servono lo stesso bacino di utenza, da molti anni caratterizzato da una modesta vitalità economica, confinato a nord dalle Alpi e costretto a Est e Sud dalla prossimità di altri porti nazionali. Nell’occasione Schenone dichiarò che la sovra-capacità delle attuali banchine è pari al 50% e che pertanto nuovi investimenti pubblici in ulteriore opere portuali sarebbero ingiustificati: «forse a Palazzo San Giorgio hanno trovato un meccanismo miracoloso per moltiplicare i milioni di teu, noi che facciamo il mestiere di terminalista dal 1993 non lo conosciamo».

Poi è tornato sul tema con un’intervista al Secolo XIX, paragonando il porto di Genova al mondo di Harry Potter, in cui si muovono «maghi, apprendisti ingegneri, progetti che compaiono e poi scompaiono». Nell’ “apprendista ingegnere” è facile individuare Aldo Spinelli, che sta suggerendo pubblicamente le linee progettuali della nuova diga e delle banchine prospicienti; ovviamente a favore dei suoi interessi privati, mascherati in nome dell’interesse generale, e indicando come Lord Voldemort chi ne ostacola i disegni. Con la complice sudditanza dei commissari Piacenza e Bucci nel silenzio del Comitato di gestione; e gli uffici di Palazzo San Giorgio emarginati grazie a un generoso incarico di pianificazione affidato all’esterno.

A proposito dei milioni di container che la nuova diga farebbe magicamente arrivare, Schenone rammenta che la quota di traffico aggiuntiva, contendibile ai porti del Northern Range, sarebbe circa un milione di teu; e solo dopo che avremo il terzo valico, il quadruplicamento dei binari successivi, l’efficientamento del nodo di Milano, i raccordi con i trafori svizzeri e avere convinto i mercati svizzeri e tedeschi con un’offerta di servizi più attrattiva di quella dei nordici. Insomma, solo quando i container potranno viaggiare su distanze sostenibili a costi treno oltre le Alpi. E il Managing Director PSA Roberto Ferrari prospetta un target ancora meno roseo: 250mila teu supplementari, e solo quando saranno completati i nuovi collegamenti ferroviari (oggi i teu diretti oltralpe da Prà sono 10mila).

R.D.I.

Incantesimo e risveglio per la port community genovese

Giulio Schenone invita a riprendere in mano il progetto della diga in base a una visione di sistema, non solo comprendendo Savona-Vado, ma anche tenendo conto di La Spezia e Livorno, e a non assecondare un modello di porto ridotto all’unica dimensione dei contenitori. Detto dall’azionista di PSA che è il principale operatore mondiale di porti “full container” fa un certo effetto, anche se ovviamente PSA ha i suoi privati interessi concorrenziali da salvaguardare in questa visione. Tuttavia, quello espresso da Schenone è un argomento cruciale, anche per il dibattito politico sulla governance portuale, diversamente da quello demagogico e speculativo sulla trasformazione delle autorità in società per azioni. Occorre infatti governare i porti nazionali non come singoli campanili in competizione, visto anche che i miliardi di cui si fanno belli gli amministratori locali, a cominciare da Bucci e Toti, ce li mette lo Stato. In questo senso il ruolo del Presidente del sistema portuale, nominato dal governo, dovrebbe essere quello dell’interprete di una politica nazionale dei porti, della logistica e del commercio (che oggi non esiste), e della conciliazione degli interessi nazionali e locali affinché il territorio che ospita il porto e le sue infrastrutture di collegamento ricavi in termini di valore aggiunto una quota di reddito e di occupazione proporzionata ai volumi di traffico e all’efficienza del porto conseguiti grazie alla capacità delle imprese e alla produttività dei lavoratori. Insomma, un presidente con il senso dello stato e dell’interesse pubblico, non un mero esecutore delle ambizioni elettorali dei suoi padrini politici e dei piani lucrativi di breve respiro dei poteri imprenditoriali privati, come purtroppo sono stati durante questi sette anni Signorini e il segretario generale Piacenza, elevato quest’ultimo, a seguito della diserzione del primo, al rango di commissario del porto pur dopo un’opaca esperienza meramente burocratica.

Alla fine, dopo una tale intervista di un personaggio del rango di Schenone, quali repliche o commenti ci sono stati a Genova, primo porto nazionale, negli ambienti politici, sindacali e imprenditoriali, chiederebbe chiunque? A 48 ore di distanza, nessuna reazione pubblica. La fiaba di Harry Potter continua.

Riccardo Degli Innocenti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Il nuovo piano socio-sanitario ligure: constatazione di un fallimento

Mai si era visto un piano socio sanitario come questo, che riesca nella fantastica impresa di essere sia vuoto che dannoso; mentre l’Assessore Gratarola dà il via libera a un emendamento di maggioranza in cui si chiede di privatizzare almeno 5 case di Comunità; ossia il perno della medicina territoriale ligure previsto con gli investimenti del PNRR.

A cantieri non ancora avviati, la Destra pensa già di farne regalo ai privati.

Un fallimento di Toti e dei suoi sotto gli occhi di tutti.

La Liguria in dieci anni ha perso un terzo del proprio personale sanitario. Oltre 1200 infermieri e circa 800 specializzandi in meno rispetto alle necessità. Non ci sono OSS, mancano i medici di famiglia e intanto la sanità di territorio è stata azzerata.

Lo stato dell’edilizia sanitaria è inaccettabile: lo storico ospedale del Sant’Andrea a Spezia cade a pezzi, mentre il vicino e nuovo ospedale di Sarzana viene svuotato; il San Martino rischia allagamenti e black out ogni volta che piove; a Sestri Levante la struttura è stata svuotata, a Bordighera ceduta. Per quanto riguarda i progetti in itinere è tutto bloccato: in otto anni di Giunta Toti promesse tante, quando in realtà tutto è fermo. Il Felettino a Spezia ha solo festeggiato la posa della prima pietra, quando non si sa neppure se l’Ospedale di Ponente agli Erzelli sarà pubblico o in joint coi privati. La Giunta vanta fondi stanziati per il recupero delle liste d’attesa con il Programma Restart. Peccato che tali liste siano rimaste invariate se non peggiorate (stando ai dati Gimbe, il 60% dei liguri rinuncia alle prenotazioni sanitarie per i tempi di attesa troppo lunghi); tanto da imporre l’investimento di altri 50 milioni di euro destinati – ovviamente – ai privati in convenzione.

Oggi 100.000 cittadini liguri sono senza medico di base, per le carenze di personale mai inserito nelle liste regionali. In compenso si spendono 52 milioni per pagare visite e servizi effettuati in altre regioni. A questo punto al cittadino si presentano tre possibilità: la prima, la più praticata, è ricorrere al privato, spendendo cifre esorbitanti per un servizio già pagato dai contributi del paziente, la seconda, per chi può, è rivolgersi alle regioni vicine, dove questi servizi vengono ancora erogati. Di recente un’urgenza oculistica richiedeva in Liguria oltre 6 mesi, in Toscana 3 giorni. La terza è quella di decidere di non curarsi, come capita sempre alla parte più debole della società.

Nicola Caprioni

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Sul tema Skymetro ospitiamo l’analisi della Dottoressa Maura Rossi, membra della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia, che non le è stata consentita di esporre nell’incontro con i cittadini e l’amministrazione sull’avvio dell’opera tenutosi a Tursi venerdì 24 novembre

Skymetro, perché la psicoterapeuta dice no

I danni di un cantiere urbano sulla popolazione dipendono dalle sostanze tossiche contenute nei materiali, prodotte dalla lavorazione e dai mezzi, dai volumi e durata nel tempo, dal numero di persone esposte, dalla loro età e dal sesso.

Popolazione esposta: Bassa Valbisagno 73.980 residenti, Media 55.499. In pratica La Spezia e Savona insieme.

Nella valle esistono fattori di rischio sufficienti a rendere necessario l’abbattimento degli inquinanti già presenti e la prescrizione assoluta di non aggiungerne altri (aggiornamento ricerca IST 2020 sulla salute nei quartieri genovesi).

Rumore: attivazione del Sistema nervoso autonomo, che segnala al corpo di essere sempre “sotto attacco” (disturbi cardiovascolari, gastroenterici, ansia e insonnia, stato infiammatorio cronico alla base di patologie degenerative e della depressione).

Vibrazioni: effetti sul senso di equilibrio e disorientamento.

PM 10, prodotti dagli scavi e dai materiali in polvere, PM 2,5, prodotti dal combusto dei mezzi di trasporto e lavorazione: lunghissimo tempo di permanenza nei filtri naturali del corpo (polmoni, reni), patologie dell’apparato respiratorio, cardiovascolare e cancro.

Componenti del cemento, in generale, alluminati e silicati di calcio: patologie gravi con esiti ad anni di distanza, alterazioni respiratorie e cutanee anche a distanza.

Vernici e solventi: altamente tossici, colpiscono ogni organo del corpo con effetti particolarmente gravi nei bimbi e preadolescenti con meccanismi di compenso biologico in formazione. Gli inquinanti sono anche interferenti endocrini: alterano la fertilità, provocano aborti in donne sane, danneggiano lo sviluppo del feto o quello sessuale del bambino fino a modificarne morfologia e identità sessuale.

Un mega-cantiere in un’area fittamente abitata e senza il filtro ambientale di prati e boschi farebbe ammalare o aggravare la salute di migliaia di persone con gravi ricadute sulla comunità. Può l’indifferenza dell’amministrazione alla salute dei cittadini essere un fattore di rischio per la loro salute? Sì, nel momento stesso in cui si rompe il patto di fiducia fra amministratori e amministrati, questi ultimi entrano in una situazione psicologica tipica di chi si sente in pericolo e lo stress derivante è un potente fattore di rischio.

Non è accettabile che, come sta accadendo, non vengano fatte valutazioni sullo stato collettivo di salute e dell’ambiente prima che si proceda a qualunque opera, pena passare dalla discrezionalità all’omissione di soccorso.

Maura Rossi

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Ferrovia pontremolese: Salvini taglia i fondi promessi

La destra di governo ha sempre annunciato il raddoppio dell’intero tracciato della ferrovia pontremolese. Convegni, comunicati trionfalistici, promesse a ripetizione. Ora arriva la doccia fredda: il ministro dei trasporti Salvini taglia i fondi destinati.

Sicché Edoardo Rixi, parlamentare ligure della Lega e sottosegretario ai trasporti, risponde con imbarazzo agli amministratori locali liguri, toscani e emiliani che “dobbiamo concentrare tutti gli sforzi sul Pnrr. Prima completiamo gli interventi programmati e finanziati, dopo ci occuperemo di quelle infrastrutture che non rientrano nel Pnrr come Pontremolese e Terzo valico”. Ancora un rinvio, ancora date da destinare. Salvini annuncia interventi dopo il 2026. C’è da scommetter che non sarà così.

Si intuisce dove finiscono quei finanziamenti, essenziali per dare un futuro sostenibile al nostro territorio e utili in un’ottica europea attraverso il corridoio ferroviario del Brennero.

Ancora cemento, ancora autostrade. Mentre ogni progetto di passaggio del traffico merci dalla strada alla ferrovia viene boicottato da questo governo; in particolare da Salvini.

I lavori per la ferrovia Pontremolese furono completati nel 1894; ultima grande arteria ferroviaria italiana, con parecchi scontri sul possibile tracciato: da chi sosteneva si dovesse collegare la pianura padana col mar Tirreno attraverso Lucca favorendo Livorno, a chi prevedeva un collegamento Parma–Chiavari. Infine la Marina Militare impose il tracciato attuale, stante la sua più importante base navale a La Spezia.

La linea ha ancora tratti a binario unico e soprattutto non ha la galleria di valico tra Borgotaro e Pontremoli. Il tracciato passa ancora nella vecchissima galleria del Borgallo. Mauro Moretti, da A.D. di Ferrovie dello Stato, voleva chiudere la Pontremolese per concentrare ogni sforzo sulla linea ad Alta Velocità Milano-Bologna- Firenze- Roma – Napoli; in una visione più ispirata al profitto che al servizio agli utenti.

L’arteria è essenziale per il porto della Spezia. Forse un giorno si capirà che non possono esistere collaborazioni tra porti e che le fusioni delle autorità portuali (Genova – Savona e La Spezia – Marina di Carrara) sono scelte burocratiche senza esiti pratici. Una città portuale ha due vocazioni: una è il mare e l’altra è l’entroterra di riferimento. Così Savona ha Torino e il Piemonte, Genova Milano e la Lombardia e La Spezia Parma e Mantova.

I traffici vanno verso l’interno e non percorrono la costa, questa è per i turisti.

Nicola Caprioni

Riceviamo da Piazza Levante l’intervento di Tonino Gozzi del 16 novembre scorso, di cui riportiamo un’ampia sintesi

Il depuratore in Colmata: demenziale

La forza della mareggiata ai primi di novembre abbattutasi sulla costa del Tigullio rende evidente che la scelta dell’Amministrazione Comunale chiavarese di piazzare il depuratore in Colmata è demenziale.

Negli ultimi anni assistiamo a causa del cambiamento climatico a fenomeni atmosferici sempre più estremi. Per il mar Ligure gli esperti li paragonano ai tornado/uragani tropicali, che si ripetono con frequenze sempre più ravvicinate. Nel Tigullio cambiano le mareggiate rendendo il loro impatto sempre più devastante. Da noi la ‘traversia’, cioè la direzione del vento più pericoloso, è sempre stata di libeccio (sud-ovest). Ragione per cui le mareggiate sono state chiamate ‘libecciate’. Il Tigullio occidentale era stato protetto dal promontorio di Portofino, che ne limitava i danni come una diga naturale verso sud-ovest. Ma negli ultimi anni c’è stata una successione impressionante di fenomeni estremi: la grande mareggiata dell’ottobre 2018 ha letteralmente disintegrato il porto di Rapallo danneggiando il depuratore di Santa Margherita a fil di costa; la tromba d’aria che nel 2022 ha colpito la ferrovia e alcuni stabilimenti balneari di Cavi di Lavagna e Sestri Levante; la mareggiata del gennaio 2023 che di nuovo ha devastato Cavi; da ultima, quella ai primi di novembre 2023 che ha colpito il litorale con onde di 8-9 metri. Fenomeni estremi a cadenze sempre più ravvicinate, non quelle trentennali di tutti gli studi meteo-marini tradizionali.

Ora la direzione del vento e quindi delle mareggiate proviene da sud: il mare picchia a perpendicolo sulla costa di Chiavari e di Lavagna con una forza mai vista. Come si è detto, la portata e la frequenza dei nuovi fenomeni atmosferici fa sì che non sia più sufficiente rifarsi a dati storici, non tenendo conto dei cambiamenti in atto e sottostimandone i rischi.

Non si capisce perché il principio di ‘cautela’ che viene richiamato ad ogni piè sospinto in situazioni molto meno problematiche non debba essere applicato anche alle vicende del depuratore di Chiavari. Un impianto industriale sofisticato e delicato come questo non può essere collocato in una zona così pericolosa come il fil di banchina dell’area di Colmata. Per due semplici motivi: i sicuri danni all’impianto provocati dalle mareggiate con i conseguenti extra costi di manutenzione addebitati ai cittadini attraverso la tariffa dell’acqua, i rischi per l’incolumità il personale dell’impianto che, stando al progetto, raggiunge gli 8 metri sotto il livello del mare.

Antonio Gozzi

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Il Savonese assediato dal mare e dai monti

Nonostante i bellicosi propositi presidenziali di combattere la cantierizzazione mineraria del Beigua, issati sul pennone del Parco Naturale, il buon Daniele Buschiazzo dovrebbe rendersi conto che presumere di avere le spalle coperte da parte dell’Ente Regione si è rivelata una pia illusione. Anche perché la Giunta Toti aveva dato il via libera alla ricerca di presenze del titanio in questo meraviglioso spicchio di Liguria già tre anni fa. La solita scelta devastatrice che parrebbe intestardirsi contro il Savonese – circondato dalla nave dei veleni del rigassificatore in rada davanti a Vado e ora a rischio di scavi a monte che metterebbero in circolo robuste quantità di amianto e altri veleni – riportata al disonore delle cronache il 19 novembre scorso da Sigfrido Ranucci col sempre encomiabile Report. Cosa ci ha spiegato quell’inchiesta? Innanzitutto che l’ombrello normativo dell’Unione europea a tutela di un sito geoprotetto – come il Beigua – non funziona più se sono in ballo prevalenti interessi economici; ossia la riconversione delle produzioni automobilistiche continentali. Con la corsa a perdifiato per reperire le materie prime con cui realizzare le batterie delle auto elettriche, che in futuro si vorrebbero prodotte nella vecchia Europa; attualmente monopolizzate al 90% dalla Cina. Il che imporrebbe la necessità di scavare il sottosuolo degli Stati membri per ricavare almeno il 10% dei 16 materiali critici per la produzione industriale. E qui arriva il governo italiano, come sempre a rimorchio degli interessi forti di natura internazionale. Da bravo Arlecchino servitore di più padroni.

Sicché – qualche settimana fa – il ministro del Made in Italy Adolfo Urso annunciava la mappatura dei giacimenti di tali minerali esistenti nel “fu” Bel Paese, precisando che presenze di litio si riscontrano nel Lazio e il più grande giacimento continentale di titanio è dato per dormiente sotto le meravigliose colline del Beigua. Sonni tranquilli da cui occorrerà risvegliarlo quanto prima. Alla faccia della conseguente catastrofe ambientale facilmente presumibile. Scelta a cui la popolazione sotto minaccia risulterebbe impossibilitata ad opporsi, visto che in caso di interesse strategico sono previsti permessi sotto forma di leggi speciali in grado di superare qualsivoglia vincolo paesaggistico e ambientale. Compresi gli scudi presunti dal presidente Buschiazzo. Un gravissimo pericolo imminente che la pubblica opinione, savonese e non, ignorava. Prima di Report.

Pierfranco Pellizzetti

PASSEGGIATE D’ARTE

Le bellezze dimenticate da riscoprire

La Sala della Grotta e alcova di Palazzo Rosso L’alcova di Palazzo Rosso

Negli anni Settanta del Seicento la famiglia aristocratica dei Brignole Sale acquistò dalla Repubblica un lotto di terreno dove edificò il meraviglioso Palazzo Rosso, scrigno di capolavori, alcuni dei quali di incomparabile bellezza, tuttavia assai poco noto, anche perché disvelato nella sua magnificenza solo dal 2022, è il “mezzanino” adibito nel 1710 ad appartamento privato di Anton Giulio II. Le stanze dell’appartamento del marchese sono ambienti dalle proporzioni contenute rispetto ai saloni dei piani nobili, ma di abbagliante sfarzosità, come dimostrano la decorazione parietale della sala «della Grotta» e il suggestivo spazio dell’alcova di Anton Giulio che, ambasciatore della Repubblica a Madrid e a Parigi, proprio nella reggia di Versailles ebbe modo di ammirare l’alcova del Delfino, decidendo al suo ritorno a Genova di realizzare nel suo palazzo un luogo di piacere altrettanto strepitoso. Per il quale non risparmiò né danari né energie… come riportano le cronache dell’epoca, soffermandosi anche con dovizia di nomi sulle “favorite” del marchese. Un soffitto stellato, nicchie di stucco, pavimenti intarsiati e un affresco raffigurante il giudizio di Paride decorano la stanza da letto evocando giochi di piacere ahimè finiti troppo presto, dal momento che Anton Giulio morì prima di aver compito quarant’anni, ma che offre uno straordinario punto di osservazione sugli spazi di vita quotidiana degli aristocratici che abitarono il palazzo, un luogo di lusso, di raffinatezza e saper vivere. Anton Giulio II influenzato dal gusto francese aveva commissionato nella prima sala una decorazione di gusto orientaleggiante, realizzata da artisti d’oltralpe, mentre gli affreschi furono opera di Gregorio De Ferrari. La camera da letto vide all’opera Domenico Parodi per gli affreschi, mentre la straordinaria alcova nacque probabilmente su progetto di Gregorio De Ferrari, con la spettacolare decorazione che riproduce in stucco un grande drappo fiorito, il rivestimento di specchi sulle pareti e un parquet in eccezionale stato di conservazione. La morte improvvisa di Anton Giulio II nel 1710, interruppe i lavori, che vennero ripresi dal figlio Gio.Francesco II attorno al 1745 coinvolgendo il pittore Giacomo Boni nella realizzazione del salotto rivestito di specchi e arredato con piccole consoles in stile Reggenza.

La Sala della Grotta e alcova di Palazzo Rosso

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga

Bruno Morchio, il celebre creatore di Bacci Pagano e altre storie, ci regala questi due post su

Genova, la città sua e delle sue creature letterarie, con cui intrattiene un rapporto da innamorato deluso.

Il ponte che fece la fortuna di due personaggi da commedia all’italiana

Dopo cinque anni siamo qui a leccarci le ferite. Abbiamo un nuovo, meraviglioso ponte, costruito in tempi record che neanche i cinesi, eppure siamo qui a leccarci le ferite. Il vulnus più grave, tragico, è quello dei 43 morti. E queste sono le ferite del passato. Ma purtroppo non sono le sole. Questo meraviglioso ponte ha fatto la fortuna elettorale di una nuova classe dirigente, incarnata da due personaggi che sembrano usciti da un film della commedia all’italiana. Onnipresenti a ogni taglio di nastro, su ogni palcoscenico musicale, ad ogni sagra concepita per rallegrare una città talmente vecchia da non riuscire più a ricordare da dove è venuta e totalmente ignara di dove sta andando. Due super-commissari senza piuma sul cappello, ma con una formidabile capacità di creare sinergie politico-finanziario-imprenditoriali che partoriscono a ogni piè sospinto centri commerciali, supermercati e faraonici progetti come la Mega-funivia verso il Nulla di Forte Begato (che le amministrazioni precedenti avevano tirato a lucido coi soldi dell’Unione Europea, progettando di farne un centro culturale alla supercazzola, salvo poi lasciarlo tornare a essere il rudere di prima), la Mega-metro sul greto del Bisagno, per non parlare della legge che autorizza a costruire sui greti dei fiumi a rischio alluvionale moderato (si sa che chi non risica non rosica). Quanto alla Mega-diga non ho le competenze per pronunciarmi, anche se ho letto autorevoli pareri contrari che, se fossero corretti, farebbero tremare le vene ai polsi. Intendiamoci, non che la classe dirigente di prima brillasse di fulgida luce. Qualcuno ha fatto cose buone, qualcuno pessime, qualcuno non ha fatto nulla. Peraltro una cospicua parte di quella presunta sinistra oggi è pappa e ciccia con gli attuali timonieri, in nome della micidiale retorica della “cultura del fare” (alla quale manca, purtroppo, un auspicabile complemento oggetto). Ma la differenza, quella che si definisce la “ciccia”, la fanno le palanche: il tragico disastro del ponte e il piano di ripresa e resilienza (PNRR) hanno portato nelle tasche dei super-commissari senza piuma sul cappello una montagna di soldi che quelli di prima non avrebbero immaginato neppure in una crisi acuta di maniacalità. Peccato (ma forse è solo una mia impressione) che qui si spende più per la resilienza che per la ripresa e l’innovazione, perché negli ospizi (anche quelli a cielo aperto) la resilienza è l’ultima spiaggia.

B.M.

Genova, i giovani li prende a calci

Questa è la ferita del presente: una città vecchia che è lo specchio deformante (e perciò più veritiero) di una Italia vecchia, incapace di guardare al futuro perché ai vecchi il futuro fa paura. D’altra parte, i vecchi sono i soli che votano e la democrazia politica si basa sul voto. È la scommessa di questo governo: restaurare i valori tradizionali, decrepiti morti e sepolti, guardando ostinatamente indietro, alle radici, come se gli uomini fossero alberi, e riesumando bizzarre teorie e agghiaccianti scenari che fanno della povertà una colpa, della diversità una tara e della gioventù un fastidioso incomodo. Se l’Italia non è un paese per giovani, Genova è una città che i giovani li prende a calci nei denti, offrendo loro lavori precari, sottopagati e a bassa qualificazione, oppure costringendo i più dotati e socialmente fortunati a emigrare.

Quello che intravvedo all’orizzonte è un gigantesco maquillage condito di abile propaganda che elude il nodo di fondo: che cosa sarà questa città tra venti, trent’anni? Quale futuro stiamo preparando ai genovesi di domani? Dove ci porterà un investimento sconsiderato sul turismo come volano esclusivo dello sviluppo? E poi: quale turismo e quale sviluppo? Certo il contesto non è incoraggiante: un governo che del Pnrr decide di sacrificare gli alloggi per gli studenti e gli investimenti contro il dissesto idrogeologico per privilegiare il ponte sullo stretto lascia intendere una cosa sola: che stiamo allegramente perdendo un appuntamento con la storia.

Bruno Morchio